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L'Anima antiscientifica

Ambientalista creazionista? No, grazie

10 dicembre 2004
Roberto Della Seta (Presidente nazionale di Legambiente)
Fonte: www.lastampa.it
8.1204

Secondo un recente sondaggio, il 44% degli americani ritiene più verosimile il racconto biblico della creazione che non la teoria evoluzionistica di Darwin. Ma se il credo creazionista attecchisce soprattutto negli Stati Uniti, anche in Europa crescono sensibilità antiscientifiche, sebbene meno connotate in senso religioso.
È di pochi mesi fa la decisione del ministro italiano dell'Istruzione Letizia Moratti, poi «rimangiata», di cancellare il nome di Darwin dai programmi della scuola media. Prendendo spunto da quella vicenda, Legambiente ha raccolto in un libro, in uscita dall'editore Le Balze, alcuni saggi sul tema dei rapporti tra scienza e ambientalismo. Il titolo scelto - Dalla parte di Darwin - dice da subito come noi la pensiamo sul punto: crediamo che per affrontare al meglio i problemi ambientali non si possa prescindere da un approccio evoluzionistico, e serva più scienza. Questa «dichiarazione di voto» non è scontata, venendo da una grande associazione ambientalista. Da sempre infatti nell'ambientalismo convivono due anime. Una a forte impronta scientifica, ben visibile nella stessa biografia di molti dei protagonisti antichi e recenti dell'impegno per la difesa dell'ambiente: dai botanici americani che all'inizio del Novecento fondarono le prime associazioni conservazioniste, fino ai biologi e ai fisici che trent'anni fa teorizzarono la necessità di una riforma radicale dei meccanismi dello sviluppo come antidoto all'aumento di entropia provocato dalla crisi ecologica. Una seconda anima reca invece il segno dell'utopia antimoderna e antiscientifica: vede negli scienziati degli «apprendisti stregoni», fa leva su paure irrazionali e ancestrali - il timore della «intrusione» nel nostro corpo e nella nostra mente e della perdita d'identità - e sul «mito del ricordo» che identifica il passato con un Eden immaginario.

L'ambientalismo che crede nella scienza ha il dovere e tutto l'interesse ad aprire un «fronte interno» contro queste impostazioni. Senza cedere d'un passo nella critica radicale verso la crescente sottomissione della ricerca scientifica agli interessi economici, nonché verso il mito di una suprema purezza e neutralità degli scienziati, ma dicendo con forza e chiarezza due semplici cose: che l'ambiente concreto da tutelare, da valorizzare, non è natura originaria e incontaminata ma intreccio con la presenza e l'azione dell'uomo; e che un nesso indissolubile lega il progresso della scienza all'obiettivo di contrastare il degrado ambientale.
Questa necessità è tanto più urgente in Italia, dove il sistema della ricerca gode di pessima salute e dove sopravvive l'idea gentiliana che la cultura vada «scissa» tra saperi teoretici e saperi tecnici. Gli ambientalisti italiani devono stare dalla parte della scienza, devono reclamare un sostegno pubblico molto più forte alla ricerca di base, devono battersi perché la retorica delle tre «I» - inglese, Internet, impresa - non cancelli definitivamente dal vocabolario le tre «E» almeno altrettanto essenziali di evoluzione, Einstein, ecologia.

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