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Riscaldamento globale, eventi estremi, insediamenti in zone a rischio

Troppa gente di traverso alla Natura

13 settembre 2005
Hanley, Charles J.

Katrina Morti e disperati di New Orleans si aggiungono ora ai contadini di Aceh e ai pescatori di Trincomalee, e agli abitanti dei villaggi dell’Iran o dei quartieri degradati di Haiti, in un mondo sempre più colpito da disastri naturali.
È un modo in cui gli americani possono imparare anche dai paesi più poveri, dicono gli esperti, dove si deve imparare a non costruire più come nella vecchia metropoli sommersa sul Mississippi.
Gli argini di New Orleans ispiravano una falsa sensazione di sicurezza, dice Dennis S. Miletti, studioso di punta sulla prevenzione dai disastri.
”Ci basiamo sulla tecnologia, e finiamo per pensare di essere completamente al sicuro, come esseri umani, mentre invece non lo siamo affatto” continua Miletti, professore all’Università del Colorado. “La questione principale, è che stiamo su un pianeta insicuro”.
Secondo una valutazione critica, rispetto all’impatto sulla popolazione, le cifre dimostrano che il pianeta è sempre più insicuro. Fra il 1994 e il 2003, ci sono state più di 2,5 miliardi di persone colpite da alluvioni, terremoti, uragani e altre calamità naturali, con un incremento del 60% rispetto ai due precedenti periodi di 10 anni, come è stato rivelato in una comunicazione ufficiale dell’ONU a una conferenza stampa sulla prevenzione in gennaio.
Queste cifre non comprendono i milioni di sfollati dopo lo tsunami dello scorso dicembre, che si stima abbia ucciso 180.000 persone con le onde che hanno spazzato le coste dalla provincia indonesiana di Aceh fino a Trincomalee, Sri Lanka, e oltre.
Secondo altre valutazioni – quelle sui danni alle proprietà – il 2004 è stato l’anno più costoso a livello globale per gli assicuratori, che hanno risarcito più di 40 miliardi di dollari per disastri naturali, secondo le stime del gigante assicurativo tedesco Munich Re. Il fattore principale è stato il quartetto di uragani della Florida del 2004.

Ma in generale, non si tratta di un maggior numero di “eventi”, ma piuttosto di un maggior numero di persone coinvolte, dice Thomas Loster, esperto della Munich Re. Restano colpite sempre più persone” racconta.
Negli anni ‘70, solo l’11% dei terremoti interessava gli insediamenti umani, come riferiscono i ricercatori dell’Università di Lovanio. Una quota salita al 31% nel 1993-2003, compreso un terremoto del 2003 che ha ucciso 26.000 persone in Iran, la cui popolazione è raddoppiata dagli anni ‘70.
La popolazione USA in crescita “si è spostata verso aree in cui c’è più probabilità di rischio: verso la Florida, le coste Atlantica e del Golfo, in particolare le isole barriera, la California” nota l’ex sismologo governativo USA Robert M. Hamilton, specialista nella prevenzione. “Decenni fa, non c’erano case muro a muro lungo la costa, come oggi”.
È il modo in cui troppo spesso si costruisce in America a invitare i disastri, dicono gli esperti: si prosciuga la zona umida della Florida e si spianano le colline della California, per esempio, distruggendo il sistema del deflusso naturale e aumentando i rischi di alluvioni.
”Costruiamo le nostre città in modi non compatibili con i rischi naturali presenti” dice Miletti.
Più avanzato il paese, più forte il colpo si farà sentire.

Terry Jeggle, esperto ONU di riduzione dei danni delle calamità naturali, cita il sistema degli argini di New Orleans: basato su pompe che funzionano a elettricità, prodotta con carburanti che devono essere trasportati sul posto. Una interruzione della catena ne genera un’altra, e così via.
”I sistemi complessi implicano un insieme complesso di conseguenze” osserva Jeggle dal suo osservatorio di Ginevra.
Gli esperti temono che accadrà dell’altro in futuro.
C’è consenso scientifico sulla maggiore intensità di tempeste, alluvioni, ondate di caldo e siccità a causa del riscaldamento globale. Gli esperti del clima stanno ancora tentando di chiarire se il mutamento climatico abbia già rafforzato gli uragani, la cui energia deriva dal calore delle onde oceaniche, oppure se il bacino atlantico e il Golfo stiano attraversando solo un periodo di incremento ciclico delle tempeste di forte intensità. I modelli computerizzati sul mutamento climatico nel corso dei decenni indicano più devastanti tempeste di Categoria 5.
La prospettiva di avere popolazioni più vulnerabili su una Terra più turbolenta spinge i funzionari ONU e altri ad esercitare pressioni sui governi perché inizino a prepararsi. Ecco alcuni esempi di nazioni povere che in molti modi si comportano meglio di quelle ricche:

Non si sono registrati morti quando Ivan ha colpito Cuba nel 2004, col peggiore uragano in 50 anni e una tempesta che, anche indebolita, ha ucciso 25 persone negli Stati Uniti. Il sistema di allerta ed evacuazione a Cuba è pianificato con cura, sino alle famiglie del quartiere che tengono mappe aggiornate di chi ha bisogno di aiuto nelle operazioni. Lungo le coste a rischio di cicloni del Bangladesh, ci sono 33.000 ben organizzati volontari pronti a guidare i vicini verso ripari di cemento in casi di avvicinamento di tempeste pericolose dalla Baia del Bengala. Nel 2002, la Giamaica ha condotto un esperimento di evacuazione simulata su larga scala, in un sobborgo della bassa costa nella zona di Kingston, e altre manovre più mirate successive. Quando l’ondata di sei metri di Ivan ha distrutto centinaia di case due anni dopo, sono morte solo otto persone. Ai comuni cittadini giamaicani vengono anche insegnate tecniche di ricerca e soccorso, mentre le cittadine a rischio possiedono squadre specializzate di prevenzione da alluvioni.

Come molti altri nel mondo, anche Barbara Carby, coordinatore per le calamità naturali della Giamaica, ha guardato incredula l’evoluzione del disastro sulla costa del Golfo degli Stati Uniti.
”Noi abbiamo costanti problemi di risorse” dice. “Quello non è un problema, per gli USA. Ma visto che hanno risorse, probabilmente non badano a sufficienza alla preparazione e alla consapevolezza, a educare il pubblico all’autosoccorso”.

Note: Titolo originale: Too Many People in Nature’s Way, Experts Say; “We Think We’re Safe and We’re Not” – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Il testo originale ripreso dalla Associated Press al sito Environmental News Network
5.09.05
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