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Triplice stop del Tar Sardegna ai radar anti-migranti

Il Tar di Cagliari ordina la sospensione dei lavori d'installazione in Sardegna dei radar anti-migranti della Guardia di finanza. Le aree preselte ricadono tutte all'interno di riserve naturali d'inestimabile valore ambientale e paesaggistico. Censurata l'assenza di studi sull'impatto elettromagnetico dei sistemi di rilevamento prodotti in Israele
11 ottobre 2011

No Radar 3, GdF Almaviva 0. È festa tra i comitati che si oppongono all’installazione dei radar anti-migranti in alcune delle aree naturali più incantevoli della Sardegna. Il Tribunale Amministrativo Regionale di Cagliari ha accolto le richieste di Italia Nostra e del Comune di Tresnuraghes, ordinando la sospensione dei lavori nei tre siti prescelti dal Comando generale della Guardia di finanza per i sensori che dovrebbero impedire gli irrealistici sbarchi d’immigrati nelle coste sarde. Il secondo round è previsto per il 25 gennaio 2012, quando il Tar si pronuncerà sul merito dei ricorsi.

“Per adesso i siti costieri di Flumenimaggiore, Sant’Antioco e Tresnuraghes sono salvi”, commenta il segretario regionale di Italia Nostra, Graziano Bullegas. “L’orientamento manifestato dai giudici amministrativi ci fa sperare in una decisione sul merito favorevole, in modo da chiudere definitivamente la partita con il dissennato progetto della rete anti-migranti della Guardia di finanza e della società chiamata a curarne l’allestimento, Almaviva S.p.a. di Roma”.

Per Leandro Janni, consigliere nazionale dell’associazione, la triplice decisione del Tar cagliaritano rappresenta una “nuova, importante e autorevole affermazione dei valori dell’ambientalismo”. “Nelle ordinanze – spiega Janni - sono stati presi in considerazione il principio di precauzione, ma anche i diritti alla salute, alla salubrità dell’ambiente e ad un paesaggio non devastato. Principi e diritti collegati fra loro, con un nucleo centrale comune, espressione di un sentimento del vivere e di un’idea sana della vita. Un’esemplificazione sul campo dell’irrinunciabilità ad ulteriori indicatori di benessere, individuando il bene comune come il fondamento stesso della democrazia e della libertà”.

Nelle ordinanze di sospensione dei provvedimenti che hanno autorizzato la Guardia di finanza ad installare i radar di produzione israeliana, il Tar sottolinea come “l’interesse nazionale perseguito con la realizzazione dell’opera cede di fronte al superiore interesse pubblico costituito dalla tutela della salute, pacificamente intesa come diritto soggettivo della persona e come interesse della collettività ad un ambiente salubre”. “Il legame di questo diritto con la tutela della salute attribuisce ad essa il valore dell’assolutezza”, aggiunge il Tar. “Ciò significa che va protetto contro ogni iniziativa ostile da chiunque essa provenga e con la conseguenza che esso ha anche una valenza incondizionata”.

Per i giudici amministrativi, la tutela della salute va ampliata fino a comprendere le ipotesi in cui i rilievi scientifici non raggiungano una “chiara prova di nocività a lungo termine”, per cui “occorre applicare il principio di minimizzazione, corollario del principio di precauzione di derivazione comunitaria”. Il principio della salubrità dell’ambiente deve essere inteso inoltre non solo come assenza di danno ma “anche e soprattutto come assenza di alterazione irreversibile o comunque permanente di fattori ambientali, la cui cura è affidata alla pubblica amministrazione in modo prioritario rispetto ad altri interessi”. Un’affermazione inequivocabile che nella gerarchia dei valori, la difesa dell’ambiente e della salute umana è incomparabile.

Nelle ordinanze di sospensione dei lavori, vengono pure rilevate incongruenze nelle valutazioni sulla sostenibilità ambientale della nuova rete radar della Guardia di finanza. “Il parere dell’ARPAS, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, non sembra reso sulla base di una approfondita istruttoria, ma, per stessa ammissione dell’Amministrazione procedente, in modo frettoloso per non perdere i finanziamenti per questa opera di interesse nazionale”. Inoltre, appaiono “erronee o comunque approssimative” le valutazioni negative effettuate dal Servizio sostenibilità e valutazione impatti (Savi) dell’Assessorato regionale alla Tutela dell’Ambiente. “Tale giudizio – afferma il Tar - appare reso in difetto di appropriata considerazione delle caratteristiche dei siti ove gli impianti dovrebbero sorgere”. Per i radar anti-migranti, infatti, si è deciso incomprensibilmente di utilizzare aree protette d’incomparabile pregio naturalistico e paesaggistico.   

Nello specifico, il Collegio rileva che nel caso di Sant’Antioco, l’area prevista per l’installazione ricade nell’ambito n. 6 “Carbonia ed Isole Minori” del Piano paesaggistico regionale e nella Zona di protezione speciale (Zps) perimetrata ai sensi della Direttiva 79/409/CEE. Per Fluminimaggiore, invece, l’area ricade nell’ambito n. 8 “Arburese” del Ppr e in Zona SIC (sito d’interesse comunitario), perimetrata ai sensi della Direttiva 92/43/CEE. Nonostante le tutele delle leggi, le autorità competenti hanno rilanciato autorizzazioni per lavori notevolmente impattanti. Nei siti si prevede l’estirpazione di macchia mediterranea in superfici estese tra i 200 e i 300 mq; il posizionamento di shelter di dimensioni 6x2,5x2,7; la realizzazione di basamenti di cemento armato (al 95% interrati e sporgenti dal terreno per 10–15 cm) e di reti metalliche elettrosaldate alte 2 metri; il trasporto e l’installazione di torri d’acciaio con porta antenna, alte tra i 10 e i 12 metri.

Come denunciato da Italia Nostra e dai comitati No Radar sorti nell’isola, prima dei pronunciamenti del Tar, sono stati effettuati alcuni interventi nelle aree sottoposte a tutela ambientale. “Lo scorso 24 marzo, ad esempio, in località “Capo Sperone - Su Semafuru” a Sant’Antioco, alcuni lavoratori hanno avviato il decespugliamento nella sommità del colle, in un’area diversa da quella indicata in progetto e per la quale era stato rilasciato parere positivo dalla Soprintendenza delle Province di Cagliari e Oristano”, afferma Graziano Bullegas. “Sul luogo non è stato però rinvenuto alcun cartello di cantiere indicante l’oggetto dei lavori, la data d’inizio degli stessi, il committente, la ditta esecutrice e quant’altro che per legge dia conto della natura e regolarità delle attività svolte”. E la non corrispondenza tra il cantiere contrassegnato per i lavori e l’area autorizzata per l’ubicazione del radar si è ripetuta pure nel caso di Tinnias, Tresnuraghes.

“Il 13 maggio sono iniziati i lavori pure a Punta Vedetta, in località Argentiera, nel comune di Sassari”, aggiunge il segretario regionale di Italia Nostra. “In questo caso i lavoratori della ditta preposta sono arrivati con una macchina operatrice con l’intenzione di spianare l’area, ma i lavori non hanno avuto corso perché numerosi cittadini e successivamente gli amministratori comunali, hanno chiesto di capire cosa si stava cercando di realizzare e i lavoratori hanno quindi desistito”. Almaviva S.p.a. ha poi sospeso ogni intervento. Gli ambientalisti fanno pure notare che Punta Vedetta è stata individuata come “area a forte rischio di frane” dal Piano per l’assetto idrogeologico della Sardegna, così come dalla relazione ambientale allegata al Piano urbanistico del comune di Sassari.

Molto più devastanti i lavori avviati a fine marzo in località Capo Pecora – Fluminimaggiore, subito bloccati dal presidio spontaneo di donne e  giovani locali. Le ruspe hanno sbancato il cucuzzolo di Murru Biancu, la collina che domina il litorale vicino alla provinciale, sfregiando il territorio con una nuova arteria stradale di oltre 200 metri di lunghezza e 4-6 metri di larghezza. “Le prime piogge autunnali hanno trasformato i tornanti in un pericoloso letto di fango mentre sono visibili gli scavi da cui sono stati asportati illegalmente decine e decine di metri cubi di terra e inerti”, denunciano i No Radar. “Questi interventi non risultano essere mai stati autorizzati dall’amministrazione comunale e comunque sono sicuramente in contrasto con l’autorizzazione rilasciata dal SAVI il 31 gennaio 2011”.

Stando ad una prima ricerca catastale, i terreni su cui dovrebbe sorgere il radar di Fluminimaggiore sarebbero stati dati in comodato d’uso alla Guardia di finanza dalla Forma Urbis S.p.a. di Padova. La società è proprietaria nella zona tra Arbus e Fluminimaggiore di circa 540 ettari, rilevati anni fa dall’azienda agricola dei Casana. Nel febbraio 2004, gli architetti veneti Gianpietro Gallina e Albano Salmaso, titolari del 50% della quota sociale di Forma Urbis, presentarono agli amministratori locali un progetto per un complesso turistico-residenziale di 120.000 metri cubi di cemento, fortunatamente mai decollato. A fine 2006, i due professionisti trasferirono per 20 milioni di euro le loro quote a Mauro Benetton, ex direttore generale di Ducati Motor Holding e responsabile marketing dell’omonimo gruppo familiare (Mauro è figlio di Luciano Benetton). Attualmente l’altro 50% della S.p.a. è in mano ai fratelli Alessandra, Enrico, Paola e Lorenza Toffano, anch’essi veneti, già titolari di una consistente quota azionaria della catena di supermercati Despar. Per la cronaca, Forma Urbis è pure proprietaria di una parte dei terreni della costa di Teulada, fra Capo Spartivento, Tuerredda e Malfatano, dove si sta costruendo un mega complesso turistico-alberghiero fortemente osteggiato dagli ambientalisti sardi. Per il cosiddetto “Piano Malfatano” sono scesi in campo, accanto alla società di Padova, due big della portata di Francesco Gaetano Caltagirone ed Emma Marcegaglia, mentre sono state commissionate al Dipartimento d’Ingegneria del territorio dell’Università di Cagliari le “linee guida per la gestione ambientale del piano di sviluppo turistico”. Direttore scientifico, il professore Giancarlo Deplano.

Nelle ordinanze di sospensione dei provvedimenti autorizzativi dei lavori, il Tribunale amministrativo di Cagliari lamenta infine l’assenza di studi o riferimenti, da parte degli organi competenti, dell’impatto che le onde elettromagnetiche potrebbero generare sugli abitanti e sulle specie animali che popolano le aree interessate ai radar. Una delle motivazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato per giustificare la scarsa attenzione verso i rischi elettromagnetici degli impianti è quella che “ai sensi dell’articolo 2 comma 3 della legge quadro del 22 febbraio 2001 sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, nei riguardi delle Forze armate e delle Forze di polizia le norme sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze del servizio espletato”. Affermazione che contraddice la Guardia di finanza che continua a sostenere in ogni sede l’innocuità dei radar israeliani e il pieno rispetto delle norme legislative sui limiti delle emissioni.

Di altro avviso sono invece i giudici del Tar. “Le opere in argomento – scrivono - benché certamente da considerarsi d’interesse statale e destinate all’esecuzione di compiti istituzionali di un Corpo nazionale di polizia ad ordinamento militare, sono sempre qualificate, nelle comunicazioni dell’Amministrazione, come opere di carattere civile”. Grazie a questo escamotage, la concessione delle autorizzazioni per gli impianti radar è avvenuta senza la convocazione del Comitato misto paritetico Stato-Regione sulle servitù militari.

Sulla rilevanza strategico-militare della nuova rete di rilevamento della Guardia di finanza si è espresso il senatore Pd Antonello Cabras, vicepresidente della delegazione parlamentare italiana alla Nato (ed ex sindaco di Sant’Antioco). “I radar sono indispensabili per prevenire ogni possibile azione contro la sicurezza dell’Europa e la loro funzione anti-clandestini è solo un aspetto del progetto”, ha dichiarato Cabras a margine del vertice del Patto Atlantico tenutosi nell’isola della Maddalena, lo scorso mese di luglio. Ancora più esplicito l’ammiraglio Samuel J. Locklear III, comandante delle forze navali Usa e Nato per il Sud Europa e l’Africa. “Dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo e per questo dobbiamo contare su una rete analoga a quella usata contro i narcotrafficanti”, ha spiegato l’alto ufficiale. “Attraverso i nostri apparati di controllo oggi possiamo vigilare sul 60% degli specchi d’acqua, in futuro dovremmo portare questo livello al 70-80%. Per farlo non è indispensabile avere nostre unità costantemente in mare per compiti di pattugliamento. È sufficiente che la Marina, grazie alla sorveglianza dei radar, possa intervenire rapidamente, dove necessario”. Ben vengano dunque le selve d’antenne in Sardegna e in sud Italia per la guerra alle migrazioni e ai migranti… 

 

No Radar 3, GdF Almaviva 0. È festa tra i comitati che si oppongono all’installazione dei radar anti-migranti in alcune delle aree naturali più incantevoli della Sardegna. Il Tribunale Amministrativo Regionale di Cagliari ha accolto le richieste di Italia Nostra e del Comune di Tresnuraghes, ordinando la sospensione dei lavori nei tre siti prescelti dal Comando generale della Guardia di finanza per i sensori che dovrebbero impedire gli irrealistici sbarchi d’immigrati nelle coste sarde. Il secondo round è previsto per il 25 gennaio 2012, quando il Tar si pronuncerà sul merito dei ricorsi.

Per adesso i siti costieri di Flumenimaggiore, Sant’Antioco e Tresnuraghes sono salvi”, commenta il segretario regionale di Italia Nostra, Graziano Bullegas. “L’orientamento manifestato dai giudici amministrativi ci fa sperare in una decisione sul merito favorevole, in modo da chiudere definitivamente la partita con il dissennato progetto della rete anti-migranti della Guardia di finanza e della società chiamata a curarne l’allestimento, Almaviva S.p.a. di Roma”.

Per Leandro Janni, consigliere nazionale dell’associazione, la triplice decisione del Tar cagliaritano rappresenta una “nuova, importante e autorevole affermazione dei valori dell’ambientalismo”. “Nelle ordinanze – spiega Janni - sono stati presi in considerazione il principio di precauzione, ma anche i diritti alla salute, alla salubrità dell’ambiente e ad un paesaggio non devastato. Principi e diritti collegati fra loro, con un nucleo centrale comune, espressione di un sentimento del vivere e di un’idea sana della vita. Un’esemplificazione sul campo dell’irrinunciabilità ad ulteriori indicatori di benessere, individuando il bene comune come il fondamento stesso della democrazia e della libertà”.

Nelle ordinanze di sospensione dei provvedimenti che hanno autorizzato la Guardia di finanza ad installare i radar di produzione israeliana, il Tar sottolinea come “l’interesse nazionale perseguito con la realizzazione dell’opera cede di fronte al superiore interesse pubblico costituito dalla tutela della salute, pacificamente intesa come diritto soggettivo della persona e come interesse della collettività ad un ambiente salubre”.Il legame di questo diritto con la tutela della salute attribuisce ad essa il valore dell’assolutezza”, aggiunge il Tar. “Ciò significa che va protetto contro ogni iniziativa ostile da chiunque essa provenga e con la conseguenza che esso ha anche una valenza incondizionata”.

Per i giudici amministrativi, la tutela della salute va ampliata fino a comprendere le ipotesi in cui i rilievi scientifici non raggiungano una “chiara prova di nocività a lungo termine”, per cui “occorre applicare il principio di minimizzazione, corollario del principio di precauzione di derivazione comunitaria”. Il principio della salubrità dell’ambiente deve essere inteso inoltre non solo come assenza di danno ma “anche e soprattutto come assenza di alterazione irreversibile o comunque permanente di fattori ambientali, la cui cura è affidata alla pubblica amministrazione in modo prioritario rispetto ad altri interessi”. Un’affermazione inequivocabile che nella gerarchia dei valori, la difesa dell’ambiente e della salute umana è incomparabile.

Nelle ordinanze di sospensione dei lavori, vengono pure rilevate incongruenze nelle valutazioni sulla sostenibilità ambientale della nuova rete radar della Guardia di finanza. “Il parere dell’ARPAS, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, non sembra reso sulla base di una approfondita istruttoria, ma, per stessa ammissione dell’Amministrazione procedente, in modo frettoloso per non perdere i finanziamenti per questa opera di interesse nazionale”. Inoltre, appaiono “erronee o comunque approssimative” le valutazioni negative effettuate dal Servizio sostenibilità e valutazione impatti (Savi) dell’Assessorato regionale alla Tutela dell’Ambiente. “Tale giudizio – afferma il Tar - appare reso in difetto di appropriata considerazione delle caratteristiche dei siti ove gli impianti dovrebbero sorgere”. Per i radar anti-migranti, infatti, si è deciso incomprensibilmente di utilizzare aree protette d’incomparabile pregio naturalistico e paesaggistico.   

Nello specifico, il Collegio rileva che nel caso di Sant’Antioco, l’area prevista per l’installazione ricade nell’ambito n. 6 “Carbonia ed Isole Minori” del Piano paesaggistico regionale e nella Zona di protezione speciale (Zps) perimetrata ai sensi della Direttiva 79/409/CEE. Per Fluminimaggiore, invece, l’area ricade nell’ambito n. 8 “Arburese” del Ppr e in Zona SIC (sito d’interesse comunitario), perimetrata ai sensi della Direttiva 92/43/CEE. Nonostante le tutele delle leggi, le autorità competenti hanno rilanciato autorizzazioni per lavori notevolmente impattanti. Nei siti si prevede l’estirpazione di macchia mediterranea in superfici estese tra i 200 e i 300 mq; il posizionamento di shelter di dimensioni 6x2,5x2,7; la realizzazione di basamenti di cemento armato (al 95% interrati e sporgenti dal terreno per 10–15 cm) e di reti metalliche elettrosaldate alte 2 metri; il trasporto e l’installazione di torri d’acciaio con porta antenna, alte tra i 10 e i 12 metri.

Come denunciato da Italia Nostra e dai comitati No Radar sorti nell’isola, prima dei pronunciamenti del Tar, sono stati effettuati alcuni interventi nelle aree sottoposte a tutela ambientale. “Lo scorso 24 marzo, ad esempio, in località “Capo Sperone - Su Semafuru” a Sant’Antioco, alcuni lavoratori hanno avviato il decespugliamento nella sommità del colle, in un’area diversa da quella indicata in progetto e per la quale era stato rilasciato parere positivo dalla Soprintendenza delle Province di Cagliari e Oristano”, afferma Graziano Bullegas. “Sul luogo non è stato però rinvenuto alcun cartello di cantiere indicante l’oggetto dei lavori, la data d’inizio degli stessi, il committente, la ditta esecutrice e quant’altro che per legge dia conto della natura e regolarità delle attività svolte”. E la non corrispondenza tra il cantiere contrassegnato per i lavori e l’area autorizzata per l’ubicazione del radar si è ripetuta pure nel caso di Tinnias, Tresnuraghes.

“Il 13 maggio sono iniziati i lavori pure a Punta Vedetta, in località Argentiera, nel comune di Sassari”, aggiunge il segretario regionale di Italia Nostra. “In questo caso i lavoratori della ditta preposta sono arrivati con una macchina operatrice con l’intenzione di spianare l’area, ma i lavori non hanno avuto corso perché numerosi cittadini e successivamente gli amministratori comunali, hanno chiesto di capire cosa si stava cercando di realizzare e i lavoratori hanno quindi desistito”. Almaviva S.p.a. ha poi sospeso ogni intervento. Gli ambientalisti fanno pure notare che Punta Vedetta è stata individuata come “area a forte rischio di frane” dal Piano per l’assetto idrogeologico della Sardegna, così come dalla relazione ambientale allegata al Piano urbanistico del comune di Sassari.

Molto più devastanti i lavori avviati a fine marzo in località Capo Pecora – Fluminimaggiore, subito bloccati dal presidio spontaneo di donne e  giovani locali. Le ruspe hanno sbancato il cucuzzolo di Murru Biancu, la collina che domina il litorale vicino alla provinciale, sfregiando il territorio con una nuova arteria stradale di oltre 200 metri di lunghezza e 4-6 metri di larghezza. “Le prime piogge autunnali hanno trasformato i tornanti in un pericoloso letto di fango mentre sono visibili gli scavi da cui sono stati asportati illegalmente decine e decine di metri cubi di terra e inerti”, denunciano i No Radar. “Questi interventi non risultano essere mai stati autorizzati dall’amministrazione comunale e comunque sono sicuramente in contrasto con l’autorizzazione rilasciata dal SAVI il 31 gennaio 2011”.

Stando ad una prima ricerca catastale, i terreni su cui dovrebbe sorgere il radar di Fluminimaggiore sarebbero stati dati in comodato d’uso alla Guardia di finanza dalla Forma Urbis S.p.a. di Padova. La società è proprietaria nella zona tra Arbus e Fluminimaggiore di circa 540 ettari, rilevati anni fa dall’azienda agricola dei Casana. Nel febbraio 2004, gli architetti veneti Gianpietro Gallina e Albano Salmaso, titolari del 50% della quota sociale di Forma Urbis, presentarono agli amministratori locali un progetto per un complesso turistico-residenziale di 120.000 metri cubi di cemento, fortunatamente mai decollato. A fine 2006, i due professionisti trasferirono per 20 milioni di euro le loro quote a Mauro Benetton, ex direttore generale di Ducati Motor Holding e responsabile marketing dell’omonimo gruppo familiare (Mauro è figlio di Luciano Benetton). Attualmente l’altro 50% della S.p.a. è in mano ai fratelli Alessandra, Enrico, Paola e Lorenza Toffano, anch’essi veneti, già titolari di una consistente quota azionaria della catena di supermercati Despar. Per la cronaca, Forma Urbis è pure proprietaria di una parte dei terreni della costa di Teulada, fra Capo Spartivento, Tuerredda e Malfatano, dove si sta costruendo un mega complesso turistico-alberghiero fortemente osteggiato dagli ambientalisti sardi. Per il cosiddetto “Piano Malfatano” sono scesi in campo, accanto alla società di Padova, due big della portata di Francesco Gaetano Caltagirone ed Emma Marcegaglia, mentre sono state commissionate al Dipartimento d’Ingegneria del territorio dell’Università di Cagliari le “linee guida per la gestione ambientale del piano di sviluppo turistico”. Direttore scientifico, il professore Giancarlo Deplano.

Nelle ordinanze di sospensione dei provvedimenti autorizzativi dei lavori, il Tribunale amministrativo di Cagliari lamenta infine l’assenza di studi o riferimenti, da parte degli organi competenti, dell’impatto che le onde elettromagnetiche potrebbero generare sugli abitanti e sulle specie animali che popolano le aree interessate ai radar. Una delle motivazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato per giustificare la scarsa attenzione verso i rischi elettromagnetici degli impianti è quella che “ai sensi dell’articolo 2 comma 3 della legge quadro del 22 febbraio 2001 sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, nei riguardi delle Forze armate e delle Forze di polizia le norme sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze del servizio espletato”. Affermazione che contraddice la Guardia di finanza che continua a sostenere in ogni sede l’innocuità dei radar israeliani e il pieno rispetto delle norme legislative sui limiti delle emissioni.

Di altro avviso sono invece i giudici del Tar. “Le opere in argomento – scrivono - benché certamente da considerarsi d’interesse statale e destinate all’esecuzione di compiti istituzionali di un Corpo nazionale di polizia ad ordinamento militare, sono sempre qualificate, nelle comunicazioni dell’Amministrazione, come opere di carattere civile”. Grazie a questo escamotage, la concessione delle autorizzazioni per gli impianti radar è avvenuta senza la convocazione del Comitato misto paritetico Stato-Regione sulle servitù militari.

Sulla rilevanza strategico-militare della nuova rete di rilevamento della Guardia di finanza si è espresso il senatore Pd Antonello Cabras, vicepresidente della delegazione parlamentare italiana alla Nato (ed ex sindaco di Sant’Antioco). “I radar sono indispensabili per prevenire ogni possibile azione contro la sicurezza dell’Europa e la loro funzione anti-clandestini è solo un aspetto del progetto”, ha dichiarato Cabras a margine del vertice del Patto Atlantico tenutosi nell’isola della Maddalena, lo scorso mese di luglio. Ancora più esplicito l’ammiraglio Samuel J. Locklear III, comandante delle forze navali Usa e Nato per il Sud Europa e l’Africa. “Dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo e per questo dobbiamo contare su una rete analoga a quella usata contro i narcotrafficanti”, ha spiegato l’alto ufficiale. “Attraverso i nostri apparati di controllo oggi possiamo vigilare sul 60% degli specchi d’acqua, in futuro dovremmo portare questo livello al 70-80%. Per farlo non è indispensabile avere nostre unità costantemente in mare per compiti di pattugliamento. È sufficiente che la Marina, grazie alla sorveglianza dei radar, possa intervenire rapidamente, dove necessario”. Ben vengano dunque le selve d’antenne in Sardegna e in sud Italia per la guerra alle migrazioni e ai migranti…

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