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Un Nobel che riconosce il legame tra protezione ambientale, democrazia, giustizia e sicurezza umana

Gli alberi e la prevenzione dei conflitti

Green Belt «Molte guerre nel mondo sono combattute attorno alle risorse naturali. Gestire le nostre risorse significa piantare i semi della pace»
10 ottobre 2004
Marina Forti
Fonte: www.ilmanifesto.it
10.10.04

Logo del movimento Green Belt Un movimento popolare come il Green Belt («Cintura verde»), ha dichiarato ieri la sua fondatrice Wangari Maathai, può diventare un «colpo preventivo» per salvaguardare la pace. Che c'entrano gli alberi con la pace? molti se lo sono chiesto, ieri, quando il Comitato norvegese dei Nobel ha Oslo ha annunciato che il massimo riconoscimento di artefice della pace quest'anno va proprio a Wangari Maathai, l'attivista che alla fine degli anni `70 in Kenya ha dato vita a uno straordinario movimento che si dedica a proteggere l'ambiente naturale piantando alberi. Qualcuno, nello stesso Comitato dei Nobel, avrebbe preferito restare a una definizione più canonica di «impegno per la pace»: in passato il premio è andato per lo più a chi lavora per mettere fine a conflitti. Per la verità il concetto di impegno per la pace è già stato ampliato l'anno scorso con il riconoscimento all'avvocata iraniana Shirin Ebadi, per il suo lavoro a favore dei diritti umani e delle donne. Questa volta è onorata una persona che, secondo la motivazione del Comitato dei Nobel, «ha adottato un approccio olistico allo sviluppo sostenibile che abbraccia la democrazia, i diritti umani e in particolare i diritti delle donne». La motivazione del Comitato norvegese per il Nobel è chiarissima: «La pace sulla terra dipende dalla nostra capacità di proteggere il nostro ambiente vitale, Wangari Maathai è alla testa della battaglia per promuovere uno sviluppo sociale, economico e culturale ecologicamente sostenibile in Kenya e in Africa».

Il Nobel per la pace a Wangari Maathai dunque non è solo un riconoscimento a una donna di straordinaria energia e carisma. E' anche un modo per dire che tra degrado ambientale, ingiustizia sociale e «minaccia alla sicurezza» c'è un legame stretto. Riecheggia la definizione di «sicurezza» divulgata a metà degli anni '90 dai rapporti sullo Sviluppo umano: protezione non solo da violenza interna o esterna ma anche da fame, malattie, disoccupazione, criminalità, repressione politica, degrado ambientale.

Gli alberi dunque c'entrano con la pace, eccome. Il «movimento della cintura verde» è nato nel 1977 su un'idea semplice: «riforestare per vivere», diceva Maathai, cioè piantare alberi per creare fasce verdi attorno alle città, luoghi pubblici e fonti di legna da ardere per la popolazione. Idea semplice, ma dalle molte implicazioni perché ha mobilitato le comunità - e in primo luogo le donne, iniziatrici e spina dorsale del mmovimento - per creare e gestire aree verdi in uno spirito di autosufficenza. Con gli alberi c'è legna da ardere e frutti, le sementi da conservare, qualche piccola attività che crea reddito. Insieme al risanamento ambientale il movimento ha lavorato per promuovere la partecipazione delle donne alla vita sociale e comunitaria, l'istruzione, l'emancipazione economica - quello che più tardi è stato definito empowerment, delle donne e delle comunità locali impoverite.
L'importanza di tutto questo è andata ben oltre il Kenya, sia perché l'inarrestabile Maathai ha lavorato a costruire una rete africana di movimenti analoghi, sia perché il Green Belt, come altri movimenti popolari in India o nelle Americhe, è diventato uno degli esempi di un tipo di movimento popolare che lega accesso alle risorse naturali e giustizia sociale, protezione ambientale e democrazia.

Il Green Belt Movement è stato tra le forze di opposizione al regime autoritario di Daniel arap Moi (caduto nel 2002). Con le sue battaglie contro palazzinari e deforestatori, Maathai ha sempre denunciato l'intreccio tra autoritarismo, corruzione, clientelismo e distruzione ambientale: anche questo ricorda la motivazione del Nobel, che riconosce a Wangari Maathai la «lotta per i diritti democratici». Oggi lei è sottosegretario all'ambiente, ma la battaglia contro i potentati che si accaparrano terre e foreste è difficile e lei si è detta pronta a dimettersi se non riuscirà a contrastarli. Il Green Belt Movement intanto continua a lavorare per la protezione ecologica, che significa alberi, fonti d'acqua, barriere contro la desertificazione, e insieme per l'«educazione civica e ambientale», per la salute riproduttiva delle donne, per la democrazia.
«Molte guerre nel mondo sono combattute in realtà attorno alle risorse naturali. Gestire le nostre risorse significa piantare i semi della pace, ora e nel futuro», ha dichiarato ieri Maathai alla radio norvegese. Le ha fatto eco il direttore del Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep), l'ex ministro dell'ambiente tedesco Klaus Toepfer, che ieri ha osservato: «Nel mondo si comprende sempre più che c'è un legame stretto tra la protezione ambientale e la sicurezza globale». Semplice: dove le risorse naturali sono minacciate dal degrado ambientale, da esaurimento, o magari dal fatto che diventano oggetto di speculazione come le foreste ai bordi di Nairobi per cui si batte Maathai, allora le comunità umane che dipendono da quelle risorse sono minacciate. Le tensioni sociali aumentano, a volte si esasperano le divisioni intercomunitarie o etniche, il conflitto prevale: sociale, politico, a volte armato. Al contrario, la conservazione e la buona gestione delle risorse, e l'accesso equo, sono elementi di pace, giustizia, partecipazione, democrazia. Sono il «colpo preventivo per salvaguardare la pace» di cui parla Wangari Maathai.

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