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Sviluppati in agricoltura tecnologica

Nel 2004 il Sud del mondo primeggia per le coltivazioni di Ogm

1 febbraio 2005
Valeria Confalonieri

Coltivazioni Il 2004 si chiude con un aumento del 20 per cento delle coltivazioni  geneticamente modificate: oltre 13 milioni di ettari in più rispetto al 2003. E il 90 per cento dei nuovi coltivatori è nel Sud del mondo, con circa sette milioni di ettari contro i sei dei Paesi industrializzati. La notizia viene dal rapporto dell’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), organizzazione che si propone di ridurre la povertà grazie al trasferimento delle biotecnologie nei Paesi in via di sviluppo, quindi agli agricoltori più svantaggiati in termini di risorse, garantendo allo stesso tempo sicurezza e uno sviluppo dell’agricoltura maggiormente sostenibile. Il fondatore e presidente dell’ISAAA, Clive James, che ha lavorato e vissuto per un quarto di secolo in Asia, Africa e America Latina, ha così commentato i risultati del 2004: “La continua e rapida adozione delle agrobiotecnologie, soprattutto da parte degli agricoltori con appezzamenti piccoli e risorse limitate, è una dimostrazione dei benefici economici, ambientali, sanitari e sociali che offrono sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo”.

Dibattito aperto. Ma c’è chi è preoccupato dagli Ogm nel Sud del mondo. In un’intervista a PeaceReporter lo scorso anno, Aldo Gonzales, indigeno zapoteca dell’Unione di Organizzazioni della Sierra Juàrez e membro del Congressso Nazionale Indigeno, aveva sottolineato il rischio della perdita di biodiversità, poiché l’uniformità genetica rende la natura più vulnerabile: “Ma le conseguenze più gravi sono sociali, perché gli Ogm creano dipendenza. Il nuovo mais, nella maggior parte dei casi, non si può rinseminare. Bisogna comperarlo ogni anno. A venderne i semi e deciderne il prezzo sono le multinazionali, che producono anche i pesticidi adatti alle nuove specie”. Dello stesso parere Silva Ribeiro, messicana, giornalista e ricercatrice del Gruppo di Azione su erosione, Tecnologia e Concentrazione, intervistata sui rischi del transegnico: “Una sempre maggiore dipendenza degli agricoltori dalle grandi aziende produttrici. Una dipendenza che nel Sud del mondo sarà ancora più drammatica: i semi transgenici costano. E i costi degli Ogm si ammortizzano solo in un’agricoltura intensiva e meccanizzata. Non è escluso infine il rischio di una ‘guerra biologica’: un virus lanciato su piantagioni uniformi provocherebbe una catastrofe”.

Nord, Sud, Est, Ovest. Le nazioni con coltivazioni di piante geneticamente modificate sono 17 e nel 2004 quelle con una superficie pari o superiore a 50.000 ettari sono passate da 10 a 14, con l’ingressso di Paraguay, Messico, Spagna e Filippine. In cima svettano gli Stati Uniti, con oltre la metà della superficie totale mondiale, seguiti a grande distanza da Argentina (20 per cento), Canada e Brasile (6 per cento), Cina (5 per cento), Paraguay (2 per cento), India e Sud Africa (1 per cento). Chiudono la lista Messico, Spagna, Filippine, Uruguay, Australia e Romania. Nel comunicato dell’ISAAA si legge che per Edwin Paraluman, delle Filippine, l’aumento della resa dei campi (raddoppiata) ha aiutato molto la sua famiglia: “Risultati simili a quelli ottenuti da Edwin Paraluman aiutano a spiegare l’aumento del 35 per cento delle superfici coltivate con Ogm nei Paesi in via di sviluppo rispetto al 13 per cento nei Paesi industrializzati. Per la prima volta, oltre un terzo della superficie globale coltivata con piante geneticamente modificate si trova nei Paesi in via di sviluppo”.

 

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