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Tanzania e Africa

Discriminate anche a tavola

Governo e analisti indipendenti concordano sul fatto che una serie di norme e credenze tradizionali, tuttora praticate da buona parte della società tanzaniana, siano la causa principale della grave discriminazione della donna. Si stanno compiendo degli encomiabili sforzi per superare il problema. Nascono piccole imprenditrici ma la realtà è ancora troppo favorevole ai maschi. In famiglia, ad esempio, i cibi ricchi di proteine sono riservati agli uomini.
Zephaniah Musendo

In Tanzania usanze patriarcali hanno da sempre sistematicamente privato le donne del diritto di possedere proprietà. Come se non bastasse, sono state ulteriormente marginalizzate dalla globalizzazione e liberalizzazione del mercato che hanno incoraggiato la commercializzazione delle terre alle quali le donne non hanno mai avuto accesso. Questa è la conclusione della ricerca condotta dal ’98 al 2000 dal Gruppo per le Politiche di Sicurezza Alimentare e lo Sviluppo (KIHACHA ). Un raggruppamento di organizzazioni ed individui che si batte per il diritto alla sopravvivenza, il possesso della terra e la democrazia, a tutti i livelli.

Nella ricerca, la professoressa Marjorie Mbilinyi, dell’Istituto di Studi per lo Sviluppo dell’Università di Dar es Salaam ed al contempo Coordinatrice del KIHACHA, sostiene che, mentre le donne reggono sulle spalle gran parte della responsabilità della gestione famigliare, sono viceversa gli uomini che controllano le fondamentali risorse produttive, sia della famiglia che della società in senso lato. Estremamente significativo è, per esempio, il sistema di distribuzione del cibo a livello famigliare, un aspetto in cui il sesso femminile è sempre stato ampiamente discriminato. La Mbilinyi spiega che si tratta di "chi mangia cosa" e "quanto", che in alcuni gruppi etnici è tuttora molto discriminante, verificandosi il fatto che il consumo di cibi ricchi di proteine è generalmente riservato solo agli uomini.

La professoressa spiega anche che, nel tempo, in considerazione dell’emarginazione delle donne e della loro condizione di inferiorità, si è anche ridotta la sicurezza alimentare delle famiglie. Ma, non solo, il loro status predeterminato nella società fa sì che gran parte delle donne delle campagne e delle comunità pastorali sia completamente privata di qualsiasi opportunità di emancipazione. L’assenza di opportunità limita l’accesso delle donne, sia ad un’istruzione di base che a una formazione professionale, compresa quella in ambito economico e legale. Il sistema di mercato in vigore nel contesto rurale, ma anche a tutti i livelli nel paese, nega alle donne la possibilità di commercializzare i loro prodotti, compresi i latticini e i legumi, come è il caso del distretto di Ngorongoro nord-orientale. Disgraziatamente, al contempo, il predominio maschile nel sistema di produzione, distribuzione e consumo si è dimostrato inefficiente e bisognoso di un profondo cambiamento.

Sempre la Mbilinyi, fa notare tutta una serie di altri problemi legati alla società patriarcale. I giovani, maschi e femmine, si lamentano del fatto che i capi famiglia fanno e disfano ciò che vogliono, vendendo o affittando terreni a spese degli altri membri della famiglia, senza che venga mai riconosciuto loro il determinante apporto alla produzione di beni e servizi famigliari. Ne consegue che alcuni giovani fanno di tutto per andarsene, anche ricorrendo a matrimoni precoci, nella speranza di ricevere ereditariamente della terra in proprietà, dove poter lavorare liberi dalla schiavitù patriarcale. Altri si spostano nei centri urbani alla ricerca di una vita indipendente, ma rischiando di finire fra i ragazzi di strada o nel giro della prostituzione. Ci sono, però, alcune donne che, più forti delle altre, rimangono nelle campagne lanciandosi in attività indipendenti del settore informale; negozietti, piccolo commercio e produzione di birra locale. Sebbene i loro redditi siano estremamente modesti, conquistano per lo meno il controllo delle loro piccole entrate.

Ma, ci sono anche delle donne ancor più combattive che scelgono di confrontarsi anche fisicamente con le ingiuste e discriminatorie pratiche tradizionali del sistema patriarcale di distribuzione ed utilizzo dei redditi famigliari. Dalla ricerca è emerso, per esempio, che nelle regioni nord orientali della Tanzania, come Shinyanga, Ngorongoro e Njombe, il problema della violenza domestica legato alla proprietà è abbastanza grave. Lo studio cita un incidente avvenuto recentemente a Shinyanga in cui un giovane ha ucciso i genitori nel corso di una lite per la distribuzione dei beni della famiglia. Il figlio avrebbe chiesto invano una parte del bestiame appartenente al nucleo e, posto davanti al rifiuto, ha fatto a pezzi il genitore. I giovani maschi hanno bisogno di una parte del bestiame dei genitori per pagarsi le mogli, ma, con i tempi che corrono, è sempre più difficile per costoro poterli soddisfare, privandosi di una parte della sparuta mandria bovina. In un altro incidente, verificatosi a Mwanza nel nord ovest del paese, una vedova trentanovenne di nome Rose Mkoloto si è accanita contro il cognato per ottenere i 1.625 dollari della pensione del marito deceduto, sostenendo che costui, imbrogliandola, glieli voleva sottrarre.

Anche il governo ammette che vecchie norme, credenze e altri cosiddetti valori tradizionali, praticati tuttora da molti gruppi sociali del paese, sono stati e sono ancora la causa principale della discriminazione della donna. La direttrice del Servizio di Genere del Dipartimento della Funzione Pubblica, Joyce Kafanabo, afferma che nel sistema di valori tradizionale, alle donne viene fatto credere che gli uomini sono coloro cui spettano le decisioni in famiglia, sono i capo clan, hanno l’ultima parola ed è permesso loro di fare tutto quello ciò vogliono, senza minimamente ascoltare il parere delle loro compagne. Questi concetti vengono inculcati nella testa delle donne fin da quando sono bambine, tanto efficacemente che ancor oggi ci sono molte donne che non se la sentono di fare lavori che esse stesse ritengono riservati agli uomini.

La direttrice ha recentemente detto ad un convegno sul genere e sulla sensibilizzazione gestionale che tali profondi squilibri culturali si riflettono anche su aspetti istituzionali e di guida del paese. Con la scusa, per esempio, che mancano bagni per le femmine, scuole governative come l’Istituto per l’Acqua Rwegalurila di Dar es Salaam e l’Istituto Mzumbe per la Gestione dello Sviluppo di Morogoro, iscrivono normalmente molti più studenti che studentesse! Nessuna meraviglia, quindi, che nel governo i posti di maggior rilievo siano ricoperti in misura schiacciante dagli uomini.

Comunque, alcune espressioni femminili della società civile tanzaniana hanno cominciato a destarsi e a lottare per una forma di liberazione della donna. L’Associazione Tanzaniana delle Donne Guida in Agricoltura ed Ambiente (TAWLAE ) è una di queste. Ha partecipato ad iniziative di trasferimento tecnologico a livello di base, occupandosi principalmente di tecniche di riduzione del carico di lavoro in agricoltura e di attività generatrici di reddito. La TAWLAE crede fortemente nell’approccio partecipativo, fin da quando nel ’95 è stata registrata come organizzazione non governativa e raccoglie i suoi membri all’interno delle istituzioni governative che agiscono nel campo dell’agricoltura, delle risorse naturali e dell’ambiente.

Un’altra entità che lotta per l’emancipazione della donna è l’Organizzazione Kivulini per i Diritti delle Donne ( KWRO ). Ha lanciato una campagna per migliorare la consapevolezza della violenza nelle comunità, mirata a stimolare un dialogo sull’argomento. La coordinatrice, Maimuna Kanyamala, dice: " Stiamo cercando di incoraggiare i membri della comunità a cominciare ad opporsi alla violenza contro le donne. Quando un uomo muore, per esempio, la comunità non trova di meglio che dire che era stato stregato dalla consorte; questo naturalmente alimenta violenza." In genere, comunque, le ricerche provano che le cause principale di violenza domestica sono l’infedeltà, l’alcoolismo e la cattiva gestione delle risorse famigliari da parte degli uomini capofamiglia .

La Fondazione per l’Assistenza Internazionale alle Comunità ( FINCA) è un’altra organizzazione che si batte per l’emancipazione delle donne tanzaniane. E’ riuscita a garantire prestiti per un totale di quasi 7 milioni di dollari a 14.000 donne che hanno intrapreso iniziative imprenditoriali nell’area di Mwanza, Bukoba, Mara, Shinyanga, Morogoro e Dar es Salaam. L’ammontare dei prestiti è stato di 38 fino a 6.250 dollari per beneficiario. L’organizzazione è presente anche in Uganda, Zambia, Sud Africa, Malawi, Europa ed America Latina.

Ma, forse, il nuovo aspetto più importante riguardo l’emancipazione della donna risiede nel fatto che la Tanzania si sta finalmente fermamente muovendo verso l’inclusione delle problematiche di genere nella pianificazione nazionale, intenzionata a incorporare la discriminazione fra uomo e donna nei programmi di sviluppo strategici. Il sottosegretario del Ministero dello Sviluppo Comunitario, delle Questioni delle Donne e dei Bambini, Mary Mushi, informa che ben sei ministeri sono già riusciti ad includere aspetti legati al genere nei loro piani e nei loro budget; si tratta di Sanità, Educazione e Cultura, Amministrazione e Governo Regionale, Sviluppo Idrico e del Bestiame, Agricoltura e Sicurezza Alimentare, Sviluppo Comunitario e Questioni delle Donne e dei Bambini.

Per concludere, Rita Mlaki, vice ministro del Commercio ed Industria, afferma solennemente che oggi l’Africa ha bisogno estremamente urgente di una rapida quanto profonda trasformazione. Deve assolutamente, e al più presto, modificare radicalmente una conformazione mentale cieca ai problemi dei diritti delle donne.