Latina

Cuba: processo da rifare, vittoria negli Usa per 5 agenti di Fidel


Una corte d'appello americana ordina che sia riaperto il procedimento contro 5 uomini dei servizi cubani condannati a pene pesantissime. Era stato negato loro ogni diritto alla difesa. Ora i giudici statunitensi riconoscono che a Miami, roccaforte della destra anti-castrista, il processo era stato una farsa
12 agosto 2005
Gianni Minà
Fonte: Il Manifesto

La risoluzione della Corte d'appello federale di Atlanta (che ha giurisdizione sulla Florida) e che l'altro ieri ha revocato la sentenza espressa dal tribunale di Miami nella primavera del 2003 contro i cinque cubani, prigionieri da sette anni, accusati di spionaggio e condannati in primo grado a pene tombali, è sicuramente un fatto storico e rivela il disagio morale di una parte sostanziosa della società civile nordamericana. È un disagio che nasce dalla preoccupazione per la deriva in cui stanno naufragando i diritti civili nel paese per le leggi, presuntamente «anti-terrorismo», varate dal presidente Bush dopo l'11 settembre 2001 e ribadite recentemente. Renè Gonzales, Fernando Gonzales, Gerardo Hernandez, Ramon Labañino e Antonio Guerrero, cinque agenti dell'inteligence cubana infiltrati una decina di anni fa negli Stati uniti per individuare e denunciare le centrali terroristiche che dalla Florida organizzavano attentati nell'isola (oltre tremila le vittime in trent'anni, tra cui l'italiano Fabio Di Celmo) sono usciti infatti da un incubo e da una trappola che aveva annientato le loro vite e ogni loro diritto alla difesa.

E questo anche se la loro odissea non è finita, perché dovranno affrontare un nuovo processo. I tre giudici della Corte d'appello di Atlanta che potevano intervenire solo se avessero accertato (come è avvenuto) errori legali e di diritto commessi nel primo giudizio, hanno voluto sottolineare il fatto che non si poteva svolgere un processo per spionaggio a imputati cubani, oltretutto fedeli alla rivoluzione, in una città come Miami dove c'erano pressioni esplicite della comunità anti-castrista nei riguardi dei giudici e anche minacce di rappresaglie. Il lavoro di indagine degli imputati sul terrorismo pianificato in Florida verso Cuba dai vari Luis Posada Carriles, Orlando Bosh, Rodolfo Frometa, o dai Fratelli del riscatto di José Basulto, tesi ad atterrare l'ultima risorsa economica dell'isola, il turismo, aveva scoperchiato infatti una realtà inquietante per il paese ritenuto leader della democrazia ed aveva evidenziato responsabilità negli attentati anche ai più alti livelli dell'apparato dello stato.

Era il mondo che proteggeva, per esempio, i Fratelli del riscatto, il cui leader Basulto, si vantava di atti di aggressione verso Cuba e di violare con piccoli aerei Cessna lo spazio aereo dell'isola lanciando manifestini di propaganda controrivoluzionaria. Finché un giorno, dopo 23 note diplomatiche di protesta senza risposta, a Cuba, disgraziatamente avevano deciso di abbattere due di quegli aerei, «come avrebbero fatto sicuramente negli Stati uniti». Era stato questo contesto a costringere il presidente Clinton a non insistere sulle sanzioni verso il governo di Fidel Castro.

Una diplomazia sotterranea allora attiva fra i governi de l'Avana e di Washington (tramite anche personalità prestigiose come Gabriel Garcia Marquez) spinse infatti, dopo quell'episodio a intraprendere un'azione comune contro il terrorismo. E Cuba decise che forse era arrivato il momento di collaborare con i funzionari più responsabili dell'amministrazione Clinton e di segnalare al di fuori dei canali ufficiali i risultati ai quali erano giunti i propri agenti di sicurezza che rinunciando a una vita familiare e costituendosene una speciale, anche se amara, avevano raccolto le prove tangibili dell'attività sovversiva di alcune organizzazioni terroristiche attive dalla Florida contro la rivoluzione.

Il presidente Clinton, attraverso l'Fbi, aveva accettato la proposta di collaborare per eliminare questi focolai, questi imbarazzanti centri eversivi, però in seguito la logica politica degli Stati uniti gli aveva fatto cambiare idea (non a caso la Fondazione nazionale cubana-americana aveva finanziato, con una cifra pesante, la sua seconda campagna elettorale).

Così il governo di Washington, al momento di agire, invece di catturare i terroristi aveva autorizzato l'arresto dei cinque cubani che ne avevano denunciato la presenza e l'attività. I cinque cubani che dopo aver passato diciassette mesi in cella d'isolamento senza alcuna ragione avevano poi dovuto aspettare tre anni per un processo surrealista e incorretto, nel quale furono accusati perfino di essere gli indiretti responsabili dell'abbattimento dei due aerei Cessna dei Fratelli del riscatto.

Adesso questi superstiti di una persecuzione inaudita sperano di poter capire nel nuovo processo in base a quali ragionamenti logici sono stati considerati colpevoli e quali argomenti sono stati utilizzati per stabilire le loro pene (alcuni dovrebbero scontare due ergastoli).

Insomma stanno tentando di uscire indenni da una delle pagine più oscure della giustizia nordamericana. Una storia nella quale l'avvocato Leonard Weinglass, difensore di Antonio Guerrero - vecchio combattente per i diritti civili che è stato il difensore dei Cinque di Chicago, di Mumia e di Angela Davis - afferma perfino siano stati violati il V e VI emendamento della Costituzione del paese che impone un giudizio rapido e una giuria imparziale. E denuncia anche offese, privazioni e torture carcerarie agli imputati ingiustificate e indegne della parola democrazia.

In tutta questa storia il ruolo più avvilente, in questi anni, lo ha recitato l'informazione che ha praticamente ignorato i fatti. Nel 2003, per esempio, dopo aver aspettato il giudizio per 33 mesi, 17 dei quali in isolamento e quattro settimane nell'hueco (il buco, una cella di due metri per due dove la luce è sempre accesa) il ritorno dei cinque cubani a una cella normale fu possibile solo grazie a una campagna internazionale alla quale parteciparono molti liberals nordamericani, più di cento deputati laburisti inglesi e Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana premio Nobel per la letteratura. Non hanno invece mosso un dito i famosi reporter sans frontier, sempre assenti nelle battaglie per le violazioni dei diritti umani negli Stati uniti, e nemmeno purtroppo i rappresentanti dei partiti progressisti italiani.

Una storia imbarazzante, una storia che conferma l'orgoglio sopito dei mezzi d'informazione dei grandi paesi liberi, come il New York Times che ha offerto uno spazio a Renè Gonzales, Fernando Gonzales, Gerardo Hernandez, Ramon Labañino e Antonio Guerrero, solo dopo che un comitato di solidarietà ha comprato una pagina del giornale per segnalare un caso così indecente e scabroso.

E in questi giorni l'informazione sull'argomento è stata ancora una volta ambigua. La Repubblica, per esempio, ha dato notizia degli sviluppi del caso senza mai citare che i cinque cubani si erano infiltrati nella società nordamericana per individuare e neutralizzare le organizzazioni terroristiche che dagli Stati uniti organizzavano attentati a Cuba. Eppure l'Onu solo un mese fa aveva ribadito che la sentenza verso i cinque cubani era «arbitraria» ma che conta più l'Onu nell'era in cui Bush e Blair vogliono conculcare, in nome della guerra al terrorismo, i diritti civili più elementari?

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