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Il sindaco di Pechino e lo smog

Petrolio, carbone, nucleare? In attesa di nuove strategie globali la Cina ci prova con il metano
5 febbraio 2005
Nicola Cipolla
Fonte: www.liberazione.it
5.02.05

Traffico a pechino

Lo smog è un "male comune" a tutte le città del mondo. Conseguenza diretta del sistema energetico basato sul carbone e sul petrolio che è alla base dello sviluppo industriale e dell'attuale fase della globalizzazione.

Lo smog è prodotto, com'è noto, dai particolati, cioè infinitesime particelle, anche cancerogene, emesse dalle ciminiere e dai tubi di scappamento, che si insinuano nei bronchi e nei polmoni causando un aumento delle malattie polmonari e cardiovascolari. Nell'Europa neoliberista si reagisce allo smog chiudendo o aprendo la circolazione delle macchine nei centri cittadini, con deroghe paradossali di tutti i tipi.

Lo smog colpisce in modo grave anche una grande città come Pechino e le altre città cinesi, impegnate come è noto a superare in pochi decenni lo sviluppo industriale realizzato nei paesi occidentali "avanzati" nei due secoli del carbone e del petrolio.

La soluzione è costituita dall'abbandono delle energie non rinnovabili e inquinanti e dal ritorno, con le tecnologie nuove, alle energie rinnovabili: il sole, il vento, l'acqua che scorre, le biomasse. Soluzioni difficili da realizzare in tempi brevi - anche se molti passi avanti, specie nell'eolico, sono stati fatti - specie perché osteggiate fieramente dalle forze politiche collegate ai grandi interessi economici.

Tra le risorse non rinnovabili solo una, il metano (la più semplice molecola di idrocarburi), per quanto anch'essa responsabile seppure in misura minore delle emissioni di gas serra, ha un impatto quasi zero sui micidiali particolati che sono la causa principale dello smog.

Il sindaco di Pechino, come la stampa ha annunciato nei giorni scorsi, ha commissionato all'Iveco la fornitura di 200 autobus a metano, da utilizzare nella prima zona senza mezzi pubblici a gasolio, in vista di ulteriori allargamenti previsti con la joint venture tra Iveco e omologhe società cinesi, per la costruzione di una fabbrica capace di fornire 12mila autobus non inquinanti l'anno: un impianto più grande della Fiat di Termini Imerese.

Si impongono alcune considerazioni. Non da ora il Movimento ambientalista e la Sinistra hanno posto il problema di utilizzare il metano - nella fase di transizione verso un modello energetico basato sulle energie rinnovabili e non inquinanti - come fonte energetica meno inquinante e più disponibile per l'Italia, rispetto al petrolio e al carbone, nel momento in cui la questione fu posta in contrapposizione alla progettata costruzione di centrali nucleari da parte dell'Enel.

L'iniziativa è buona certamente per Pechino, per la Cina e per la Fiat-Iveco. Ma perché nei grandi comuni italiani, nelle regioni, nel programma energetico nazionale, nella politica industriale della Fiat e del Paese, non viene posto in essere un programma di passaggio graduale, ma rapido, per il trasporto pubblico e privato dalla benzina e dal gasolio al metano, e per la trasformazione nello stesso senso delle centrali elettriche che bruciano gli ultimi e più inquinanti derivati della raffinazione del petrolio?

Nella confusione mediatica suscitata dalle dichiarazioni di Silvio Berlusconi a favore del nucleare (soluzione vietata dall'esito di un referendum popolare, in ogni caso disponibile praticamente dopo decine di anni di ricerche) è invece andata avanti la proposta - che purtroppo ha avuto qualche udienza anche in ambienti del centrosinistra - del piano Enel di trasformare le grandi centrali a olio combustibile in centrali ancora più grandi a carbone, da andare a rastrellare nei più lontani paesi, alla ricerca di costi più bassi e quindi di utili maggiori per un'Enel ormai vocata al solo aumento dei profitti aziendali.

Invece l'uso del metano non è più costoso ma è certamente più utile per una serie di motivi. In primo luogo l'Italia è collegata con i giacimenti più grandi del mondo, che sono quelli russi e quelli dell'Africa settentrionale (Algeria e Libia), attraverso metanodotti che costituiscono l'infrastruttura di trasporto meno costosa e meno inquinante per il territorio, dato che non c'è bisogno di porti, ferrovie, autostrade e altre infrastrutture pesanti. L'Italia possiede anche, dai tempi dell'Eni di Enrico Mattei, una notevole rete interna che raggiunge quasi tutto il territorio nazionale.

In secondo luogo, non bisogna dimenticare che i pozzi italiani forniscono ancora una quota notevole del fabbisogno, e che i fornitori esteri sono legati obbligatoriamente all'Europa dalla politica mediterranea, per quanto riguarda la Libia e l'Algeria, e dalla necessità di fronteggiare assieme il peso del colosso americano per quanto riguarda la Russia. Diversa è invece la situazione dell'approvvigionamento del petrolio dall'area mediorientale, sottoposta alle crisi che infaustamente la travagliano, e alle stesse aree produttive di carbone.

In terzo luogo, il metano nel settore della produzione di energia elettrica ha un rendimento maggiore del 10-15% per Tep (tonnellata equivalente di petrolio) rispetto ai suoi concorrenti, che può anche diventare di 20-30 punti maggiore se alla produzione di energia elettrica si associa la cogenerazione di acqua e aria calda per uso civile o industriale. Ma proprio qui l'Enel non vuole sentire ragioni. Il suo piano prevede, come già negli anni Ottanta per il nucleare e il carbone, grandissimi impianti che creano enormi difficoltà all'ambiente, la proliferazione di reti di trasmissione e di centrali di trasformazione e inquinamenti di ogni tipo. C'è anche in questa posizione dell'Ente elettrico il tentativo di sfuggire a un controllo reciproco con l'Eni, maggiore produttore importatore e distributore di metano in Italia.

In quarto luogo, il metano può essere utilizzato in una fase di transizione per la produzione di idrogeno e può essere ricavato anche da impianti che utilizzano biomasse residuali o appositamente prodotte dall'agricoltura e dal rimboschimento.

Per dare una risposta a queste questioni c'è dunque bisogno di una revisione totale dei programmi e del ruolo che grandi entità industriali come l'Eni, l'Enel e la stessa Fiat devono affrontare. Allo stesso modo questo problema deve essere affrontato dal programma del centrosinistra, senza cercare di mercanteggiare l'appoggio di potenti gruppi di pressione costituiti all'interno di questi enti.

Nell'immediato occorrerebbe avanzare una proposta semplice basata su tre punti. Primo: obbligo dell'utilizzazione del metano su tutti i mezzi pubblici di nuova immatricolazione e da sostituire. Secondo: obbligo per le reti di distribuzione dei carburanti di aprire, con gradualità, punti di fornitura di gas metano e Gpl per autotrazione. Terzo: semplificazione burocratica e incentivi ecologici per gli impianti di produzione elettrica che prevedano la cogenerazione. In questo quadro la Fiat potrebbe uscire dalla crisi produttiva in cui si trova, rendendosi protagonista della trasformazione dei sistemi di trasporto pubblico e privato.

Si tratta di misure semplici, attuabili anche a livello locale, previste nei Piani Regionali Energetici e Ambientali, e soprattutto di un'azione politica e parlamentare che rovesci l'impostazione di governo e del piano Enel e dia voce unitaria e propositiva a tutti i grandi movimenti che in quest'ultimo anno si sono sviluppati in tutta Itala e in particolare nel Mezzogiorno.

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