Anche "One Billion Rising" è servito a spezzare il silenzio

Stupro di guerra, una violenza atroce contro le donne e l'Umanità

E' una delle ferite più atroci della storia. In paesi teatro di conflitti e di guerre civili, la violenza contro le donne assume forme inconcepibili. Bisogna fare molto di più
10 marzo 2013

I racconti delle violenze e delle torture in Congo sono insostenibili (Italnews)

"One Billion Rising" è stata un'iniziativa globale di denuncia per contrastare la violenza nel mondo contro una sua parte, lanciata dalla scrittrice americana Eve Ensler. Il 14 febbraio, in quasi 200 paesi, in momenti collettivi, balli e flash mob che hanno coinvolto decine di migliaia di persone, si è voluto dire che è necessaria una reazione molto più determinata da parte dei governi e delle società civili. Ogni giorno sulle donne si abbatte infatti una violenza dai numeri e dalle forme impressionanti, che interessa un miliardo di persone. Ogni giorno che seguirà, le vittime porteranno con loro ferite di ogni tipo, e coloro che le hanno inferte ne produrranno altre. Trasferiranno ai più giovani il seme di una violenza che non si ferma davanti a nulla, perché impara e si esercita a disprezzare chi rappresenta un pezzo della propria vita quotidiana, chi rappresenta la sua famiglia, la sua infanzia, il primo sguardo attraverso cui è entrato in contatto con il mondo.

Questo genere di violenza è un aspetto della follia autodistruttiva che colpisce il pianeta, alimentata da guerre, da diseguaglianze, dallo sfruttamento di esseri umani e di beni della Terra.

COMBATTERE IL SILENZIO SULLA CONDIZIONE DELLE DONNE

Non se ne parla quanto si dovrebbe. Che le violenze contro le donne siano frequenti lo si sa. Maturano lentamente vicino a noi e se ne parla quando hanno un epilogo tragico; se ne parla poco anche in quel caso se ad essere coinvolte sono giovani straniere, intrappolate nell’orrendo circuito della prostituzione. Quando ce ne arriva l’eco da paesi del terzo mondo e da contesti di guerra, ci scopriamo disinformati e persino impreparati all’idea di poterne sapere di più. Il disorientamento poi è massimo quando sentiamo che, ad abusare del loro potere, sono addirittura militari o funzionari in missione di pace. Queste violenze sembrano essere comunque tutte l’effetto di una malattia per la cui guarigione non si fa quasi nulla. E’ delicato intervenire nelle famiglie, è difficile parlarne ai giovani, è anche impegnativo parlarne in un dibattito, temendo forse un effetto "ghettizzazione". Si è consapevoli poi che nei programmi di politici distratti realtà così dolorose ed esplosive potrebbero venire costrette dentro poche intollerabili frasi di circostanza.

Non sono passati neanche tanti anni, del resto, da quando l'organizzazione Internazionale per la difesa dei diritti umani Amnesty International scriveva ai suoi soci di non poter inserire nella propria agenda  interventi generalizzati sul tema della condizione delle donne, diretti ai governi : non sarebbe stato utile, poiché non ritenuto plausibile e accettabile da alcuni paesi.

Intanto, Stati che eravamo abituati a considerare in cammino sembrano tornare indietro. Nei paesi nord-africani, dove sono in atto movimenti fortemente critici nei confronti dei governi, in cui convivono istanze di modernizzazione e radicalizzazioni religiose, si rischia una seria regressione della condizione delle donne. In Tunisia pare si voglia introdurre nella Costituzione un concetto di complementarietà delle donne, che sostituisca quello di eguaglianza rispetto agli uomini. In Egitto si verificano scellerate violenze di gruppo nei confronti delle giovani – spesso studentesse – che partecipano alle manifestazioni in piazza Tahrir, al Cairo. 

VIOLENZE TERRIBILI NEL CONGO E IN ALTRI PAESI

Purtroppo, più i fatti e i fenomeni sono gravi, più si prova disagio nello scriverne e nel parlarne, talmente inadeguato è il livello di attenzione e di informazione che si percepisce e talmente alto è il rischio di suscitare solo sgomento. Manca quasi il coraggio di ascoltare le testimonianze delle tante donne aggredite ordinariamente in alcuni paesi. Violenze tollerate dai governi e dalle fazioni in conflitto, a volte organizzate, praticamente inserite come una voce nella busta paga di combattenti mercenari. Stupri che finiscono per essere arma di guerra, programmati per colpire e umiliare un popolo nemico o una minoranza

Lo stupro di massa è stato spesso utilizzato come strumento di pulizia etnica. Lo si è fatto in modo massiccio in Bosnia (1991 – 1995) e durante la guerra civile in Ruanda (nel 1994). Secondo il Tribunale Penale Internazionale creato dall’ONU per quest’ultimo paese, si è trattato di  un genocidio, con aggressioni sessuali che si stima abbiano riguardato alcune centinaia di migliaia di donne e che sono state parte integrante del processo di distruzione sistematica del gruppo etnico Tutsi. Terribili gli episodi di violenza in Sudan e in Liberia, e di una ferocia inaudita in Congo, dove continuano senza tregua. Per aumentare profitti e potere, purtroppo, c'è chi utilizza freddamente la miseria e l'arretratezza di individui capaci di gesti disumani, e chi evita di fermarsi a pensare che le guerre sono un inevitabile alimento per l'avidità e la barbarie. 

"CRIMINI CONTRO L’UMANITA’"... MA POCHE CONDANNE

La “Quarta Convenzione di Ginevra” (1949) considerava reato lo stupro, ma come offesa all’onore delle donne (art. 27). Solo nel 1977, nell’ambito dei due Protocolli aggiuntivi alle quattro Convenzioni, dedicati alla protezione dei civili, si statuiva che le donne dovevano essere oggetto di “un particolare rispetto” ed essere protette «specialmente contro la violenza carnale, la prostituzione e ogni altra forma di offesa al pudore". La svolta c’è stata nel 2008 (il 20 giugno), quando i 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno approvato la Risoluzione 1820, proposta dagli Stati Uniti e sostenuta dall'Italia, insieme a oltre 30 Paesi. La violenza sessuale viene definita “una tattica di guerra per umiliare, dominare, instillare paura, disperdere o dislocare a forza membri civili di una comunità o di un gruppo etnico”. Si sono poste così le basi giuridiche per processare i responsabili di fronte al Tribunale penale internazionale dell’Aja. Però la Risoluzione non ha previsto come e con quali sanzioni perseguire i responsabili, e nella pratica è stata applicata in pochissime occasioni.

Anche ora, però, che è considerata un “crimine contro l’umanità”, di questa violenza continua ad essere difficile parlare ai governi, quando si verifica nei loro paesi.  Piazza Tahrir, gennaio 2013. Uno dei giovani solidali con le donne (aggrediti anch'essi dopo la manifestazione)

 

ATTENZIONE AI PRESUPPOSTI DELLA VIOLENZA

Non c’è giustificazione per un silenzio così lungo e così profondo, oggi che le notizie possiamo cercarle facilmente. Di fronte alla gravità e alla diffusione di queste violenze, l'attività di informazione e di sensibilizzazione deve essere proporzionata - anche presso le nostre istituzioni - e contribuire a far intraprendere e sostenere azioni a livello internazionale, per condannare gli Stati i cui governi tollerano questa barbarie e per adottare efficaci strumenti di dissuasione  e repressione.

Le azioni da mettere in atto non sono solo quelle dirette. Molte nostre scelte produttive e commerciali sono in grado di alimentare la violenza, aumentando instabilità e interferenze. Mettere in circolazione più armi, ad esempio, significa aumentare il potere dei gruppi più violenti all'interno di alcuni paesi, aumentare la povertà attraverso l'accentuazione di squilibri tra etnie e gruppi sociali e nutrire focolai di guerra e di conflitti interni. Nuovi mercati entrano in gioco attraverso la possibilità di barattare, al prezzo dello “smaltimento” di rifiuti pericolosi e radioattivi, possibili "triangolazioni" (l’arrivo di armi attraverso imprese di un paese ad un altro paese, in cui è vietato esportarle in base ad accordi internazionali). Sono mercati che contribuiscono a bloccare le nostre politiche ambientali e alimentano corruzione e criminalità. Le organizzazioni criminali, a loro volta, reinvestono in prostituzione e alimentano il commercio spaventoso di ragazze provenienti da paesi a forte grado di emigrazione. Non si può nemmeno rimanere ancora inconsapevoli delle nostre scelte di consumo e delle loro conseguenze, del circuito tra le lotte per il controllo delle risorse della Terra e l'aumento complessivo della violenza. Se sono collegate in modo così stretto allo sfruttamento di esseri umani, queste scelte vanno cambiate. In genere non c’è neppure una convenienza diffusa a conservarle, ma piuttosto la convenienza di pochi gruppi e individui.

AMICIZIA E IDEE, ISOLANDO I VIOLENTI 

Le azioni da mettere in atto partono dalla conoscenza dei meccanismi della violenza e dalla denuncia. Ma la loro forza esplode attraverso la testimonianza solidale, attraverso l'amicizia verso le donne.

Eve Ensler è una persona che ha sofferto, e che, girando il mondo, ha raccolto la voce di donne che hanno vissuto esperienze mostruose. Per questo, la sua proposta di mettere in circolazione immagini e sentimenti in forma anche gioiosa, in luoghi inconsueti, in spazi pubblici diversi da quelli in cui sono spesso "collocate" le donne - che sono spazi equivalenti a riserve di tipo diverso a seconda delle dinamiche di tradizione e di consumo dei vari paesi - non può che essere pienamente consapevole. Fare i conti con dati tragici e farli conoscere non deve essere cosa diversa e distante dal gesto di ballare e di cantare per chiedere di intervenire contro la violenza, facendolo attraverso l'espressione del corpo e della voce che la storia - diretta da uomini - ha finito sempre per opprimere, pretendendo di selezionare i modi di quell'espressione.

Adesso bisogna organizzare altre azioni, premendo su istituzioni e organi d'informazione, puntando al livello delle organizzazioni sovranazionali e ricordando sempre, quando si parla di guerra e dei suoi strumenti, che la vita delle persone ne verrà per sempre sconvolta, con un danno che non è "collaterale", ma centrale e straziante per ogni comunità. Si può ricordarlo anche portando fuori, alla luce, la volontà e la gioia di esserci e di essere una delle speranze più forti per spostare l’asse del pianeta verso la pace. 

Note: Intervista a Eve Ensler sul flash mob planetario "One Billion Rising"
http://www.repubblica.it/cronaca/2013/02/05/news/eve_ensler-52021428/

La ferocia delle violenze in Congo http://27esimaora.corriere.it/articolo/oggi-mentre-lavavo-la-macchina-in-congo-5-donne-sono-state-violentate/

"Crimine contro l'Umanità": il percorso fino alla Risoluzione ONU 1820 http://www.storiain.net/arret/num188/artic3.asp

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