Afghanistan: 29% di vittime civili in più rispetto al 2009
A riportare l'attenzione del mondo sul suolo afghano sono, purtroppo ancora una volta, le vittime. Questa volta, però, quelle nostrane. Il “Rapporto sulle vittime civili della guerra” stilato dalla “Commissione afghana indipendente per i diritti umani” e dall' “Unama” (la missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan). Il rapporto rende noto che, durante il 2010, le vittime civili sono state 2.777. Si tratta del numero più alto dall'inizio della guerra. Il rapporto ha suscitato scalpore perché ha sottolineato che le vittime civili, per il 76% dei casi, sono state provocate dalle azioni e dagli attacchi sferrati dagli insorti. Mentre le forze armate governative ed internazionali sono colpevoli del 16% delle vittime.
Gli insorti ritengono che questi documenti abbiano, alle spalle, ragioni politiche e che vengono messi a punto per rispondere agli interessi delle forze Isaf-Nato. Pertanto hanno sollecitato un'inchiesta per verificare l'attendibilità di questi rapporti. Inoltre i Talebani definiscono il documento uno ''strumento di propaganda per nascondere le brutalità americane'', sono convinti che è ''basato su dati che non sono altro che congetture'', e che vengono quindi ''respinte categoricamente'' dal movimento.
Le modalità di combattere la guerra, a quanto pare, fanno la differenza. Infatti l'aumento del 15% delle vittime civili mietute dal “fuoco amico” potrebbe essere ricondotto al cospicuo numero di persone che perde la vita a causa degli attentati suicidi e degli ordigni esplosivi preparati, e posti, dalle forze pro-talebane sui bordi delle strade e i luoghi pubblici di passaggio e, alle volte, affollati.
Il nord dell'Afghanistan è la parte del paese a pagare il numero di vittime più alto.
C'è anche da sottolineare che le uccisioni dei civili messe in atto dagli insorti sono mirate a esponenti della diplomazia, funzionari governativi, operatori umanitari e tutti i civili collaboratori o presunti sostenitori, del governo Afghano, delle forze U.S.A. e dei suoi alleati.
Questo continuo stato di allerta da parte degli esponenti governativi minaccia di rallentare ancora di più le operazioni ed i passaggi effettivi dei poteri politici e militari al governo Afghano. Il passaggio delle consegne, tra le forze internazionali e il governo di Hamid Karzai, è previsto per l'estate di quest'anno. Mentre Washington e gli alleati vorrebbero ridurre gradualmente il numero delle forze armate, che oggi vede circa 150mila unità sul suolo Afghano.
Le regioni dell'Afghanistan in cui i governatori locali sono protetti da forze militari Usa sono considerevoli. Questi si muovono di rado per timore di lasciare la pelle, proprio nelle zone da loro amministrate. L'allerta su tutto il territorio rimane molto alta e tocca anche coloro che lavorano con le organizzazioni per lo sviluppo. Staffan de Misura, inviato ONU in Afghanistan riferisce che “ la gente ha paura di andare a votare, ha paura di essere eletta, ha paura di partecipare nella società civile”.
Gli insorti vorrebbero tenere alta la tensione così da costringere la Nato a rimanere più tempo in Afghanistan ed avere la possibilità di nuovi scontri. Nonostante il Generale David Petraeus abbia di recente affermato che ci sono risultati positivi, le roccaforti talebane, nel sud dell’Afghanistan, sono ancora off-limits per la coalizione internazionale.
Questi numeri e queste somme non spengono comunque la rabbia dei famigliari delle vittime mietute dalle forze Nato che spesso cerca di insabbiare le proprie responsabilità. Resta il fatto che l’aumento del 29% delle vittime civili, rispetto allo scorso anno, non è certo motivo di vanto. Per nessuno. Soprattutto se si propaganda l’idea che la missione militare in quel paese sta per concludersi.
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