Latina

Non c'è pace senza giustizia

Nella decade degli anni '80 e fino agli accordi di pace del 1992, in Salvador - oltre 5 milioni di persone in 21mila kmq - la guerra civile ha fatto circa 70.000 morti: per gli Stati uniti, il Salvador é il più sofisticato laboratorio di controguerriglia dai tempi del conflitto del Vietnam
19 agosto 2006
Gianni Beretta
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it) - 27 agosto 2006

Nella decade degli anni Ottanta e fino agli accordi di pace del 1992, El Salvador si è convertito per gli Stati uniti nel laboratorio di contrainsurgencia più sofisticato dai tempi del conflitto del Vietnam. In un fazzoletto di terra di 21mila kmq, popolato come un formicaio da oltre 5 milioni di laboriosi abitanti, si è consumata una sanguinosissima guerra civile con circa 70.000 morti.
La scelta della lotta armata fu obbligata da parte di coloro che strutturarono poi la guerriglia del Fronte Farabundo Martì per la liberazione nazionale (Fmln). Chiunque fosse semplicemente in odore di democratico, finiva preventivamente torturato e desaparecido per mano degli squadroni della morte.
L'ossessione anticomunista aveva prodotto feroci regimi militari in tante parti dell'America latina. Ma le efferatezze perpetrate allora continuano a sanguinare ancora oggi in nazioni come il Cile, l'Argentina, il Guatemala, semplicemente perché giustizia non è stata fatta. Diceva Arturo Rivera y Damas, successore di monsignor Romero all' arcivescovo di San Salvador: «Non ci può essere perdono se non si è fatta prima giustizia».
Il Salvador è a tutt'oggi l'unico paese dove in qualche modo una riparazione è stata fatta: senza pregiudicare la possibilità che singoli o gruppi di cittadini ricorressero successivamente presso i tribunali ordinari, la Commissione della Verità (istituita dagli accordi di pace e gestita dalle Nazioni unite) individuò le responsabilità in molti dei crimini e massacri di ambo le parti (naturalmente per la stragrande maggioranza ad opera degli apparati dello stato) e allontanò ben 114 ufficiali maggiori dell'esercito, a cominciare dall'ex ministro della difesa, generale Emilio Ponce. Non finirono in prigione, al contrario andarono in pensione con laute liquidazioni. Ma uscirono definitivamente di scena; insieme alla famigerata polizia nazionale. Tutto ciò non piovve dal cielo. Fu possibile perché lo scontro sul terreno militare era finito in un pareggio; mentre su quello politico-diplomatico la guerriglia aveva costretto la destra ad accordi di pace che prevedevano cambiamenti strutturali nel paese.
Fu sufficiente per voltare pagina nella storia del martoriato El Salvador e a fare in modo che si instaurasse in questo paese una dinamica democratico-elettorale accettabile dove l'assassinio politico è stato bandito.
Che poi, in un contesto di tensione e povertà crescente, sia la destra a continuare a governare ininterrottamente dal 1989, nonostante l'odierno partito Fmln amministri la capitale e le principali città del paese, ciò rimanda a una riflessione approfondita sulla capacità di ciascuno dei due contendenti storici di crescere nel consenso e di volgere dunque a proprio vantaggio i rapporti di forza; compreso nell'applicazione degli accordi di pace.

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