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A nessuno piace caldo

Pubblichiamo, dal libro del presidente della Regione Toscana Claudio Martini «Cambiare aria al mondo - La sfida dei mutamenti climatici» edito da Baldini Castoldi Dalai, uno stralcio del capitolo scritto da Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti
21 marzo 2005
Al Gore
Fonte: www.lastampa.it
20.'03.05

Al Gore NEL 1968, alla vigilia di Natale, fu scattata una foto eccezionale. Allora la prima missione Apollo girò attorno alla Luna. Non vi atterrò, ma la Terra, quando la navetta spaziale uscì dalla faccia nascosta del nostro satellite, apparve in una prospettiva mai vista. Per la prima volta l’uomo vide «sorgere» il proprio pianeta. In quel preciso istante, nacque per molti il movimento ambientalista moderno. Due anni dopo venne organizzata la prima Giornata della Terra. I governi cominciarono a occuparsi, con sempre maggior frequenza, di temi ambientali.
Ogni nostro gesto, anche il più piccolo, ha conseguenze sul futuro della Terra. E la nostra Terra è chiusa, sempre di più, in una trappola ogni giorno più calda e soffocante.

Il sole ci riscalda, i suoi raggi raggiungono il nostro pianeta e poi tornano verso lo spazio, ma una parte di questa energia rimane prigioniera dell’atmosfera. Gas-serra e inquinamento l’hanno resa più densa e i raggi solari non riescono più a uscire da questa gabbia impalpabile. Questo è l’effetto serra, questa è la causa delle temperature sempre più alte.

Ho provato a immaginare un dialogo con una bambina, Susy, che sta mangiando un gelato. Ho chiamato questa piccola storia «A nessuno piace caldo».

Il gelato di Susy sta sciogliendosi. Le dico: «Ti stai chiedendo perché il tuo gelato è sparito? Il colpevole non è un mago sconosciuto: è il riscaldamento globale».

Susy è stupita: «Il riscaldamento globale?».

«Sì, e ora ti presento il signor Raggio di Sole. È arrivato direttamente da lassù per visitare il nostro pianeta».
Il Raggio si presenta: «Salve, ho fatto un salto per illuminare la tua giornata, ma ora devo già tornare verso casa».

Ma il Raggio non riesce a trovare la strada del ritorno, perché viene bloccato dai gas-serra: «Non così in fretta. Rimani e tra non molto i tuoi amici ti raggiungeranno. La Terra diventerà, così, ogni giorno più calda».
Susy si allarma: «Come possiamo sbarazzarci dei gas che intrappolano i raggi?».

«I nostri governanti hanno trovato una soluzione: dal 2063 faranno cadere, nelle acque degli oceani, un colossale cubetto di ghiaccio».

«Come fa mio padre ogni sera quando si beve un whisky? Lo vedo diventare ogni giorno più matto».

«Già, i gas-serra aumentano sempre di più e, ogni volta, avremo bisogno di quantità immense di ghiaccio. Il problema dovrebbe essere risolto alla radice. Non servono gli imbrogli né i trucchi».

Già, non servono gli imbrogli. Trentacinque anni fa ero come Susy: vedevo che il mio gelato si scioglieva e non capivo perché. Ero uno studente universitario e fu un mio professore a svelarmi il mistero. Lui fu la prima persona al mondo a misurare la quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera. Ne intuì i pericoli. Da allora i picchi di questo gas sono continuamente aumentati.

Nel 1976 sono stato eletto al Congresso degli Usa: la politica, con quasi vent’anni di ritardo, cominciò a discutere di riscaldamento globale. Invitai il mio vecchio professore al dibattito e scoprii, mio malgrado, che far comprendere al mondo della politica la gravità del problema era tutt’altro che facile. E la situazione stava peggiorando. Nel 1984 sono diventato senatore: il tema dei cambiamenti climatici dovuti all’effetto serra era al centro delle campagne elettorali democratiche. Nel 1992 fu approvata una imposta sulle emissioni di anidride carbonica: ma la legge non riuscì a superare il doppio esame dei due rami del Congresso. Nel 1997 ebbe inizio la campagna in appoggio al Protocollo di Kyoto: fu uno dei temi nei dibattiti elettorali del 2000. Il fronte delle grandi società petrolifere ci fu ostile: la lobby contro il Protocollo investì milioni e milioni di dollari contro la mia candidatura a presidente degli Stati Uniti.

Oggi il riscaldamento dell’atmosfera sta continuando a salire. Le conseguenze di questo fenomeno sono, ormai, sotto gli occhi di tutti. Sono visibili anche a chi non vuole vedere. Il riscaldamento globale sta facendo scomparire i ghiacciai cileni. Come quelli cinesi. Come quelli statunitensi. Ovunque nel mondo i ghiacciai stanno ritirandosi: in Perù come in Argentina. Sulle Alpi, pochi anni fa, è tornato alla luce il corpo congelato di un cacciatore preistorico morto migliaia di anni fa (L’uomo di Similaun, ndr.): il ritrovamento è stato possibile perché il ghiaccio che lo aveva sepolto per intere ere storiche si era, quasi improvvisamente, dissolto. In Antartide la coltre di ghiaccio può raggiungere uno spessore di tre chilometri. I cambiamenti che si stanno verificando in questo sesto continente sono impressionanti: iceberg dalle dimensioni spaventose, grandi come piccoli Stati, si stanno staccando dalla calotta antartica.

Gli scettici contestano le nostre preoccupazioni sul riscaldamento dell’atmosfera, negano la gravità del fenomeno. Ci dicono che ciclicamente il pianeta Terra subisce secoli di temperature più alte a cui fa seguito un lungo periodo di raffreddamento. È vero: nel Medioevo vi è stato un fenomeno di surriscaldamento ma non è paragonabile con quanto sta accadendo oggi ai ghiacciai: si stanno sciogliendo e nessuno lo può contestare. Fra mezzo secolo sarà ancora peggio. Nessuno può discutere questo dato. In Alaska edifici e infrastrutture costruiti anni fa sul ghiaccio della tundra stanno ormai crollando. I due poli si stanno riscaldando in maniera molto più rapida di quanto non avvenga nel resto della Terra. Almeno dal 1957, la Marina degli Stati Uniti, grazie ai suoi sottomarini nucleari, ha monitorato lo spessore dei ghiacci sotto il polo Nord: questi dati sono stati tenuti nascosti per anni e quando, dietro insistenza del Congresso, sono stati resi pubblici, vi è stata la conferma della drastica diminuzione di questa immensa coltre di ghiaccio. L’umanità sta assistendo a un conflitto di cui è parte in causa: è lo scontro fra il pianeta Terra e la civiltà che vi abita.

Vi sono tre ragioni alla base di questo conflitto così drammatico per il nostro futuro. La prima si chiama boom demografico. La popolazione umana sta crescendo in maniera inarrestabile. La civiltà dell’uomo mosse i primi passi 160.000 anni fa. Ai tempi di Giulio Cesare il pianeta era abitato da 250 milioni di persone. Quando i nostri padri dichiararono l’indipendenza degli Stati Uniti, la notizia avrebbe potuto raggiungere i due miliardi di uomini e donne che, allora, abitavano il pianeta. Io ho 56 anni e, nella mia vita, gli abitanti della Terra sono saliti a sei miliardi e 300 milioni di persone. Se avrò la fortuna di vivere a lungo, ci sarò quando saremo diventati almeno otto miliardi. Pensate: diecimila generazioni per arrivare a essere due miliardi di persone e l’arco di una sola vita per balzare a otto miliardi.

Il secondo campo di battaglia fra la Terra e la sua civilizzazione avviene sui terreni della rivoluzione scientifica e tecnologica. Immensi sono stati i vantaggi che la scienza ha prodotto a favore dell’umanità. Nella medicina e nella comunicazione i progressi, compiuti negli ultimi decenni, sono stati esaltanti. Peccato che la tecnologia e la forza della scienza non riescano anche a invertire i vecchi comportamenti degli uomini: la frattura tra i balzi in avanti della tecnologia e le abitudini dell’uomo e dei suoi governi provoca disastri irreparabili. La guerra è un fenomeno umano antichissimo. Si è sempre combattuto. Ma quando Roma si confrontava con le popolazioni vicine, combatteva con archi, frecce e spade. L’uso dei moschetti, negli anni della prima modernità, era ben più micidiale, ma le conseguenze furono, seppure terribili, prevedibili. Oggi le armi nucleari possono distruggere il mondo. Ma si continua a fare la guerra come se avessimo ancora solo le frecce.

Abbiamo costruito industrie potenti: la loro forza si basa sul falò dei combustibili fossili. Ora queste stesse industrie cercano di rassicurarci dicendoci che non vi è accordo nella comunità scientifica sulle cause dei cambiamenti climatici. Mentono e sanno di mentire. Anni fa le multinazionali del tabacco misero sul loro libro paga gruppi di scienziati per cercare di negare qualsiasi collegamento fra cancro ai polmoni e tabacco, oggi le multinazionali del petrolio e del carbone provano a comprare altri scienziati per avanzare dubbi e provocare divisioni. Ma la scienza, oggi, è un fronte compatto davanti alle cause del riscaldamento globale.

La trincea allo sbando è quella della politica. Ci dicono che non è possibile conciliare economia e ambiente. Sono in malafede ed è un’altra bugia. Non siamo costretti a scegliere fra la ricchezza, il benessere e la difesa dell’ambiente. E’la stessa tecnologia che ci viene in soccorso: le nostre auto possono essere ibride, a basso consumo, mentre la ricerca su nuove fonti di energia ha trasformato in realtà molti dei sogni sul futuro del pianeta degli uomini più avveduti.

Solo pochi anni fa la stratosfera sembrava destinata a strapparsi in maniera irrimediabile a causa di gas, prodotti dall’uomo, che ne laceravano la compattezza. La comunità internazionale, Stati Uniti compresi, ha raggiunto un accordo per mettere al bando i gas-killer dell’ozono: quello strappo nella stratosfera sta ricucendosi. La politica può affrontare e risolvere i grandi problemi legati ai cambiamenti climatici. Deve trovare il coraggio di sfidare colossali interessi privati e avere la lucidità necessaria per far crescere la consapevolezza dell’umanità.
 
   

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