Non voto, dunque esisto

I risultati elettorali di questi giorni, se misurati in termini di percentuali, parlano di uno schiacciante trionfo della Lega ed in generale di una poderosa vittoria del centro-destra. I valori assoluti rivelano invece un drastico calo del numero di votanti, che ha portato ad una significativa caduta di consensi che coinvolge trasversalmente destra e sinistra: dunque l'unico grande merito della Lega è quello di aver saputo conservare il numero dei propri elettori.
13 aprile 2010

Oggi in Italia il non voto sfiora il 40% degli aventi diritto.
L'educazione impartita, in famiglia e a scuola, ci ha insegnato per anni che la democrazia ed il diritto al voto sono valori irrinunciabili, conquiste ottenute anche col sangue, conquiste che hanno superato perfino incompresibili discriminazioni tra sessi.
Tali insegnamenti, ormai metabolizzati da tempo, non ci impediscono però di riflettere sul senso della democrazia che vive il nostro paese.
Le neppure tanto lontane vicende mediorentali, nelle quali si è sbandierata l'esportazione della democrazia e delle elezioni libere, risolte il più delle volte nell'imposizione di candidati graditi ai governi occidentali, dovrebbe far comprendere quanto la manifestazione del diitto di voto possa essere svilita da contesti nei quali la diegesi della costruzione di una democrazia si basi sulla profonda discrasia tra il reale e le fantasticherie  propagandistiche.
In particolare il diritto al voto rappresenta il diritto ad una scelta consapevole, sviluppata in un contesto nel quale maturino e si consolidino stabilmente alcune condizioni che ne facciano da necessario sostrato democratico: ci riferiamo alla facoltà concessa a qualsiasi gruppo di cittadini di costituirsi in coalizione elettorale; alla possibilità data a tutti di presentare e diffondere il proprio programma in un contesto di equilibrio tra le parti e confronto paritario e civile; all'assenza di un ambiente inquinato da pressioni clientelari e/o malavitose; al diritto infine dei cittadini di poter scegliere in totale autonomia partiti e canditati.
A tali condizioni si aggiungono quelle della possibilità che il pubblico, la cosiddetta cittadinanza attiva, una volta eletti i propri rappresentanti, possa partecipare in maniera propositiva alle decisioni amministrative con osservazioni e suggerimenti.
 
Ci pare evidente che molte di queste condizioni oggi, in Italia, siano venute meno.
Il sistema dei partiti è chiuso ed autoreferenziale, pesantemente condizionato dai potentati economico-finanziari, o peggio malavitosi, spesso  basato sui “serbatoi certi” di voti; l'inclusione di "candidati nuovi" è poi il più delle volte finalizzata a solidificare lo status quo, al punto che, nelle elezioni per il rinnovo del parlamento, le strutture di partito possono imporre la scaletta ordinata dei candidati da far eleggere. La presentazione di nuove coalizioni elettorali nate "dal basso" e la possibilità di renderle visibili è pressocché impossibile, a causa del blocco mediatico impenetrabile e sottomesso ai voleri del padrone; tant'è che perfino novità, come quella del movimento di Grillo, non si sarebbero mai concretizzate senza l'intervento “dall’alto” del padre spirituale dei meetup. Lo scollamento dei partiti, anche dei più puliti, dalla società civile appare irrecuperabile ed i programmi elettorali sono il più delle volte codardi, logori, privi di aderenza col reale e penosamente propagandistici; inoltre la loro successiva concretizzazione in azione politica viene condizionata da tutt'altri fattori. Infine, ad elezioni avvenute, la possibilità della società civile di un intervento pubblico viene considerata dagli amministratori un fastidio quasi intollerabile.
 
In questo panorama di squasso della cosiddetta democrazia rappresentativa, che già di per sé alimenterebbe una notevole disaffezione dei cittadini dal voto, si vanno adombrando scenari molto poco rassicuranti.
 
Il territorio italiano e più in generale l'ambiente sono devastati da scelte industriali che antepongono costantemente il bene privato a quello collettivo, il profitto di pochi all'incolumità di molti, scaricando sul lungo periodo gli effetti di tali scelte sul sistema sanitario; né esiste alcuna politica che punti seriamente ai temi urgenti della sobrietà e della decrescita sostenibile, del recupero della materia, dell'uso di fonti energetiche rinnovabili, dell'ammodernamento, sulla base di una pianificazione strategica nazionale, delle unità abitative, finalizzato alla riduzione degli sprechi energetici; nel contempo  beni collettivi, quali l'acqua e territori ad elevato valore turistico o agricolo, sono oggetto del violento arrembaggio affaristico dei privati, dietro i quali spesso si celano arcinote multinazionali.

L'Università e la ricerca sono umiliate da una politica che, oltre a deprivare costantemente l'istituzione scolastica di risorse, vorrebbe asservire la cultura al profitto, sventrare il pubblico a favore del privato, precarizzare e sottopagare docenza e ricerca universitaria, alimentare il meccanismo delle baronie. La conseguenza è, nel migliore dei casi, la fuga dei cervelli; nel peggiore lo stallo se non l'arretramento culturale ed industriale di un paese asfittico, con le eccellenze soffocate e la totale assenza di risorse economiche in grado di valorizzare uomini e idee.

Le grandi ossature industriali della nazione sono state oggetto di una dissennata politica di privatizzazione che ha svenduto all'estero asset strategici o ha consentito a scaltri finanzieri locali, spacciati con la solita propaganda mediatica per grandi industriali, di saccheggiare e depotenziare immense risorse della nazione.
Le politiche occupazionali assistono inermi alla desertificazione dell'innovazione industriale e alle imprese della tradizione manifatturiera e agroalimentare che affondano di fonte alla schiacciante concorrenza di paesi emergenti; i quali ultimi basano la loro produzione su lavoro sottopagato e sottotutelato, oltre che sulla dubbia qualità del prodotto finale.
Il turismo, una risorsa potenzialmente enorme per l'Italia, viene strozzato da assenza di infrastrutture, organizzazione e sostegno economico che lo valorizzino.
Il lavoro pubblico si consolida alimentando immondi serbatoi clientelari, che tendono oltretutto a bloccare i meccanismi di ricambio politico.
In generale il lavoro nero ed il precariato avanzano inesorabilmente ovunque, in un panorama di perdita costante di diritti occupazionali, tra la giungla di aziende-scatole-cinesi, "professionisti" dei fallimenti aziendali e, siamo ormai nell'ordinario, cessioni di rami d'azienda, tramite esternalizzazioni coatte di migliaia di lavoratori con cui si aggirano le leggi sul licenziamento, nell'accondiscendenza silente della classe politica che di anno in anno legifera solo inattuabili incrementi dell'età pensionabile.
Siamo così al paradosso di una società in cui i nuovi lavoratori possono rivendicare meno diritti dei loro predecessori; al punto che si prospettano scenari apocalittici, quando tra qualche anno un esercito di anziani, fuoriusciti da forme barbariche di lavoro iper-precario, si troverà privo di adeguati sostegni pensionistici.

Scudi fiscali, condoni e depenalizzazioni trasformano la nazione nel pese di Pulcinella, dove vige la legge del più furbo, un modello morale che svilisce l'onestà in roba da fessi: fino ad insensatezze uniche al mondo, per le quali commettere illeciti finanziari che bruciano i risparmi di decine di migliaia di famiglie sarebbe meno grave dello scaricare un film da internet o rubare qualche mela.
La legalità infine appare un orpello, con un sistema giurdiziario paralizzato da inefficienze, lentezze croniche, iniquità e mancanza di risorse necessarie all’efficienza delle sue strutture.

Mentre la nazione affonda e la politica festeggia in un'orgia di incosciente edonismo, tra veline e puttane d'alto borgo, l'organo mediatico suona sempre le stesse note.
Tutto sembra preconizzare una imminente implosione dalla quale non è chiaro come sarà possibile venirne fuori. Quel non voto del 40% degli italiani è uno dei campanelli d’allarme.

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