Conflitti

Saharawi: desasparecidos e prigionieri

Storie di ordinaria tortura

Intervista a una donna saharawi ex prigioniera del Marocco.
12 gennaio 2005
Paola Maccioni

Wilaya di Smara, campo profughi saharawi, 29 dicembre 2004 Hadrama mostra la foto di Ahmed Lemadeel, desasparecido dal 1976

Incontro Hadrama Abdrahman Badi e Hurria Ahmed Lemaadel in una saletta del protocollo di Smara. Le ho conosciute il giorno prima, durante l’incontro con l’associazione AFAPREDESA. Hanno raccontato le loro storie, in modo generico, chiedendo poi che venissero portate a conoscenza del mondo. Storie di disperazione per i desasparecidos, per la prigionia. Storie uguali a quelle di tanti altri ex prigionieri o familiari di desasparecidos di tutte le latitudini. Storie che forse non raccontano più niente a nessuno, perché chi parla non ha volto. Ho chiesto d’incontrarle da sola, voglio sentire nomi, fatti, date e luoghi precisi. Accettano e si presentano puntuali, nonostante la tempesta di sabbia e la figlia di Hadrama ricoverata in ospedale.
L’intervista si svolge con l’aiuto di un traduttore: dall’assanya all’italiano.
Le domande sono poche e precise: nome, cognome, età. Motivo dell’arresto, periodo di detenzione, trattamento in carcere. Chiedo che tutto ciò che sarà detto sia circostanziato, non posso permettermi di raccontare storie generiche.

Hadrama Abdrahman Badi ha 54 anni e viene da Riscanagim, nel sud del Sahara Occidentale. Ha perso il marito in guerra; vive nei campi profughi di Tindouf con i suoi figli. È una delle fondatrici, nel 1993, di AFAPREDESA Associazione dei Familiari dei Prigionieri e dei Desasparecidos Saharawi, con sede a Rabouni.
Viveva in Smara, dove è stata arrestata nel gennaio del 1976.
Andava spesso a pigliare l’acqua al pozzo e la sera si serviva di una torcia.
Una sera le guardie marocchine la circondarono e l’accusarono di usare la torcia per fare segnalazioni al Polisario e indicare la posizione. Questo fu il pretesto dell’arresto. I marocchini sapevano che suo marito militava nel fronte Polisario. In casa avevano le bandiere, le carte del Polisario, ma lei continuò a negare di avere alcuna relazione dicendo: “ Non so cosa sia il Polisario, non so se è un animale…”, ma nonostante lei negasse, i soldati la obbligarono ad ammettere che conosceva il Polisario e che ne era una militante, circondandola con le armi e maltrattandola. Lei s’impaurì e disse: “ Guardate, in questa parte del mondo tutto è Polisario. Le pietre sono Polisario, le capre sono Polisario. Tutto è Polisario. Voi avete il vostro deserto e il vostro paese, quando noi cercavamo la nostra indipendenza voi ci avete aggredito”.
Le guardie la lasciarono, ma tornarono in forze dopo poco, mentre lei era in kaima e allattava la figlia più piccola. Le strapparono dalle braccia la bambina, buttandola sulla sabbia. Le legarono le mani e bendato gli occhi, poi la trascinarono dentro una macchina. Non sa dove la portarono. A un certo punto si ritrovò seduta su una sedia e qualcuno iniziò a schiaffeggiarla, invitandola a ripetere ciò che aveva detto al pozzo. Lei negò di aver mai detto che tutto era Polisario, negò di appartenere al Polisario e di sapere che cosa fosse. Le domandarono di fare i nomi dei suoi compagni e continuò a negare e a stare in silenzio. La tennero in carcere due mesi; poi ancora 15 giorni; poi ancora tre mesi. La rilasciavano e la riarrestavano sempre con il pretesto che fosse una militante del polisario. Per due anni entrò e uscì dal carcere. Il periodo più lungo di detenzione fu di tre mesi. Tutte le volte che entrava in carcere subiva violenze. Sempre bendata, riconosceva dalla voce alcuni prigionieri saharawi, quelli che abitavano vicino a lei, amici o parenti. Alcuni le gridavano il proprio nome. Lei è certa che Ahmed Lemaadel El Bou, il padre di Hurria, che oggi è dato disperso, fosse in carcere per un certo periodo… l’essere bendata non le impediva di prestare attenzione alle voci. Fra i prigionieri vi erano alcune donne gravide che hanno abortito: Daiga Benaissa, Khouita Hamad Hadda. Mariem Salma El Mailas, incinta di sette mesi, ha partorito in carcere un bimbo deformato dalle torture. È stata picchiata sulla pancia. A nessuna di queste donne fu prestata assistenza. Diciotto donne e venticinque uomini furono trasferiti da Smara a Laayoune. Solo undici uomini sono poi tornati a Smara, tre di loro gravemente handicappati. Degli altri non si sa più niente. Alcuni sono riusciti ad arrivare ai campi.
Chiedo a Hadrama se vuole dirmi che tipo di violenze ha subito.
Dagli schiaffi, ai colpi con il calcio dei fucili, ai calci con gli scarponi chiodati. Ha le cicatrici delle sigarette che le sono state spente sul corpo e in viso; le gambe e le ginocchia hanno i muscoli distrutti dall’elettricità. È stata denudata e distesa su un tavolo, prima prona e poi supina e frustata con le corde bagnate nell’acqua, fino a che la carne non si apriva. È stata bastonata sulle mani, sulle ginocchia e sui piedi. Nuda, è stata sospesa per i piedi al soffitto e picchiata. Con le mani legate dietro la schiena le hanno infilato la testa in una latrina…
Mi dice che ci sono ancora tanti tipi di tortura che ha subito. Le chiedo di non parlare più. La sua umiliazione è la mia.
Durante i periodi di carcere gli otto figli erano aiutati dal Polisario, dai parenti, dagli amici.
Dopo l’ultima prigionia, Hadrama era fuori della tenda che mungeva la capra. Un soldato marocchino di pattuglia le ordinò di entrare in kaima e lei si rifiutò, dovendo accudire all’animale. Venne percossa con il calcio del fucile e per reazione lanciò il recipiente del latte in faccia al soldato, rompendogli due denti. Fu condannata ad un anno, ma dopo venti giorni di carcere, nel 1979, durante la famosa operazione di Smara, venne liberata con altri detenuti e portata con i figli ai campi profughi di Tindouf.
Dal primo giorno dell’occupazione, i servizi marocchini avevano predisposto un elenco di Saharawi ritenuti pericolosi e da arrestare: Hadrama era il secondo nome sulla lista. L’attività del Polisario era sottocontrollo, le riunioni si tenevano sempre in posti diversi. Hadrama mi dice tranquillamente di essere sempre stata consapevole dei rischi che la sua militanza comportava. Era pronta a morire per la libertà. Molte donne saharawi hanno militato nel Polisario già all’epoca della colonizzazione spagnola.
Oggi vive nella wilaya di Smara dei campi con i suoi figli, alcuni dei quali hanno studiato a Cuba e in Algeria. Le chiedo cosa insegna ai suoi figli. “ L’educazione, la morale, l’amore per la patria, la jihad e la resistenza”. Mi risponde. Chiedo se prova odio per i marocchini. “ Non odio i marocchini, odio la loro politica e la loro amministrazione. Quando sento nominare il Marocco, il cuore mi si stringe.”

Hurria Ahmed Lemaadel ha 28 anni; vive nella daira Bir Lehlu, nella wilaya di Smara. È nata nei campi profughi e qui lavora, alla Media Luna Roca Saharawi ( Mezza Luna Rossa Saharawi), come psicologa, dopo la laurea conseguita a Cuba. È socia di AFAPREDESA: cerca notizie di suo padre, Ahmed Lemaadel El Bou, di cui non si hanno più notizie dal 1976. Mi dice che ciò che racconterà è quello che ha sentito dalla madre e dalle zie. Non ha mai conosciuto il padre. È scomparso prima che lei nascesse. È scomparso per causa sua, in un certo senso, e questo la distrugge.
Era la fine del 1975, la famiglia di Ahmed cerca di mettersi in salvo e di raggiungere il Polisario, nel Sahara algerino. La mamma di Hurria porta proprio lei, nel ventre. La fatica del viaggio, a piedi nel deserto, le provoca anzitempo le prime doglie. Ahmed decide di tornare indietro, alla kaima ( casa), per prendere coperte e generi di conforto per la moglie che rischia di partorire prematuramente. Da Quel momento solo Hadrama sentirà, in carcere, la sua voce. Lui sarà uno dei venticinque trasferiti al carcere di Laayoune. Uno di quelli di cui non si saprà più niente. Hurria racconta di essere viva solo grazie alla volontà delle zie, sorelle del padre, che hanno incoraggiato la madre a portare avanti la gravidanza e poi a mantenere la bambina. È facile capire i sensi di colpa, anche se razionalmente immotivati, di questa giovane donna. “ Scrivi la mia storia” mi dice. “ Aiutami ad avere notizie di mio padre. Voglio sapere se devo pensarlo vivo. Se devo pregare per lui, morto.”

Tante associazioni, tante persone, hanno chiesto notizie al governo marocchino, al re Mohamed VI. Ci provo anche io, in nome di Allah e della Pace.
Peacelink in Sahara per la Pace


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