Due visioni del mondo: l’Unione Europea e gli Stati Uniti.

Europa e pace: il progresso e la conservazione

La guerra in Iraq ha segnato un passo rilevante per l’Unione Europea nell’elaborazione di una propria autonoma identità internazionale con riferimento, in particolare, niente meno che alla guerra, alla pace e al concetto di sicurezza.
1 dicembre 2004
Giovanni Finizio

Due visioni del mondo: l’Unione Europea e gli Stati Uniti.

La guerra in Iraq ha segnato un passo rilevante per l’Unione Europea nell’elaborazione di una propria autonoma identità internazionale con riferimento, in particolare, niente meno che alla guerra, alla pace e al concetto di sicurezza.

Per prima cosa, l’UE, nel suo nucleo duro costituito da Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo, ha manifestato contrarietà all’approccio statunitense della guerra preventiva e ha preso le distanze (per non dire che si è opposta) dall’intervento in Iraq. Certo, altri paesi importanti e storici hanno partecipato al documento “degli otto” (Gran Bretagna, Italia, Portogallo, Spagna, Danimarca, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca) con il quale invece veniva dimostrata aderenza ai dogmi americani, producendo una spaccatura nell’Unione Europea intergovernativa, rappresentata dal Consiglio e dal Consiglio Europeo. Tuttavia, una rilevanza particolare va accordata alla dimensione sopranazionale dell’Unione, rappresentata dalla Commissione e dal Parlamento Europeo i quali hanno dimostrato, sia in occasione della guerra in Iraq che in altre circostanze, di avere maturato una posizione autonoma e ben precisa dell’Unione affatto differente rispetto alla strategia aggressiva anglosassone. Così, se la posizione dei governi va e viene per forza di cose (con il succedersi dei governi stessi: si veda la Spagna) e può quindi solo in modo parziale essere considerata espressione dell’identità istituzionale dell’Unione, gli organi sopranazionali hanno concorso fin dalle origini in modo fondamentale alla creazione di un’identità internazionale stabile che fa dell’Unione una “potenza civile”, come alcuni autori la chiamano.

L’espressione “potenza civile” identifica un’entità politica che, perché non vuole o perché non può, persegue i propri obiettivi di pace attraverso strumenti diversi da quello classico della politica di potenza e dell’uso della forza militare. L’UE, in effetti, non vuole e non può, sia per ragioni storiche, sia per ragioni strutturali: essa è nata appositamente per garantire la pace in Europa attraverso l’abolizione assoluta dell’uso della forza nei rapporti tra gli stati europei, anche per mezzo di un’interdipendenza economica, sociale e politica via via più stretta tra cittadini, istituzioni e stati; inoltre, l’UE ha scelto nel tempo di salvaguardare la specificità del modello economico-sociale europeo quale parte integrante della sua identità, e ciò non permette certo un aumento significativo della spesa militare per creare un esercito in grado di competere con quello statunitense; infine, lo sviluppo sopranazionale dell’Unione non ha intaccato adeguatamente la politica estera e la politica di difesa lasciandole incagliate tra gli scogli intergovernativi, cosicché i veti degli stati membri permettono difficilmente posizioni unitarie.

Europa potenza civile significa che l’UE fa, con mezzi peculiari e innovativi, politica internazionale. La fa attraverso le proprie politiche comuni, da quella commerciale a quella agricola, a quella della cooperazione allo sviluppo; attraverso la promozione con diversi strumenti (diversi dalla guerra) della democrazia, dello stato di diritto, dei diritti umani, della società civile; attraverso la promozione del regionalismo nel mondo, cioè stimolando attivamente l’integrazione non solo economica (come fanno gli USA) ma anche politica e possibilmente democratica degli stati in macro-regioni come l’Unione Africana, l’Organizzazione degli Stati Americani e così via.

Dal punto di vista della governance internazionale, l’Unione Europea promuove la difesa del diritto internazionale, l’appoggio alle Nazioni Unite, la tutela dei diritti umani, lo sviluppo di istituzioni internazionali virtuose quali la Corte Penale Internazionale, l’utilizzo del multilateralismo per la gestione delle relazioni internazionali. Un approccio profondamente differente da quello statunitense, il quale si fa beffe del diritto internazionale, strumentalizza le Nazioni Unite per poi umiliarle, utilizza i diritti civili e politici a mo’ di strumento di politica egemonica e considera quelli economici e sociali un “regalo di Babbo Natale” (Madeleine Albright), sostiene le organizzazioni internazionali più distanti dal controllo dell’ONU (e perciò più ingiuste e antidemocratiche), quali l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ma boicotta tutte le altre (ad esempio l’UNESCO, in cui gli USA sono rientrati solo recentemente, e la Corte Penale Internazionale, a cui gli USA non hanno aderito e a cui hanno promesso una battaglia senza quartiere), utilizza l’unilateralismo quale strumento principe di politica estera.

Certamente anche l’Unione Europea, come e più di qualsiasi stato, presenta opacità e squilibri a favore di poteri forti o potenti lobbies: si pensi che l’Unione, se da una parte deroga al regime neoliberista dell’OMC accordando preferenze ai paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), dall’altra contribuisce ad affamare i Paesi in via di sviluppo con la Politica Agricola Comune (PAC), che sussidia gli agricoltori europei ed erige dazi sulle merci agricole importate. Tuttavia, come detto, ciò avviene anche in qualsiasi stato che definiamo tranquillamente democratico, mettendo così in luce che la democrazia è un ideale per il quale bisogna sempre lottare, perché essa non può essere mai raggiunta, ma solo avvicinata il più possibile, che si tratti dell’Italia, degli USA, del Ghana, del Perù o dell’Unione Europea. Rimane che la visione del mondo dell’UE è radicalmente diversa da quella USA: potremmo dire che mentre la seconda è conflittuale, la prima è competitiva ma cooperativa e tendenzialmente inclusiva.

Il progresso e la conservazione: il problema del mutamento.

Purtroppo, ad una divergenza nella visione del mondo, corrisponde una differenza patente nell’efficacia dei mezzi e delle strategie conseguenti.
A fronte di un’Unione Europea che difende il diritto internazionale e il primato dell’ONU e della diplomazia sulla forza, gli Stati Uniti oppongono una strategia rivoluzionaria netta, decisa, sostenuta, coerente e ben propagandata. Di fronte ad un’Unione che si oppone alla guerra in Iraq in nome del diritto internazionale (che tutela la sovranità, proibisce l’uso della forza, prescrive l’utilizzo dell’ONU in tema di sicurezza collettiva), si limita a tollerare l’intervento in Kosovo (anch’esso contrario al diritto internazionale), appoggia l’intervento a favore del Kuwait nel 1991 per ripristinarne la sovranità violata, gli USA affermano di promuovere il progresso attraverso il mutamento internazionale: aspettando l’ONU e l’Unione Europea, si argomenta, Saddam Hussein e Milosevic sarebbero ancora saldi in sella, liberi di violare impunemente i diritti umani e di perpetuare regimi illiberali, oppressivi e totalitari. In questo senso la strategia USA è rivoluzionaria, tesa al mutamento, laddove le aspirazioni dell’UE sembrerebbero quelle di limitarsi a difendere lo status quo attraverso il diritto internazionale e le Nazioni Unite, incapaci queste ultime di agire in qualsiasi circostanza di rilievo per la pace e la sicurezza internazionale. Quasi per incanto, i neoconservatori americani si trasformano in progressisti, accusando l’UE di conservazione. L’argomento, ovviamente, è del tutto capzioso: quale conservazione più grande di chi perpetua la guerra, il più vecchio strumento politico, quale mezzo fondamentale di politica estera per raggiungere e difendere il proprio ruolo egemonico nel mondo?

Il problema sta innanzitutto nella presentazione delle strategie: mentre quella statunitense è più semplice e aggressiva anche nel modo in cui viene (im)posta al mondo intero, quella europea manca di organicità e sistematicità: essa è più complessa, emerge da diversi documenti, da diverse politiche e quasi si evince, più che essere rivelata nella sua completezza e coerenza, oltre a non venire ancora perseguita con il vigore necessario. E rimane evaso, nella retorica prima di tutto, il problema del mutamento: lo status quo, nei rapporti sociali, prima ancora che politici, è difficile e neppure utile da mantenersi ad ogni costo, e proprio per questo motivo esistono i governi che decidono come regolamentare e distribuire i beni ed i valori collettivi, ed esistono partiti che costituiscono il connettivo tra le domande sempre mutevoli della società civile e l’autorità dello stato. Questo sistema è stato in grado nei contesti nazionali di soddisfare le esigenze sociali di mutamento in modo nonviolento e generalmente condiviso (il declino della democrazia nazionale costituisce argomento certo rilevante ma non qui trattabile).

Come reagire, dunque, al fatto che l’Unione Europea è artefice di progresso, cercando di modificare la global governance in senso più democratico, più giusto e pacifico, ma di un progresso che non regge di fronte al rivoluzionismo americano? Come rispondere al dinamismo statunitense e all’insufficienza strategica della difesa dell’ordine giuridico internazionale e di un’istituzione, l’ONU, che non è in grado di funzionare, e quando funziona si limita al mantenimento della pace intesa come status quo? Il mondo cambia, ed il progresso, questo è vero, si produce con il mutamento, non con la conservazione.
Per prima cosa, l’Unione Europea deve acquisire e manifestare più coraggio: essa deve andare orgogliosa dei propri strumenti diversi dalla forza, attraverso i quali deve vigorosamente perseguire una modifica della struttura del sistema internazionale che è insieme anarchica (perché gli stati, in quanto sovrani, non riconoscono nessuno al di sopra di sé) ed egemonica (perché le disuguaglianze materiali tra gli stati si riflettono in un ordine basato sulla supremazia politica, militare ed economica di una superpotenza, gli Stati Uniti). Ciò porterebbe ad una global governance più giusta, pacifica e democratica di quella attuale. Questa è la direzione del vero progresso. L’Unione Europea, questo sforzo, lo sta già compiendo, ed è questa la ricerca di un mutamento rivoluzionario nella sostanza (perché la sua portata è enorme per tutti gli esseri umani del pianeta: la sostituzione del diritto alla forza), anche se non nella forma (è lento e graduale, ma non repentino come quello statunitense, perché i mezzi pacifici non sono rapidi come quelli violenti). Qualcosa va però aggiunto e migliorato. Perciò: coraggio e determinazione.

Allo stesso tempo, l’Unione Europea deve esplicitare chiaramente ed in modo coerente e deciso il suo obiettivo e deve perseguirlo con forza, attraverso tutti gli strumenti di cui dispone. Va affermato con chiarezza al mondo che il significato storico dell’UE è di garantire la pace sul continente europeo e di promuoverne le condizioni strutturali su scala planetaria, pur garantendo il rispetto delle diversità regionali, nazionali e locali (tale è il motto dell’Unione: unità nella diversità). Ciò deve tradursi in un progetto politico globale chiaro e manifesto, da presentare in un blocco organico di documenti e da contrapporre al progetto egemonico USA. Perciò: progetto politico chiaro e coerente.

Infine, per rendere decisamente rivoluzionario il suo approccio nella forma, oltre che nella sostanza, l’UE non deve limitarsi ad insistere sull’ONU, ma deve finalmente rendersi protagonista della sua riforma, rendendo possibile il primo passo in questa prospettiva: l’ingresso dell’Unione nel Consiglio di Sicurezza, per dare il via alla sua trasformazione in camera delle organizzazioni regionali del mondo, senza diritti di veto. Sarebbe questa la prima testimonianza di coraggio, e questo obiettivo è da esprimere chiaramente quale perno fondamentale del proprio disegno di ordine mondiale. L’UE darebbe così la propria risposta alle esigenze di un mutamento sociale e politico che non può in alcun modo essere represso, ma piuttosto governato: tale sarebbe, appunto, il compito di un’ONU strumento di governo mondiale. Il mutamento va sottratto alla forza militare e alla discontinuità (oltre che alla violenza e all’ingiustizia) dei capricci delle potenze egemoni (in specie, gli Stati Uniti e i suoi alleati più o meno occasionali), per venire trasformato in un fatto normale della vita politica internazionale, da gestirsi e promuoversi attraverso politiche regolative e decisioni autoritative prese da un’autorità politica legittima di rango globale (l’ONU).
Questo, in estrema sintesi, il piano per l’Unione; affinché essa possa rispondere ad un piano di malcelata contraddizione – rivoluzione e conservazione – perorato dagli USA, con un piano veramente rivoluzionario, ma progressista.

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