Latina

Il presidente Otto Pérez Molina e la destra imprenditoriale contro le organizzazioni popolari

Guatemala: una lista nera identifica i militanti dei movimenti sociali

Ondata di omicidi ai danni dei leader indigeni e contadini
23 marzo 2013
David Lifodi

Cuc

In Guatemala la criminalizzazione dei movimenti sociali non conosce ostacoli: di recente è emersa una “lista nera”, redatta dal governo, in cui figurano i rappresentanti delle organizzazioni indigene, contadine e ambientaliste. Il fatto non stupisce, visto il passato in uniforme militare del presidente Otto Pérez Molina, conosciuto anche con l’appellativo di “Mano dura”, ma soprattutto preoccupa l’ondata di omicidi, intimidazioni e minacce di morte che nell’ultimo anno hanno colpito i principali esponenti delle organizzazioni popolari. 

La conferma della lista nera è stata fornita dallo stesso Otto Pérez Molina lo scorso 14 febbraio, in occasione di un incontro con circa duecento imprenditori e membri del Parlamento spagnolo ed europeo. Ad un certo punto il presidente, sottolineando la crescita dell’economia guatemalteca grazie ai proventi dell’estrazione mineraria e alla costruzione delle centrali idroelettriche (di cui peraltro, le prime a beneficiare, sono in realtà le multinazionali), ha parlato delle proteste delle comunità indigene in lotta, sulle quali ha agito la “disinformazione prodotta da gruppi ambientalisti che sono da tempo identificati e controllati”. In realtà è tutta l’opposizione sociale guatemalteca ad essere controllata, non solo dal governo, ma anche da settori autodenominatisi della società civile, nonostante i loro scopi siano eversivi e tutt’altro che pacifici. Un esempio è rappresentato dal movimento Chapines Unidos por Guate. Il nome non è casuale: il termine chapín, in spagnolo, indica una calzatura con una suola massiccia che permette a chi la indossa di scansare facilmente il fango e, più in generale, la sporcizia che si trova per le strade. È fin troppo facile individuare quali settori della società guatemalteca rappresentino lo sporco del paese,  secondo le idee di questo movimento. Chapines Unidos por Guate è sorto per contestare la Ley del Sistema Nacional de Desarrollo Rural Integral, una riforma della politica agraria che i movimenti contadini stanno cercando di imporre al presidente Otto Pérez Molina, ritenuto fin troppo morbido nel gestire i conflitti per la terra e per questo motivo contestato da destra: un paradosso per un militare come lui, che durante gli anni del conflicto armado si è distinto nell’operazione tierra arrasada, che ha raso al suolo i villaggi maya del Guatemala. Il movimento Chapines Unidos por Guate è preoccupato: teme che ciò che guadagneranno i campesinos sarà a scapito del settore imprenditoriale, nonostante la legge sia bloccata al Congresso, dove difficilmente troverà i voti necessari per la sua approvazione. La Ley del Sistema Nacional de Desarrollo Rural Integral è in discussione da almeno dieci anni: se ci fosse un voto favorevole sarebbero garantiti il diritto alla terra e la sovranità alimentare. Chapines Unidos por Guate non si limita ad attaccare Molina, ma teme che l’approvazione di questa legge contribuisca a far cadere il paese nelle mani di “gruppi violenti legati all’opposizione”, e allora ha redatto delle schede, consultabili sul suo sito internet, relative ai principali movimenti sociali guatemaltechi, ma anche alle principali reti d’appoggio europee. La Coordinadora de Unidad Campesina (Cuc), una delle organizzazioni storiche nella lotta per il diritti alla terra, viene accusata di esercitare azioni di bullying campesino sul presidente Molina e la vicepresidente Roxana Baldetti, fino a “trasformarli in paladini della riforma agraria”. Inoltre, al Cuc viene imputata l’occupazione delle fincas, l’organizzazione di blocchi stradali e la realizzazione di “campagne di disinformazione contro i settori imprenditoriali del paese”. E ancora: la campagna diffamatoria ordita ai danni del Cuc per scongiurare la monocoltura sarebbe giunta anche in Europa. A finire sotto accusa il Cifca (Iniciativa de Copenhague para Centroamérica y México), una delle principali reti sociali europee di appoggio ai movimenti guatemaltechi, “colpevole” di finanziare le attività del Cuc. Ce n’è anche per la Coordinadora Nacional Indígena y Campesina (Conic) e la Coordinadora Nacional de Organizaciones Campesinas (Cnoc), descritte come organizzazioni in radicale opposizione all’estrazione mineraria e dedite a manifestazioni violente contro la proprietà privata e la ratifica del Trattato di Libero Commercio tra Guatemala e Stati Uniti.  La campagna comunicativa di Chapines Unidos por Guate è così martellante da ribaltare la realtà dei fatti. Parlare di bullying indigena in un paese dove i maya hanno pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane è davvero misitificatorio, ma sono molti i quotidiani che riprendono la propaganda di questo movimento, che da una parte dice di voler rispettare il sistema repubblicano e le principali garanzie costituzionali, ma dall’altra minaccia i movimenti sociali e getta discredito anche sul vescovo Álvaro Ramazzini e quella parte della Chiesa cattolica che ha fatto dell’opzione per i poveri il suo impegno principale.

Totonicapan E allora, mentre il governo e la destra imprenditoriale cercano di trasformare le lotte sociali e l’impegno per i diritti umani in presunte attività terroristiche “derivanti dai movimenti guerriglieri in azione tra gli anni 60 e ’80”, gli attivisti sociali continuano ad essere uccisi, spesso con la complicità dello stato, da organizzazioni tutt’altro che democratiche. Solo per rimanere agli ultimi mesi, la lista dei dirigenti dei movimenti sociali assassinati, torturati o minacciati di morte, è lunghissima. Inoltre, una militarizzazione sempre più opprimente soffoca il paese. Un mese fa è stato ucciso Carlos Hernández, esponente del Frente Nacional de Lucha, mentre il presidente del Parlamento Xinka Roberto González è stato assassinato in seguito ad atroci torture. Ha rischiato di avere la stessa sorte Daniel Pascual, dirigente del Cuc di San Juan Sacatepéquez (situato nel dipartimento capitalino), dove da almeno dieci anni sta cercando di insediarsi, con scarso successo, l’impresa Cementera Progreso. Pascual è stato vittima di una vera e propria imboscata condotta da esponenti dell’impresa stessa con l’avallo del sindaco del municipio, Oscar Fernando Bracamonte, che ha accusato il portavoce del Cuc di dividere la popolazione e fomentare la violenza. Pascual si è salvato, ma non ha potuto evitare una pesante campagna diffamatoria sui giornali finanziata dallo stesso sindaco di San Juan Sacatepéquez. L’11 marzo, invece, è stata la volta di Gerónimo Sol Ajcot, membro della giunta dell’Asociación Maya Tzutujil de Agricultores de Santiago Atitlán (dipartimento di Sololá), vicino a Conic e ucciso a colpi di pistola. Tutti i casi di sparizioni, omicidi, minacce di morte e torture sono legati da un unico filo, quello delle critiche radicali al governo, alle imprese minerarie e ai grandi investimenti. Nonostante tutto Molina, in occasione dell’incontro del 14 febbraio con gli imprenditori, ha garantito che “il governo protegge la libertà sindacale e che, sotto la sua presidenza, è stato ucciso un solo sindacalista per motivi attribuibili alla delinquenza comune”. L’intervento del presidente, tenuto di fronte alla platea del Foro Nueva Economía, rappresenta, di fatto,  il suo programma politico: apertura agli investimenti stranieri, soprattutto spagnoli (i due paesi sono legati anche da un trattato bilaterale), piena fiducia alla Banca Mondiale, che vuol trasformare il Guatemala nel maggior centro logistico mesoamericano, disponibilità a svendere il territorio per le grandi opere. Tra queste, la costruzione di un canale interoceanico che colleghi Atlantico e Pacifico e l’edificazione di un mega-porto in ciascun oceano. Il tutto sotto lo sguardo interessato della Red Eléctrica de España, quella che più volte, insieme a Unión Fenosa, ha tagliato la luce alle comunità indigene, urbane e contadine che avevano praticato l’autoriduzione per via dei costi esorbitanti. Il Guatemala si è trasformato in una polveriera con decine  e decine di conflitti ambientali, sociali e legati alla terra,  sebbene il presidente Otto Pérez Molina si affanni a minimizzare il problema in tutti i consessi internazionali, dove peraltro l’azione di lobby delle imprese è fortissima. Il nostro Ministero degli esteri ha partecipato ai finanziamenti della diga del Chixoy, edificata tra il 1975 e il 1985 e che ha trasformato migliaia di persone in sfollati ambientali. Ai giorni nostri, l’italiana Enel Green Power, appoggiata dall’Ambasciata italiana in Guatemala, ha dichiarato ufficialmente la sua volontà di costruire un impianto idroelettrico a Palo Viejo, dipartimento del Quiché, municipio di Cotzal. “Molina assomiglia a un commerciante che vende le risorse del paese al miglior offerente”, accusano i movimenti sociali. La difesa del territorio, dell’acqua e della madre terra, insieme  alle lotte contro la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e la monocoltura della palma africana, l’opposizione all’estrazione mineraria e all’edificazione di nuove centrali idroelettriche, rappresentano dei punti irrinunciabili per le organizzazioni indigene e contadine. Hernández Ixcoy, tra i fondatori del Cuc e vittima di un assalto compiuto da un gruppo paramilitare la scorsa estate, spiega che in Guatemala è in corso un “progetto di morte”: le multinazionali hanno programmato un’azione di lunga durata, e non se ne andranno fin quando non avranno saccheggiato tutte le risorse della madre terra. “Il progetto di morte” è quello di un capitalismo selvaggio che utilizza i paramilitari e le forze di sicurezza privata come il braccio armato per l’occupazione militare delle terre a tutto vantaggio delle transnazionali, come già accaduto lo scorso giugno nel municipio di Santa Cruz Barillas (dipartimento di Huehuetenango). In quell’occasione le guardie armate dell’impresa Hidralia Santa Cruz, affiancate dai militari dell’esercito guatemalteco, uccisero tre dirigenti delle comunità indigene, impegnate in una dura battaglia per impedire la costruzione di una centrale idroelettrica nei dintorni del fiume Canbalam, a poca distanza dalla frontiera con lo stato messicano del Chiapas. In precedenza, Otto Pérez Molina aveva imposto un mese di stato d’assedio. Un episodio analogo avvenne il 4 ottobre scorso nel dipartimento di Totonicapán: allora i militari spararono ad altezza uomo contro centinaia di contadini maya che avevano occupato un tratto della Carretera Interamericana per protestare contro l’aumento della tariffa del servizio di energia elettrica. La presidenza di Otto Pérez Molina è stata caratterizzata dalla persecuzione sistematica nei confronti di studenti, indigeni e sindacalisti, per cui le recenti affermazioni di “Mano dura”, secondo il quale la popolazione del Guatemala sta incamminandosi verso un percorso di pace e riconciliazione dopo gli anni del conflicto armado, continuano a suonare come bugiarde e fuori luogo.

Eppure, nonostante una situazione difficilissima, conclude Hernández Ixcoy, “mai ci piegheremo allo sfruttamento capitalista e al razzismo: le lotte rappresentano i semi della liberazione del nostro paese”.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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