Conflitti

Indagine su coloro ai quali giovi questo crimine

I retroscena dell'assassinio di Rafik Al Hariri

L'ombra degli Stati Uniti e di Israele dietro la morte dell'ex premier libanese. Una manovra anti-siriana.
Antonella Ricciardi

La presidenza di George W. Bush è caratterizzata da una più chiaramente espressa forma di imperialismo. Anche in conseguenza del ruolo deterrente svolto dall'esistenza dell'Unione Sovietica, infatti, le precedenti amministrazioni americane erano molto meno esplicite nel presentare i progetti di dominio che comunque non mancavano di perseguire. Tuttavia, anche per il prodotto più marcio del governo di Bush jr, cioè le guerre preventive, naturalmente sono state poste varie giustificazioni, gradualmente tutte poi smentite dalla Storia. Un possibile nuovo obbiettivo di guerre preventive e/o di cambi di indirizzo politico pilotati dagli americanisti è attualmente il Libano. L'occasione data è stata il recente assassinio dell'ex primo ministro di quel Paese, Rafik al-Hariri. Eppure, in questo caso particolarmente, ci sarebbe da chiedersi il classico «Cui prodest?», «A chi giova?». Infatti, gli Stati Uniti vorrebbero cogliere questa occasione per addossarne la colpa alla Siria, nazione storicamente influente sul Libano, per imporre un cambio d'indirizzo politico nel Paese dei cedri, probabilmente con un intervento diretto, anche armato, contro la Siria, che tanto conta in terra libanese. Tuttavia, proprio la Siria si dimostra la forza che meno avrebbe avuto interesse ad ordinare questo crimine nei confronti dell'ex premier libanese. Hariri, infatti, pur perseguendo una politica di maggiore autonomia nei confronti della Siria, era tutt'altro che un antisiriano. Uomo politico noto già dagli anni ottanta, fu imprenditore e promotore di una politica liberista, non sempre considerata senza ombre. Hariri era parte della comunità sunnita: infatti in Libano, per un patto tra comunità differenti, il presidente del Consiglio deve essere appunto sunnita, il presidente della Repubblica un cristiano ed il presidente del Parlamento uno sciita; essendo comunque il Libano una repubblica parlamentare, il presidente della Repubblica conta meno del Presidente del Consiglio: il ruolo di Hariri fu quindi particolarmente di primo piano. Comunque, la visione di Hariri rimaneva differente da quella del druso Walid Joumblatt, lui sì decisamente impegnato per un distacco dalla politica siriana, in concerto con alcune fazioni cristiane. I primi interessati ad ottenere vantaggi dall'uccisione di Hariri sono esattamente Israele e gli U.S.A., ma già circa dieci ore dopo l'attentato, senza alcuna prova della responsabilità del presidente siriano Bashar el Assad, gli americani ritiravano il proprio ambasciatore da Damasco. Molti statunitensi sono peraltro dietro manifestazioni a Beirut che associavano l'assassinio di Hariri ai siriani (sul modello di alcune delle manifestazioni svoltesi di recente in Georgia ed Ucraina), eppure contro le ingerenze americane in Libano e Siria è sceso in piazza quasi tutto il Libano.... Per il momento gli americani hanno chiesto il ritiro dei 15.000 soldati siriani in Libano, considerandoli alla stregua di una forza di occupazione, mentre il governo libanese li ritiene operanti in base ad un accordo tra due popoli indipendenti, contraddicendo con ciò anche una risoluzione dell'O.N.U., pilotata dagli Stati Uniti, e non voluta da quasi alcun partito in Libano. Attualmente si è così arrivati ad un ridispiegamento dei militari siriani in Libano. E' chiaro che il Libano ha diritto a tutelare la propria indipendenza sia rispetto alla Siria sia rispetto ad Israele e agli U.S.A., ma è naturale che qui gli americani vorrebbero solo scalzare la Siria per installare in Libano un regime loro satellite. Sul fronte internazionale, comunque, la Siria non è del tutto isolata, dato che, ad esempio, il governo russo ha dichiarato che procederà, malgrado le obiezioni di Sharon, alla vendita di missili terra-aria SA-18 al governo di Damasco. Tutto ciò può avere senz'altro un valore deterrente per il governo di Washington, scoraggiandolo a procedere verso nuovi passi militari. Come si presenta invece, più in dettaglio, la situazione in Libano? E' importante tenere presente che la situazione interna in Libano vede l'ingerenza del cosiddetto Comitato Statunitense per un Libano Libero (USCFL), creato nel 1997 da un banchiere di Wall Street, Ziad K. Adbelnour, con doppia cittadinanza, libanese ed americana. Adbelnour proviene da una famiglia nella quale sono numerosi i politici, ed in particolare un suo cugino acquisito, Karim Pakradouni, è il presidente della Falange, espressione principale di una delle comunità cristiane del Libano, e cioè di quella cristiana maronita, della quale anche Adbelnour è parte. Questo Comitato è profondamente filoisraeliano e filoamericanista, ed i suoi patrocinatori, è triste ricordarlo, sono stati i neoconservatori, attraverso l'Istituto Americano per l'Impresa, ed il Jewish Institute for National Security Affaire (Jinsa), associazione ebrea legata al Likud, il partito di Ariel Sharon. Per l'USCFL è fondamentale una intensa propaganda, per cui, dal 1999, l'organizzazione ha un suo bollettino, il Middle East Intelligence Bullettine (Meib), che si è distinto nell'accusare i ba'athisti siriani dell'attentato ad Hariri. Non si tratta di una novità, dato che in passato ambienti falangisti (cioè Kataeb) avevano accusato la Siria di avere delle responsabilità nelle stragi di Sabra e Chatila: si era trattato di un'accusa rivelatasi del tutto infondata, dato che la zona di Beirut dove erano quei campi profughi era militarmente occupata proprio da militari israeliani e falangisti, cioè da entrambe le parti che furono le vere responsabili del crimine. Questa spregiudicatezza di filoimperialisti ed americani non deve meravigliare, purtroppo, dato che in quegli anni il presidente americano Reagan era solito soprannominare il Libano «scatola di vermi», attribuendo ingiustamente la responsabilità della degenerazione del conflitto in quella terra alle formazioni libanesi progressiste e palestinesi. Tutto questo si è riflettuto, sotto forma di propaganda, anche nei Paesi legati agli Stati Uniti. Un esempio di particolari inesattezze e deformazioni sull'argomento è ad esempio dato dal testo di Giovanni Desio contenuto in questo link in Internet: http://www.giovannidesio.it/riflessioni/giugno%2005/0627%20sabra%20e%20chatila.htm frutto appunto dello stesso stile di pensiero di chi attualmente vuole attribuire al Ba'ath siriano una responsabilità nell'attentato a Rafik Hariri. Pakradouni, intanto, rendendosi conto della esposizione cui andava incontro, ha cominciato ad avere una posizione di più basso profilo sulla questione Hariri, addirittura associandosi alla manifestazione di un milione e mezzo di libanesi a favore della Siria! Eppure, nell'ombra Pakradouni continua a tramare contro la Siria ed a favore di Israele. L'ambiente cristiano maronita frequentato da Pakradouni, poi, è impregnato di spirito di crociata nel senso più letterale del termine ed è sostenitore anche del cristiano-sionismo, cioè di quella aberrazione, più diffusa in realtà in alcuni membri di sette protestanti di radice anglosassone, che non legge la Bibbia alla luce del Nuovo Testamento, e può ad esempio ritenere valido tutt'ora il precetto anticristiano del popolo eletto, tanto per fare solo un esempio tra i diversi possibili. E' importante ricordare, poi, che la comunità maronita in Libano storicamente considera di discendere da gruppi etnici non arabi, fusisi coi crociati: ed in effetti in Libano i maroniti parteciparono alla Crociate a differenza degli altri gruppi cristiani orientali che le combatterono, e tra i maroniti sono diffusi ordini cavallereschi proprio di origine crociata. Esistono poi persone di rito maronita (rito cattolico orientale nato molto prima delle Crociate: nel V secolo dopo Cristo ad opera del santo siriano Marone) di origine prearaba, effettivamente: a Cipro c'è questa piccola minoranza, che, pur parlando il greco nella vita quotidiana, ha infatti per lingua liturgica l'aramaico, segno di questa ascendenza. Inoltre ci sono arabi di confessione maronita di varie nazionalità, sono cioè egiziani, siriani e palestinesi. Questi ultimi in particolare hanno sempre combattuto al fianco degli altri loro connazionali, ed un loro campo profughi, Jisr Al Basha, è stato più volte sanguinosamente assediato proprio dai falangisti maroniti crociati, in Libano, in modo particolarmente intenso nel 1976. Diverse sono poi le comunità di confessione maronita emigrate in altri continenti. La posizione dei maroniti in Libano è attestata da varie fonti interessanti, tra le quali, solo per citarne due tra le diverse possibili da consultare, un articolo di Sandro Viola su la Repubblica dell'aprile 1995, in occasione del ventesimo anniversario dell'inizio della guerra civile libanese, ed il libro «Io sono un fedayn» di Mahmoud Issa alias Selim, storia vera di un dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, edita in Italia da Ciarrapico (Roma, 1977, uscito però per la prima volta in Francia). Issa, che in un primo tempo sperava ancora che il conflitto con questi fosse evitabile, deve poi ricredersi, e scrive, a proposito anche del loro leader di allora della Falange, Gemael (Gemayel): «Chi è Pierre Gèmael? E' il rappresentante di una fazione [...] la cui unica preoccupazione è difendere i loro privilegi [...] è sostenuto dall'imperialismo americano e dal sionismo [...] Ha creato un corpo di giovani Kataeb, i quali ricevono un addestramento meno intensivo dei nostri “Leoncini”, ma portano un'uniforme. Gli viene insegnato che non sono arabi e che nel Paese non devono accettare alcuna presenza araba.[…] Fin da bambini, i ragazzi di una famiglia Kataeb imparano ad odiarci […] Il Presidente della Lega Araba venne personalmente in Libano per tentare di mettere fine al conflitto. Si era impegnato a non prendere contatto con i Kataeb, dal momento che rappresentavano una piccola fazione del Paese, membro della Lega Araba. Mahmoud Ryad, si incontrò dunque, con tutti i leaders politici. […] Ricevemmo centinaia di lettere di Kataeb che si dicevano in disaccordo con Pierre Gèmael. Molti di loro ci mandarono anzi le loro armi, dicendo che dovevamo adoperarle contro Israele e che avremmo dovuto avvertirli in caso di conflitto. Così la battaglia non fu del tutto inutile. Pierre Gèmael aveva perduto politicamente e militarmente. Noi, da parte nostra, avevamo un piano preciso, ignorare i falangisti, non parlare con loro e lottare fino a che non fossero stati esclusi dal governo. I Kataeb non sono gente con la quale si può negoziare, capiscono soltanto la voce delle armi». E' importante sapere inoltre che, durante l'invasione israeliana del 1982, gli estremisti maroniti cercarono di ritagliare una fetta di territorio dal Libano, in una loro enclave chiamata Marunistan, per insediarvi uno Stato guidato dai soli maroniti, in teoria del tutto indipendente, nei fatti satellite dello Stato ebraico. Ed anche in occasione del barbaro delitto di cui è stato vittima Hariri Tel Aviv potrebbe cercare di approfittarne, magari accusando di antisemitismo chi non ne sostenga gli obbiettivi: eppure, a parte il termine improprio, sono semiti anche gli arabi palestinesi.... Solo con questa sicurezza di farla franca si può ad esempio spiegare una recente affermazione della giornalista e colona ebrea Fiamma Nirenstein (vive alternativamente in Italia ed a Ghilo, insediamento espropriato a terra palestinese presso Betlemme, che si vuole far passare come invece parte di Gerusalemme), la quale sulla seconda rete della RAI ha dichiarato che a Jenin non c'è stato alcun massacro. Evidentemente per la Nirenstein circa 200 palestinesi uccisi nel campo profughi di Jenin (Mohaian Jenin) nel 2002 si spiegano con la legittima difesa da parte ebraica, che invece stranamente non ha avuto quasi alcun morto... In realtà la delegazione internazionale che doveva indagare sugli avvenimenti a Mohaian Jenin non è stata lasciata libera di operare, per cui non è potuta arrivare alla conclusione di un volontario ordine di massacro da parte di Sharon: ma se Sharon non avesse avuto nulla da nascondere non si capirebbe perchè abbia intralciato le indagini. E rimane la realtà della strage di circa 200 abitanti del campo profughi di Jenin, molti dei quali morti dissanguati e sotto le rovine delle proprie baracche distrutte. Non ci sono molte speranze di cambiamento quando il deputato ebreo israeliano Yehil Hazan apertamente dichiara: «Gli Arabi sono dei vermi. Ovunque si trovino sono dei vermi, sottoterra o in superficie». Queste calunnie di Hazan sono espresse apertamente anche a causa dell'acritica protezione U.S.A. allo Stato ebraico, che possono essere rese drammaticamente più evidenti da queste tristi dichiarazioni di Zbgniew Brzezinski, che nel suo libro «Il grande scacchiere» così sintetizza gli imperativi a stelle e strisce: «Prevenire l'unione degli Stati vassalli mantenendoli nel loro stato di dipendenza, mantenere i sottoposti obbedienti e sotto protezione, impedire che i barbari si riuniscano». Tuttavia rimane viva la speranza che le cose non andranno indefinitivamente così: del resto, proprio Brzezinski, che ebbe parte nell'amministrazione Reagan, scrisse il famoso testo «OLP addio», ma l'OLP esiste ancora e così il movimento di liberazione e di autodeterminazione palestinese.

Note: http://www.antonellaricciardi.it

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