Giustizia per Nicola Calipari, giustizia per l'Iraq

6 marzo 2005

Nicola Calipari, il funzionario del Sismi ucciso il 4 marzo 2005 dal fuoco statunitense ad un posto di blocco di Baghdad

C'e' solo una cosa peggiore della morte di Nicola Calipari: la vuota retorica che circonda la sua scomparsa, e l'ipocrisia con cui i nostri potenti chiedono delle "scuse" come si fa quando per sbaglio qualcuno rovescia un po' di vino sulla tovaglia o fa cadere un bicchiere per terra.

Oggi non e' piu' tempo di ipocrisie, non e' piu' tempo di parole vuote. Oggi e' tempo di giustizia, per la famiglia Calipari e per tutte le famiglie irachene che hanno perso padri, madri, figli, figlie, fratelli e sorelle a causa della nostra sciagurata violenza, a causa di una guerra che doveva servire a rintracciare bombe atomiche, poi a stanare un dittatore, poi a riempire dei seggi elettorali, ma in realta' e' servita solamente a uccidere, gettando semi di odio che hanno trasformato l'Italia, un popolo amico del mondo intero, in sessanta milioni di bersagli mobili presi di mira nel fuoco incrociato tra la violenza degli insorgenti e quella degli occupanti.

Non ci bastano le scuse o le finte parole grosse di convenienza per sentirci soddisfatti e degnamente rappresentati da chi ci governa: chiediamo che gli Stati Uniti d'America, e tutti i governi che a vario titolo hanno appoggiato le loro guerre di aggressione e le successive occupazioni militari, vengano giudicati da un tribunale internazionale indipendente per tutti i crimini di guerra commessi dagli eserciti che occupano l'Iraq, l'Afghanistan, il Kossovo e tante altre zone del mondo violentate con posti di blocco dove prima si spara e poi si fanno domande.

Chiediamo giustizia, e non vendetta, per dare un senso a questa tragedia, a questo dramma che ci restituisce il senso e la profondita' di tutta la morte e la distruzione che gli eserciti "alleati" hanno seminato in tutto l'Iraq.

Volevamo salvare una vita umana, e a migliaia ci siamo mobilitati per questo. Qualcuno ha premuto un grilletto per dire di no ai nostri progetti, e una raffica di morte ha strappato alla vita un uomo giudicato sommariamente e condannato a morte dallo stesso tribunale che oggi giudica la vita e il destino di milioni di cittadini iracheni.

La morte di Nicola Calipari e' solo l'atto finale di una violenza che dura da anni, e che calpesta tutte le regole del diritto internazionale, le convenzioni di Ginevra, i codici militari e perfino le piu' elementari regole di umanita'.

Chiediamo che gli assassini di Nicola siano portati davanti ad un tribunale assieme a tutti gli assassini in divisa e in doppiopetto che non possono piu' nascondere le loro azioni criminali dietro il pretesto della "difesa" di un popolo.

Chiediamo che sia fatta giustizia anche all'interno del nostro paese, e che i crimini di guerra commessi dai governanti di ogni colore non vengano piu' considerati un "errore politico", ma una responsabilita' penale che dovra' ricadere su tutti coloro che a vario titolo hanno disposto azioni di morte portando bombe e sterminio fuori dai confini del nostro Paese.

Siamo stanchi di parole vuote, equilibrismi politici, teatrini televisivi, ipocrisie e retorica. Oggi vogliamo sentire parole vere, e non le vogliamo da politici con le mani sporche di sangue che fingono indignazione a comando, ma da un tribunale chiamato a giudicare gli assassini di Nicola Calipari, magari proprio quella Corte Penale Internazionale che gli Stati Uniti d'America si ostinano a rifiutare considerando la democrazia come un prodotto destinato alla sola esportazione.

Oggi chiediamo parole vere. Un uomo ucciso senza motivo dalla follia della guerra non e' un "eroe" che va celebrato con vuote medaglie, ma una VITTIMA di un'assurda occupazione militare che stronca ogni giorno decine di vite, un'aggressione armata che si scontra ogni giorno con il NO alla guerra che milioni di persone in tutto il mondo continuano a ripetere con le parole della nonviolenza.

Secondo il vocabolario un eroe e' una persona che "mostra straordinario valore guerresco o è pronto a sacrificarsi coraggiosamente per un ideale". Non c'e' stato nessun valore guerresco nei gesti di Nicola Calipari, ma solo il valore umano di chi ha voluto operare per la vita e contro la violenza. La sua vita non e' stata donata volontariamente in sacrificio per un ideale, ma e' stata stroncata assurdamente dalla totale assenza di ideali, di valori e di dignita' che guida le azioni delle truppe di occupazione statunitensi.

Non c'e' eroismo nell'agnello mandato al macello che si trova improvvisamente davanti al suo carnefice: e' il macellaio ad essere un vigliacco, e riempirsi la bocca di vuota retorica militaresca sul sacrificio eroico non servira' a consolare una vedova e due orfani, non riportera' in vita un uomo onesto, non servira' a nascondere che il punto del discorso non e' l'eroismo delle vittime ma la codardia, la violenza, il cinismo, la freddezza e l'inestinguibile sete di sangue dei carnefici.

Un omicidio a freddo ad un posto di blocco non e' un "tragico errore", ma un CRIMINE DI GUERRA che deve essere perseguito con tutte le nostre forze, un crimine che ci chiama all'azione individuale proprio perche' nessuno dei potenti che vogliono esportare democrazia e diritto andra' fino in fondo nel chiedere giustizia per la morte di Nicola Calipari.

Un grido di dolore contro la violenza delle armi non e' "antiamericanismo", ma un sussulto di DIGNITA' di un popolo italiano che si ostina a credersi sovrano e non suddito di un impero dove la vita delle popolazioni "conquistate" conta di meno di quella dei cittadini dell'impero.

Un disperato appello al ritiro delle nostre truppe non e' "vigliaccheria", ma una richiesta di GIUSTIZIA, che e' anche l'unico modo per difendere la vita di tutti i ragazzi in divisa mandati a morire dalla follia del governo statunitense e dall'asservimento di quei politici nostrani che non sono capaci di uscire dall'infinita spirale della guerra concepita come motore del nostro modello di sviluppo.

Oggi chiediamo parole vere, e mentre invochiamo giustizia ci stringiamo attorno alla famiglia Calipari con un invito commosso: tenete duro, non mollate, cercate giustizia in tutti i modi e in tutte le sedi possibili, bussate a tutti i tribunali che possono e devono garantirvi giustizia, non stancatevi di raccogliere memorie e documenti sull'omicidio a sangue freddo che vi ha strappato un padre e un marito, siate forti e continuate in cio' che e' giusto, non abbandonate mai il vostro percorso di verita'.

Anche se i tribunali e i potenti faranno finta di non sentirvi, il vostro grido sara' un continuo richiamo alla loro coscienza, la vostra voce e quella di tutte le vittime di guerra togliera' il sonno a chi si affretta a ricoprire di fiori le tombe degli eroi solo per riprendere a far squillare le trombe di una marcia suicida, le fanfare di una spirale di morte che oggi, purtroppo, ha tolto la vita e la liberta' a un uomo che si e' impegnato per tutelare la vita e la liberta' degli altri.

Non sentitevi mai soli: nella vostra ricerca di verita' tutte le persone di buona volonta', gli amici della nonviolenza, gli affamati di giustizia e tutti gli uomini e le donne onesti d'Italia e del mondo saranno pronti a darvi una mano. La nostra e' gia' tesa verso di voi.

Carlo Gubitosa - Alessandro Marescotti
Associazione PeaceLink

Note: Dopo la tragedia del Cermis del 1998, quando in val di Fiemme un aereo statunitense tranciò i cavi della funivia provocando venti morti, uno dei quattro piloti, il navigatore Chandler P. Seagraves, è stato promosso da capitano a maggiore nel 2003. Il 10 marzo 1999, dopo l'assoluzione dei militari coinvolti nella strage, Massimo d'Alema dichiarava alla Camera dei Deputati che "Ho sottolineato, nel corso del colloquio con il Presidente Clinton, l'esigenza irrinunciabile che eventuali responsabilità superiori a quelle finora indagate possano venire accertate prontamente, con il massimo di completezza. [...] L'adesione convinta del Presidente degli Stati Uniti a questa nostra richiesta significa che i nostri due governi convengono che le responsabilità della tragedia debbano essere accertate in tutta la loro interezza, senza alcuna zona d'ombra. [...] Per questo complesso di ragioni non intendo commentare nel merito il verdetto della Corte marziale statunitense che lo scorso 4 marzo ha prosciolto da ogni accusa il pilota dell'aereo". Oggi abbiamo Berlusconi nel ruolo di chi chiede di accertare le responsabilita', e domani ricoprira' volentieri anche il ruolo di chi si asterra' dal commentare eventuali sentenze assolutorie.

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