Sui termovalorizzatori parole non mantenute: la Provincia di Matera aveva detto no

Due termovalorizzatori in Basilicata: uno per provincia! È quanto ha stabilito la Regione col Bur numero 48. L’atto amministrativo del 16 dicembre scorso sconfessa di fatto la posizione espressa in più occasioni dalla Provincia di Matera.
16 gennaio 2011
Enzo Palazzo
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

incenerimento rifiuti Due termovalorizzatori in Basilicata: uno per provincia! È quanto ha stabilito la Regione col Bur numero 48. L’atto amministrativo del 16 dicembre scorso sconfessa di fatto la posizione espressa in più occasioni dalla Provincia di Matera, che però è stata nuovamente confermata dal vicepresidente Giovanni Bonelli alla Gazzetta: “niente termovalorizzatori nel materano”. Delle due l’una: o i due enti istituzionali non si parlano o la Regione non tiene conto delle volontà della Provincia in tema di rifiuti. Il Bur prevede anche un impianto di compostaggio per il compost di qualità (concime biologico per terreni) in provincia di Potenza, dove non è ancora funzionale la raccolta differenziata, non ne cita di nuovi in provincia di Matera, dove invece occorrerebbero con urgenza, visto che esistono diverse realtà positive in tema di differenziata e vista l’emergenza nitrati dei terreni sempre meno fertili del Metapontino.

In appoggio ai due inceneritori, sono stati previsti anche due impianti per realizzare il Crd-Q dai rifiuti prodotti dalle famiglie e dalle imprese lucane. Il Cdr-Q è il “combustile” che dovrà alimentare le fornaci dei due inceneritori per produrre energia elettrica. La quale, come è noto, non va a ridurre costi e consumi di imprese e famiglie lucane, ma viene venduta ai gestori nazionali, i quali, a tariffa di mercato, la mettono in bolletta e chiudono in tal modo un ciclo non virtuoso che vede il cittadino e le imprese costretti a pagare un’infinità di volte lo smaltimento dei propri rifiuti: prima con la Tarsu, poi con i contributi pubblici alla realizzazione degli impianti di incenerimento, poi ancora con i vari incentivi energetici, finanziati col 7 per cento di ogni bolletta Enel (l’Italia è l’unico Paese europeo che ha assimilato i rifiuti alle fonti rinnovabili) e, infine, con vari passaggi di mercato tra produttori e gestori.

Contraddizione: Previsto anche un impianto di compostaggio ma non a Matera dove serve

Il Crd-Q, si legge sul sito della Pirelli Ambiente, è una miscela composta dalla frazione secca dei rifiuti solidi urbani e da componenti ad elevato potere calorifico, tra cui granulato di gomma (i pneumatici fuori uso) e plastiche non clorurate, le famose ecoballe. Insomma, quanto di meglio ci sia per scatenare una guerra con gli ambientalisti che imputano ai termovalorizzatori grossi rischi per la salute umana, sia per l’immissione in aria di diossina e polveri che di metalli pesanti nelle falde freatiche. Come accaduto non in Kazakistan o in altre sperdute lande della Terra, ma in Basilicata, a Melfi, con l’inceneritore Fenice che ha inquinato le falde locali.
Gli inceneritori, inoltre, hanno bisogno di una parallela politica di conferimento in discarica (e ultimamente la Regione sembra andare verso l’ampliamento delle attuali discariche) e, come spiega ottimamente Paul Connet, il padre della politica di “Rifiuti Zero”, in conferenza a Potenza e a Matera in questa fine settimana, non risolvono il problema per cui vengono imposti ai cittadini, ma semplicemente, lo ritardano. Riducendo ad un terzo il volume iniziale dei rifiuti bruciati, anziché colmare una discarica in un anno, lo faranno in tre anni e a prezzi maggiorati. Il rifiuto bruciato da non pericoloso, passa, infatti, a rifiuto speciale pericoloso, da riversare in specifiche discariche al costo medio di 400 euro la tonnellata. Dove è l’affare per i cittadini?

Un accordo di programma per invogliare i cementifici a sostituire il combustibile tradizionale con i rifiuti

In Regione, in merito agli impianti provinciali per il Cdr-Q, ancora non possono fare “una stima realistica sui tempi di realizzazione”, ma sanno già chi può bruciare in tempi rapidi il Cdr-Q, probabilmente da importare da altre realtà. Il Bur, infatti, auspica un “Accordo di Programma” per consentire ai cementifici locali di sostituire i loro tradizionali combustibili con il misto di rifiuti urbani, ecoballe e pneumatici usurati.

A tal proposito, si riporta la posizione di Paul Connett, professore di chimica generale, chimica ambientale e tossicologia dell’Università St. Lawrence nello Stato di New York: “utilizzare i forni dei cementifici è ancora più pericoloso che incenerire i rifiuti in inceneritori nati per questo scopo. Le sostanze tossiche non possono che percorrere due strade: o vengono immesse in atmosfera o vengono inglobate nel cemento” e, dal cemento, direttamente nelle case della gente. Senza dimenticare che i cementifici, a differenza degli inceneritori, hanno meno strumenti di rilevazione delle loro emissioni, non sono equipaggiati con sistemi di abbattimento dei fumi di combustione, godono di limiti più alti per le emissioni, rispetto a quelli di un termovalorizzatore e, spesso, sono ubicati nella periferia cittadina, quindi in zone residenziali. Infine, bisogna ancora considerare che la massa di emissioni nell’ambiente dei cementifici è enorme poiché le portate volumetriche di fumi che vengono scaricati sono elevate.

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