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Inquinamento e cambiamento climatico

Artide: più mercurio che ghiaccio

24 luglio 2005
Karima Isd
Fonte: www.ilmanifesto.it
23.07.05

la rompighiccio di Greenpeace Alba artica (Arctic Sunrise) si chiama il rompighiaccio di Greenpeace che sta effettuando il tour della Groenlandia per monitorare gli effetti del cambiamento climatico; a bordo alcuni scienziati statunitensi dell'Istituto per i cambiamenti climatici dell'Università del Maine. I quali questa settimana hanno compiuto una scoperta agghiacciante. O meglio sghiacciante: il ghiacciaio di Kangerludssuaq sarebbe uno di quelli si sta ritirando più velocemente sulla Terra, al ritmo di 14 chilometri l'anno; 40 metri al giorno. Il fatto è che, come spiega lo scienziato Gordon Hamilton, a una velocità superiore ai 6 chilometri all'anno la neve che cade non è in grado di sostituire il ghiaccio che si scioglie; ecco perché la massa della Groenlandia diminuisce. Il Kangerdlussuaq Glacier sottrae il 4% di ghiaccio dalla massa del paese e lo trasporta in mare.

Questa situazione, secondo Greenpeace, è foriera di conseguenze drammatiche in termini di innalzamento del livello dei mari. Rispetto al 2001, data degli ultimi rilevamenti, il ghiacciaio si è inaspettatamente ritirato di 5 chilometri, dopo che per oltre 40 anni era rimasto intatto. Gli ambientalisti non fanno che sottolineare la drammatica urgenza di un passaggio deciso alle fonti energetiche rinnovabili e al risparmio energetico per contrastare i cambiamenti climatici. «Quanto ancora bisognerà aspettare prima che l'amministrazione Bush adotti delle contromisure per fermare il surriscaldamento del pianeta?», ha detto la capospedizione Martina Krueger. Ripetitivi questi ecologisti! Non si indignino poi se l'Fbi ha raccolto un lungo dossier anche su Greenpeace inserendola nell'elenco delle potenziali minacce al presidente insieme - guardacaso - ad altre pacifiche organizzazioni che criticano la politica ambientale e sociale dell'amministrazione Usa.

Tornando alla regione artica, la rivista Science ha pubblicato lo studio di un gruppo canadese che sembrerebbe spiegare meglio l'elevato livello di sostanze chimiche nocive presso le popolazioni artiche, che pure vivono molto lontano dal luoghi in cui esse sono prodotte, usate o consumate. Un altro recente studio aveva appurato che i livelli di policlorobifenili (Ocb), della famiglia dei temibili Pop (Persistent Organic Pollutants), sostanze inquinanti organiche persistenti che si accumulano nell'organismo, si sono appunto accumulate negli inuit canadesi, e a livelli trenta volte più alti rispetto a quelli delle persone residenti nel temperato Quebec.

Si pensava che l'inquinamento di zone vergini come quelle fosse affidato ai venti, ma lo studio dell'Università di Ottawa ha confermato la «responsabilità» di uccelli migratori della specie Fulmarus glacialis. I ricercatori hanno cercato la presenza di Pcb, mercurio e Ddt nelle aree vicine a una delle colonie di Fulmarus più isolate e settentrionali, nell'isola Devon, Artico canadese. Ebbene, oltre all'azoto del guano, le aree frequentate dagli uccelli sono ricche di mercurio, Ddt, Hcb (esaclorobenzene: un altro Pop) in quantità 60 volte maggiori ispetto ad aree vicine prive di guano. Sembra abbastanza evidente che queste sostanze siano depositate lì insieme agli escrementi. Ma i pennuti da dove le prendono? Dagli animali marini che pescano anche molto lontano: pesci, seppie, carogne, plancton. I pesci, si sa, sono un concentrato di sostanze tossiche man-made. Sostanze che non si limitano a giacere nei luoghi di nidificazione dei migratori, dato che questi luoghi sono oasi di vita biologica in una regione così arida. C'è là un'elevata presenza di insetti che sostengono una popolazione locale di uccelli. Inoltre molto guano cade anche in mare vicino alla costa e lo contamina, con i pesci che contiene. Dal momento che le popolazioni indigene mangiano uova di quegli uccelli locali e pesci, il conto torna.

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