Pomodoro doc, «made in Italy» dalla Cina. E con i veleni

Pechino ammette di aver esportato prodotti alimentari coltivati in terreni inquinati. La Coldiretti replica: «Ritiriamoli subito dal mercato»
28 agosto 2007
Giacomo Russo Spena
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il «made in China» colpisce ancora. Dopo i giocattoli al piombo, i dentifrici tossici e i vestiti cancerogeni, sotto il torchio finiscono i prodotti alimentari. Pomodoro, aglio, frutta secca, caramelle, biscotti, sottaceti, frutti di mare, per citare i maggiori. Sarebbero pericolosi per la salute a causa dei fertilizzanti utilizzati e per l'aggiunta di additivi nocivi. Il condizionale è d'obbligo, almeno finché le indagini sanitarie non appurano i reali danni.
L'allarme è partito dalla stessa Cina, con il vicepresidente della commissione per gli Affari rurali che ha rivelato l'inquinamento delle campagne del paese: «Circa 322 milioni di cinesi bevono acqua contaminata da oltre nove miliardi di tonnellate di liquami». E da lì provengono quelle coltivazioni messe sul mercato internazionale.
«Ritirare immediatamente i prodotti eventualmente pericolosi e garantire così la sicurezza dei cittadini», si è affrettata a dire la Coldiretti, preoccupata per una situazione che può avere serie conseguenze per la salute di milioni di persone. L'Italia è infatti fortemente interessata dalla vicenda, essendo un paese importatore del «made in China». In base ai dati forniti dall'Inea (Istituto nazionale dell'economia agraria) Pechino rappresenta il quarto fornitore estero, con una spesa annua di 14mila milioni di euro, di cui il 4% (pari a 409,1 milioni di euro) viene investito proprio in alimenti agricoli. Il pomodoro concentrato va per la maggiore, rappresentando da solo un terzo delle importazioni. La situazione peggiora ulteriormente a sentir la Coldiretti, che parla di un trend in crescita: «Nel primo trimestre del 2007 c'è un incremento del 78% dei prodotti agroalimentari cinesi sulle nostre tavole e del 150% del solo pomodoro concentrato».
L'inaffidabilità delle colture cinesi era nell'aria. A giugno le autorità di Pechino avevano annunciato la chiusura di 180 fabbriche agroalimentari, constatando problemi igienico-sanitari: facevano uso di ingredienti chimici tossici e illegali. Olii minerali derivati dal petrolio, paraffina, formaldeide e coloranti cancerogeni trovati nella farina, nelle caramelle, nelle conserve e i nei sottaceti. Gli Usa sono i primi ad aver iniziato una «guerra doganale» con la Cina. Dopo gli scandali dei cibi per cani avvelenati e le anguille addizionate con antibiotici, le autorità americane stanno bandendo dal mercato prodotti alimentari, e non, prima importati da Pechino. Ora il pericolo giunge in Italia. Dove importiamo prodotti di cui siamo anche grandi esportatori. Il motivo viene illustrato perfettamente dalla Coldiretti: «E' tutto un gioco di import-export. Gli alimenti vengono importati dalla Cina per il loro prezzo basso e poi inscatolati in Italia. Dato che non c'è obbligo di indicare la provenienza della coltura sulla confezione, l'alimento viene così italianizzato ed esportato come fosse prodotto sul nostro suolo».
Intanto la Confagricoltura, pur ammettendo che i coltivatori del Sol Levante utilizzano fertilizzanti «pericolosi», non condivide la campagna allarmistica: «Gli alimenti sono magari di bassa qualità ma niente è certo sui danni che procurano alla salute . Le norme italiane sono giustamente severissime sui parametri di sicurezza, però non passarli non corrisponde per forza a un pericolo». Sulla stessa scia c'è il ministro De Castro, che polemizza con la Coldiretti anche sui dati: «L'importazione del pomodoro nell'ultimo anno non è aumentato, anzi. Il problema è generale, non cinese. Certo - ammette - la salute del consumatore non va mai dimenticata e non bisogna sottovalutare la vicenda». Poi propone anche le soluzioni: «Qualità e tutela delle nostre produzioni attraverso l'indicazione dell'origine del prodotto». E su questo sono tutti d'accordo. Aumentare i controlli e introduzione sull'etichetta della provenienza della coltivazione sono i due cavalli di battaglia anche della Coldiretti. Per la felicità del buongustaio, così consapevole di quello che mangia.
Le multinazionali agroalimentari invece osteggiano la proposta dell'etichettatura, vedendo in essa una norma anti-concorrenziale. «Difendono i loro profitti - dice il verde Marco Lionna - dimenticandosi della salute dei consumatori».

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