Diritti Animali

La vicenda simbolo dell'animalismo italiano

«Chiudere Morini» Animalisti in campo per salvare i beagle

16 maggio 2005
Federico Primosig

, La vicenda simbolo dell'animalismo italiano degli ultimi dieci anni inizia in modo del tutto casuale, un giorno di maggio del 2002. Un camion da trasporto, pieno di cani beagle destinati alla vivisezione, viene fermato dalla polizia alla frontiera con l'Austria per un controllo di routine. Il mezzo, giudicato dagli agenti «inadatto al trasporto degli animali», viene costretto a rientrare al luogo di partenza: l'indirizzo è l'allevamento Morini di S. Polo D'Enza, provincia di Reggio Emilia.

La vicenda finisce su stampa e tv e fa scoprire al pubblico l'esistenza di questo allevamento e la triste sorte dei moltissimi animali che hanno la sfortuna di finirci dentro. E non sono solo i cani. L'allevamento di beagle di razza "Stefano Morini Sas", fondato nel 1953, in realtà "tratta" anche molte altre specie di animali utili per gli esperimenti da laboratorio. E tra i clienti dell'allevamento, più che gente in cerca di un amico a quattro zampe, ci sono laboratori farmaceutici, centri di ricerca sparsi in tutta Italia, dipartimenti di università statali che si riforniscono presso la Morini della "materia prima" per gli esperimenti.

Oltre alle irregolarità nel trasporto dei cani, però, alla società vengono contestate, e dimostrate, anche la falsificazione dei libretti sanitari dei cuccioli, la loro mancata iscrizione all'anagrafe canina, l'uso di un inceneritore di carcasse inadatto (che è stato quindi sequestrato) e, persino, l'assenza di una licenza specifica per l'allevamento di cani.

L'emergere della storia porta alle prime azioni animaliste con lo scopo di boicottare l'attività dell'allevamento. I presidi iniziali, che tra i compiti avevano quello di segnalare le targhe dei furgoni utilizzati per il trasporto di cani, danno vita ad un "Coordinamento nazionale per chiudere Morini", oggi una delle realtà animaliste più diffuse ed efficaci in Italia (il cui bollettino periodico è scaricabile dal sito www. chiuderemorini. net). L'obiettivo del Coordinamento è la chiusura dell'allevamento in cui tuttora si trovano, in attesa del loro destino, più di 600 cani beagle e centinaia di altri animali. Topi, ratti, porcellini d'india, criceti e conigli.

L'occasione per incontrare e conoscere gli attivisti del Coordinamento è una serata "benefit" per il sostegno delle attività, ospitata in uno spazio romano occupato, non nuovo ad iniziative in favore di cause animaliste.

A parlare è un giovane di 26 anni che vive a Milano, lavoratore di un canile e attivista nel tempo che gli rimane. Si capisce dallo sguardo che ha deciso di dedicare buona parte della sua vita alla difesa dei diritti degli animali, categoria di vivi in questo mondo che senza l'attività degli attivisti o delle associazioni animaliste non potrebbe neanche esprimersi, figuriamoci difendersi. «E' raro - spiega - che qualcuno di questi cani abbia la fortuna di sfuggire al suo destino». Tra i fortunati c'è il beagle "DL4", una sigla che sta ad indicare che il cane ha vissuto a lungo in un laboratorio come cavia per il DL50, un test di tossicità che viene interrotto solo quando la metà dei soggetti presi in esame muore per asfissia, soffocamento o arresto cardiaco.

"DL4" è stato venduto dall'allevamento Morini ad alcuni laboratori farmaceutici in provincia di Milano, dove è stato costretto a subire esperimenti fino a che l'impegno di alcuni volontari non gli ha restituito la libertà. Il periodo di recupero è stato duro: per sei mesi "DL4" ha vissuto ignorando qualunque stimolo esterno, uscendo dalla buca che si era scavato unicamente per nutrirsi. Fino a quando, un giorno, vedendo per l'ennesima volta la persona che si stava prendendo cura di lui, invece di rintanarsi come al solito, si è avviato scodinzolando verso il cancello e cominciando a guardare negli occhi questo nuovo mondo e le sue persone.

Il Coordinamento ha prodotto una vasta documentazione relativa ai numerosi presidi e alle azioni dimostrative compiute finalizzate a disturbare le attività dell'allevamento. Inoltre, sono state raccolte numerose testimonianze su quello che vi succede all'interno. Forse la più inquietante è quella di un ex dipendente di una ditta di idraulici: «Ai topi risultanti in eccesso venivano inferti colpi di martello e ammassati ancora vivi in sacchi per l'immondizia e quindi gettati nei forni inceneritori. Mi accorgevo che erano ancora vivi, in quanto rosicchiavano la plastica dei sacchi. […] ho potuto constatare le pessime e vergognose condizioni igieniche in cui vengono tenuti i cani: quelli di razza Yorkshire sono stipati in box di cemento a decine e costretti a vivere fra i loro escrementi in un fetore insopportabile. […] ho avuto modo di assistere alle varie fasi di caricamento sul camion dei beagle destinati ai laboratori di vivisezione in Italia e all'estero. Dapprima venivano stipati a forza di calci e pugni in gabbie strettissime e poi caricati su camion non adibiti al trasporto di animali. […] Posso confermare che all'interno dell'allevamento i cuccioli di cane nati con qualche difetto, o deboli o ammalati, oppure in sovrannumero, vengono buttati vivi nell'inceneritore». Una dichiarazione agghiacciante per la quale l'operaio si è beccato una denuncia per diffamazione.

Ma l'attività del Coordinamento ha sortito qualche effetto. Per esempio, nel 2002 l'Emilia Romagna ha approvato una legge regionale che vieta l'allevamento di animali destinati alla vivisezione sul proprio territorio, impedendo dunque alla Morini di vendere animali a laboratori che li utilizzino a quello scopo. Il divieto, purtroppo, è rimasto in vigore fino al giugno scorso, quando il ministro per gli affari regionali La Loggia ha impugnato la legge facendola annullare dalla corte costituzionale e consentendo quindi alla Morini di riprendere l'attività.

Molti clienti dell'allevamento, comunque, in seguito alle numerose lettere di protesta dei cittadini, hanno interrotto i rapporti commerciali. «L'aspetto più inquietante di quest'ultimo periodo - dice ancora Carlo - è il tentativo, coerente con il clima generale di criminalizzazione delle lotte, di schiacciare il movimento animalista con la repressione: si viene denunciati anche solo per aver gridato un semplice slogan».

E' in questo clima che, il 20 novembre 2004, si è svolto a S. Polo D'Enza il terzo corteo internazionale, dove le oltre 1.500 persone presenti si sono trovate a dover affrontare numerose cariche da parte delle forze dell'ordine, senza alcuna via di fuga. «Tra i manifestanti che hanno subito le cariche c'erano donne con bambini, un ragazzo con le stampelle, un altro su una sedia a rotelle e persone tra i 15 e i 60 anni; il bilancio finale conta varie ossa rotte e una mascella massacrata, oltre al furgone del sound system fracassato a colpi di manganellate per poterne estrarre il guidatore».

In seguito a quella drammatica giornata, che ha anche provocato un'interrogazione parlamentare, la questura di Reggio Emilia ha vietato qualsiasi tipo di manifestazione o presidio sul territorio di S. Polo D'Enza. Non che il divieto abbia fermato l'attività degli animalisti. Anzi, sono nati i cosiddetti "non presidi", ovvero staffette finalizzate a garantire la permanenza costante di almeno due persone alla volta (numero insufficiente anche per poter ipotizzare il reato di adunata sediziosa) davanti all'allevamento Morini. Inoltre, il 19 maggio si svolgerà una giornata di protesta on-line per colpire i server coinvolti con la vivisezione e, dal primo luglio, è in programma il secondo incontro sulla liberazione animale, una tre giorni di incontri, dibattiti e iniziative.

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