Effetti Global prodigiosi ovvero dell'assenza del potere europeo

19 novembre 2009
Nicola Forlani

La conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici è in programma dal 7 al 18 dicembre a Copenaghen. Eppure il suo epilogo è già stato scritto. E' ormai certo un sostanziale fallimento delle più generose aspettative createsi dopo una lunga e logorroica viglia.

La strategia europea può anche andare a farsi benedire, così come l'ottimismo che ha animato i tanti euro fiduciosi che hanno speso tempo ed energie a disquisire sui mirabolanti risultati che avremmo dovuto attenderci dal summit danese.

La vicenda ha del prodigioso. L'epilogo anticipato è stato scritto al vertice APEC, l'organizzazione per la cooperazione economica dei paesi dell'Asia-Pacifico. Obama e Hu Jintao hanno deciso che non ci sarà nessun accordo globale sui cambiamenti climatici, buco dell'ozono in testa.

Tutto rimandato sullo Strøget. Previste solo esposizione di intenti, folta partecipazione di “Grandi” e foto di gruppo finale, con Sirenetta annessa. Come all'inutile vertice FAO in corso a Roma, e prima nel G8 e G 21, passando per G4 e timori di G2, le dichiarazioni di impegno di stanziamenti economici si sprecheranno.

Poi, guarda caso, questi impegni non risultano nel testo delle dichiarazioni finali, e solo una piccola parte di quanto promesso verrà impegnato dai “Grandi” del mondo. A proposito, ma grandi in cosa? Di sicuro nelle bugie che sanno così ben dissimulare. Le possibili altre ipotesi interpretative del “Grande” potrebbero accavallarsi, una sulle altre, in un crescendo parossistico; un percorso di analisi che sarà però bene non approfondire ulteriormente.

Il nuovo corso dell'amministrazione americana inizia a perdere pezzi. Il primo presidente di colore degli Stati Uniti, quello che ha più volte dichiarato la discontinuità rispetto alle politiche energetiche, e quindi militari, degli Usa dopo l'era Bush, rimane schiacciato sotto le più ovvie, per certi versi anche banalmente evidenti, esigenze di potere. Per parlare di libertà ai giovani cinesi si è persino prestato ad un messa in scena con un piccolo gruppo di improbabili e compiacenti astanti. Tutto oscurato in Cina, giusto per far bella figura nei nostri telegiornali.

La svolta ambientalista che il Presidente ha tentato di imprimere nel proprio Paese è ferma al Senato, e sembra che lo rimarrà ancora per un bel pezzo. Al momento non è individuabile nessun accordo con il principale competitor (non di certo alleato o amico, ma solo riconosciuto antagonista) su scala globale, la Cina.

Senza tralasciare il fatto che Obama ha già un Nobel per la pace in tasca. Chi sa, un repentino aggravarsi di uno dei tanti focolai di crisi internazionale potrebbe costringerlo a dover dar piglio alla violenza. A quel punto dei suoi proclami sulla nuova strategia internazionale, volta ad un più prudente multilateralismo, potrebbe costringerlo a svelare quella che è la reale, e tradizionale, posizione degli americani in tema di politica estera: fare, eventualmente, con gli altri, quello che si è disposti a fare, in ogni caso, da soli.

Il presidente nero, con l'editto di Singapore, si è giocato già metà della propria credibilità. Perdesse anche l'altra metà, dovrebbe chiedersi “ Posso ancora ritirare il Nobel?” Sarebbe un problema di coscienza.

Ma il terremoto del Pacifico ha prodotto anche un altro devastante effetto, meno prodigioso del primo. Un'onda anomala ha iniziato ad investire i Paesi del vecchio continente. Per la prima volta, un vertice America Asia mette ai margini della scena internazionale l'Europa, la Germania, la Francia.

Per induzione, l'Unione europea tutta, non solo è battuta sul piano delle proposte, ma non è proprio entrata nemmeno in campo. La squadra del soft power è rimasta chiusa negli spogliatoi. La partita di Copenaghen si annuncia come un'amichevole di prestigio, dove dare un palcoscenico a vecchie glorie che non hanno più alcun titolo per partecipare ai campionati del mondo.

I federalisti lo sostengono da tempo: senza la fondazione di un reale livello di potere europeo (e l'unico livello riconoscibile ed efficace è solo quello statuale) l'Europa tutta è destinata ad una progressiva marginalizzazione. Nel migliore dei casi diventeremo una grande Svizzera, opulenta, dedita alla speculazione finanziaria e ottima destinazione turistica per yankee sempre più obesi e occhi a mandorla bionici.

Il secondo aspetto dell'assunto, la marginalizzazione, è stato recentemente ricordato anche da Massimo D'Alema in occasione di un incontro presso la Rappresentanza della Commissione a Roma. Peccato che l'Alto rappresentante (in pectore) per la politica estera e la sicurezza comune abbia evidenziato il male ma non la cura.

Chi sa. Sotto il peso di sberle, come quella di Singapore - che non potranno che moltiplicarsi nel futuro – i leader del vecchio continente potrebbero rendersi conto che è giunta l'ora di un soprassalto di orgoglio federalista.

Il tempo lavora contro il buon senso e la ragione. Speriamo che quando i “Grandi” dovessero mai avvedersi di essere diventati “piccoli piccoli”, saremo ancora in tempo per poter quanto meno partecipare a qualche scambio di opinione al momento del caffè, oltre a rito della foto.

Quando? Ma ovvio! Alla conclusione dei prossimi vertici indopacifici.

Campoleone, 17 novembre 2009

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