Latina

Eletronorte si aggiudica l'appalto per l'avvio dei lavori

Brasile: lobby e governo spingono per costruire la centrale idroelettrica di Belo Monte

Irregolarità normative, costituzionali e ambientali sono state respinte
24 aprile 2010
David Lifodi

La costruzione della centrale idroelettrica di Belo Monte, nei pressi della città di Altamira (stato del Parà), è un progetto a cui aspirano da almeno 40 anni le grandi corporations industriali brasiliane. La usina hidrelétrica la volevano i militari che negli anni '70 tenevano sotto scacco il Brasile nel contesto di un progetto ad ampio spettro volto all'occupazione dell'Amazzonia, poi la grande opera cadde nel dimenticatoio fino al 1989, quando l'opposizione dei popoli indigeni riuscì ad evitarne la costruzione più volte rimandata. Adesso però la diga rischia seriamente di venire costruita: nonostante una vasta mobilitazione della società civile Lula sembra intenzionato ad andare avanti ad ogni costo, non si sa se per convinzione personale, calcolo politico-elettorale, per le fortissime pressioni sul suo governo ad opera della lobby industriale brasiliana, oppure per tutte queste cose insieme.
I fatti degli ultimi giorni preoccupano. Il 19 aprile il giudice Antonio Carlos Almeida Campalo (Justiça Federal de Altamira) decide di sospendere l'asta di assegnazione dei lavori e la concessione della licenza ambientale preliminare alla centrale idroelettrica di Belo Monte. La sua scelta è dettata dalle molteplici irregolarità del progetto ed è basata sulle carenze normative dell'articolo 176 della Costituzione Federale, che di fatto esige una nuova legge per lo sfruttamento del potenziale idroelettrico nelle terre indigene. Il giudice diffida anche l'Ibama (Istituto Brasileño de Medio Ambiente) dall'attribuire alle imprese costruttrici della diga una nuova licenza che permetta loro di avviare i lavori. Sembra un duro colpo al progetto di Belo Monte, ma l'apparenza inganna poiché la decisione definitiva spetta al Tribunal Regional Federal da 1° Região, sovrano su questa materia. La sentenza è facilmente immaginabile: Jirair Meguerian, presidente del Tribunal, concede il via libera all'asta invalidandone la precedente sospensione. Ad aggiudicarsi l'appalto Eletronorte, azienda controllata dalla holding Eletrobras, con buone pace di almeno altri due giganti del settore, Odebrecht e Camargo Correa, che ad un certo punto hanno deciso di tirarsi indietro. La centrale idroelettrica sarà realizzata nonostante l'opposizione di oltre 250 organizzazioni brasiliane e internazionali e nel più completo disprezzo della Costituzione Federale. Il movimento Xingu Vivo para Sempre, che prende il nome dal fiume che sarà tra i primi a subire l'impatto devastante della diga, sostiene che "siamo sulla buona strada verso un regime autoritario". La conferma di una sorta di stato di polizia non dichiarato ma formalmente in atto proverrebbe anche dalla richiesta (approvata immediatamente) dell'Agência Nacional de Energia Elétrica di vietare manifestazioni di protesta a meno di un chilometro dal luogo in cui si è svolta l'asta. Durissima anche la posizione del Cimi, il Conselho Indigenista Missionário. Il governo brasiliano, spiegano, mente tre volte: ai cittadini brasiliani a cui viene venduta la favola dell'energia erogata a basso costo per venire incontro alla fasce più povere della popolazione, ai popoli indigeni che non sono stati consultati sul tema, infine agli ambientalisti che da tempo sollecitano la ricerca di fonti alternative di energia.
Le ragioni che hanno spinto il governo brasiliano a spingere il piede sull'acceleratore in effetti sono dettate da ben altri scopi. Innanzitutto Lula spera che la centrale idroelettrica possa funzionare da ulteriore volano per l'economia brasiliana. In secondo luogo, Belo Monte rientra nel controverso e più volte contestato Programa de Aceleramento do Crescimento (Pac), un enorme piano di sviluppo che prevede la costruzione di infrastrutture e grandi opere che fanno gola alle imprese costruttrici delle dighe, diventato uno dei business più redditizi per le multinazionali di settore. "Gli interessi del grande capitale manovrano il governo e lo piegano ai suoi interessi", spiega il portavoce del Movimento do Atingidos por Barragens Rogério Rohn, che nei giorni scorsi ha guidato la pacifica occupazione di alcune sale dei dirigenti di Eletronorte, a cui hanno partecipato oltre 500 persone. Brasil de Fato rivela che il piano di Lula è quello di trasformare Belo Monte in uno dei progetti più faraonici mai realizzati a livello mondiale nel campo delle grandi opere e secondo a livello nazionale soltanto all'idroelettrica di Itaipù, al confine tra Brasile e Paraguay e che dal trattato del 1973 assegna al gigante verdeoro condizioni di assoluto vantaggio nello sfruttamento delle risorse energetiche a scapito del piccolo e poco ingombrante vicino. Presente al vertice convocato in Bolivia a Cochabamba dal presidente Morales sui cambiamenti climatici e i diritti della madre terra, la Via Campesina ha reso pubblico un manifesto internazionale a difesa dell'Amazzonia in cui si condanna "l'offensiva mondiale delle grandi imprese per impadronirsi dei beni comuni quali acqua, energia, biodiversità, miniere attraverso grandi opere che portano vantaggi alle multinazionali, ma non certo ai popoli".
Se la diga di Belo Monte sarà costruita, non è in gioco solo il destino e la vita degli indios e dei riberinhos che abitano nella zona (su cui peraltro sono stati già riscontrate numerose violazioni dei diritti umani), ma quello di intere popolazioni che si trasformeranno in sfollati ambientali, senza contare che tutta l'Amazzonia finirebbe sotto il controllo delle multinazionali.

 

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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