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Kyoto, un piano da bocciare

Rinnovabili al buio Bruxelles respinga il piano italiano sulle emissioni: aumenta l'inquinamento totale, spiana la strada all'uso del carbone e consente i gas serra «fuori quota» di tutti gli impianti «Cip6»
30 dicembre 2006
Edoardo Zanchini (segreteria nazionale Legambiente)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Sarà dunque la terza Conferenza nazionale sull'energia che si aprirà in primavera il luogo dove far ripartire la discussione sulla politica energetica italiana. Al momento è solo un annuncio di Prodi che fa ben sperare, se non fosse che in materia di energia il governo dell'Unione la sua decisione l'ha già presa. O almeno così sembra evidente alla lettura del nuovo Piano nazionale di assegnazione delle emissioni (Pna), appena consegnato con colpevole ritardo a Bruxelles e con il quale l'Italia dà il via libera al rilancio del carbone e rinuncia a ridurre le emissioni di CO2 come previsto dal Protocollo di Kyoto.
Il Piano previsto dalla Direttiva europea sull'Emission Trading assegna i permessi ad inquinare per i grandi impianti industriali coinvolgendoli nella riduzione prevista dagli impegni internazionali nella lotta per la salvaguardia del clima. Un principio completamente stravolto nella versione proposta dal governo italiano, che dobbiamo augurarci venga bocciata dalla Commissione Europea come hanno chiesto in una lettera le associazioni ambientaliste. Anche perché se così non fosse i problemi all'interno della maggioranza aumenterebbero in maniera esponenziale. Ai conflitti sulla localizzazione dei tanti progetti di rigassificatori si verrebbero infatti ad aggiungere quelli sulle centrali a carbone che Enel ha in mente di riconvertire e i nuovi progetti che diverse società stanno portando avanti in diverse parti d'Italia.
Si apre una questione tanto chiara quanto delicata, che riguarda la capacità del governo di realizzare delle vere riforme in un settore chiave come quello dell'energia. Perché la spinta al cambiamento non sembra essere stata al centro della discussione di questi mesi, tanto che le giustificazioni portate per difendere questo Pna sono che era difficile fare di meglio perché queste erano le richieste dei principali gruppi industriali italiani.
Curioso che il Ministero delle liberalizzazioni di fronte a un tema come l'energia rinunci persino a introdurre le normali regole di mercato previste dalla Direttiva Europea, al punto che per il carbone sono previste quote riservate e a prezzi calmierati, come se il carburante fossile più dannoso per il clima e a buon mercato ne avesse bisogno per stare in piedi. E perdipiù con un autentico gioco di prestigio sono state fatte scomparire rispetto a quanto previsto dal governo Berlusconi ben 25 milioni di tonnellate di emissioni che appartenevano ai famigerati impianti Cip6, quelli da fonti fossili che utilizzano gli incentivi previsti per le rinnovabili. Peccato che questi impianti non verranno spenti, rendendo l'impatto sul clima delle centrali energetiche italiane ancora più pesante. Con la beffa che gli impianti Cip6 potranno scaricare la spesa per l'acquisto delle emissioni automaticamente nella bolletta elettrica dei cittadini. Altro che mercato e concorrenza.
Naturalmente continueremo a sentir parlare di fonti rinnovabili e di efficienza da parte di Prodi e Bersani nei prossimi mesi ma è evidente che il segnale che si è voluto dare con il Pna è molto chiaro al mondo industriale: la direzione che si vuole imprimere è di puntare sulle fonti più a buon mercato per la produzione elettrica e di fare della penisola una grande porta d'ingresso per il mercato europeo del gas come chiede la parte più retriva di Confindustria. A questa prospettiva occorre contrapporre idee e proposte ma anche mobilitazioni; con il nuovo anno ripartiranno le campagne di Legambiente contro il carbone e insieme per chiedere una seria politica del risparmio energetico, dell'efficienza nella produzione elettrica, di sviluppo dell'eolico, del solare, delle biomasse, del mini-idroelettrico bloccati da troppi veti e interessi. Questa direzione di marcia non è solo la più lungimirante per un paese come l'Italia che importa il 90% delle risorse energetiche dall'estero, ma è anche l'unica che può permettere di ridurre il peso di emissioni che stanno già da tempo provocando effetti sempre più evidenti sul clima.
Ci piacerebbe che su questi temi si giocasse la discussione nella conferenza sull'energia di primavera, un confronto che dovrà essere aperto e trasparente se si vuole guardare finalmente al futuro e far entrare una ventata di aria nuova e pulita in un settore ancora governato da vecchi interessi e vecchie idee.

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