Latina

In carcere tre dirigenti comunitari impegnati a difendere le risorse naturali

Ecuador: la lotta per la terra contro estrattivismo e megaprogetti

Al congresso dei senza terra proposte su sovranità alimentare e buen vivir
24 marzo 2013
Claudia Zaninelli* e David Lifodi

congresso Fian Il 22 e 23 di novembre del 2012 si è tenuto il primo Congresso dei senza terra, senza mare, senza mangrovie, senz’acqua e senza paramo delle organizzazioni della costa ecuadoriana con la partecipazione di circa 500 persone provenienti da varie zone dell’Ecuador. L’assemblea è stata organizzata nei pressi di Guayaquil, coordinata dall’ organizzazione di secondo livello “Tierra y Vida” e con l’affiancamento di organizzazioni nazionali quali Fian (Foodfirst Information and Action Network) Ecuador, Instituto de Estudios Ecuatorianos, Centro de Derechos Económico y Sociales, Comitè de Derechos Económicos y Sociales, Comitè de Derechos Humanos de Guayas e Cedocut (Confederación Ecuatoriana de Organizaciones Clasistas Unitarias de Trabajadores). A livello internazionale hanno contribuito, in forma differente, il Forum Syd, Heifer, Pan para todos e Mani Tese. Questo evento è stato voluto dalle organizzazioni della costa ecuadoriana, come un momento di scambio e di condivisione di strategie, per discutere sulle problematiche relative allo sfruttamento delle risorse naturali che in questo momento si trovano ad affrontare sotto diversi punti di vista. La difesa del territorio è fortemente legata alla garanzia della sovranità alimentare e al rispetto del buen vivir, così come stabilito dalla Costituzione. Il Congresso è stato l’evento conclusivo di un processo iniziato nel febbraio del 2012, che ha visto l’organizzazione di grandi assemblee in differenti provincie della regione per conoscere le problematiche territoriali che si stanno vivendo e che sono causate dalla presenza di industrie, imprese minerarie e progetti idroelettrici che in qualche modo stanno violando il territorio. L’obiettivo è stato quello di dibattere, condividere e costruire una voce regionale che si pronunci sui problemi relativi alla distribuzione della terra e allo sfruttamento delle risorse naturali. Inoltre, si è cercato di identificare gli strumenti per consolidare i processi di articolazione delle organizzazioni mediante strategie socio-organizzative nel rispetto dei diritti delle popolazioni stesse. Questi i principali temi affrontati attraverso tavoli di lavoro: la lotta per la terra e le nuove forme di concentrazione, l’estrattivismo e i megaprogetti, l’ agroindustria, la sovranità alimentare e il concetto del buen vivir.

I risultati del dibattito si possono sintetizzare in due punti:

- il rafforzamento dell’unità regionale e interna alle organizzazioni locali, articolandosi con altre regioni e settori organizzati che stanno vivendo le stesse difficoltà;

- la necessità di una riforma agraria integrale, che risponda ai principi della sovranità alimentare e che redistribuisca la terra e l’acqua a favore di chi la lavora e ne ha cura.

Nel corso di questo evento ci sono state testimonianze di comunità che stanno subendo la pressione dei megaprogetti estrattivisti in fase di realizzazione:

-  la comunità di Venado, vicino ad Esmeraldas, dove è in costruzione una diga ed è pianificata la coltivazione della palma da olio;

- gli abitanti di San Luis de Pambil, dove è stato programmato un progetto di sfruttamento minerario;

- gli abitanti di San Pablo di Amalì, dove Hydrotambo sta costruendo una centrale idroelettrica senza consenso delle comunità ubicate in questa zona e che a seguito delle proteste è stata militarizzata;

- i rappresentati delle comunità di Rio Grande, dove è previsto di inondare 6.000 ettari e ricollocare 1.700 famiglie. Oltre a ciò, il diritto a dire di no si è trasformato in una criminalizzazione della protesta, che vede più di 200 persone accusate di terrorismo di stato per il semplice fatto di protestare contro le grandi opere.

Fian La criminalizzazione della protesta sociale sta caratterizzando sempre più la presidenza di Rafael Correa: tre rappresentanti delle comunità del Tarqui, che da anni manifestano la contrarietà alla concessione mineraria nel paramo di Kimsacocha, il 21 marzo sono entrati in carcere per scontare gli otto giorni di pena a cui sono stati condannati. Carlos Pérez, Federico Guzmán e Efraín Arpi, fermati durante le manifestazioni organizzate in occasione delle discussioni in Congresso sulla Legge dell’Acqua, sono stati condannati a un anno di detenzione dal Tribunale di Cuenca, con una riduzione della pena a otto giorni perché la protesta per il diritto all’acqua è considerata “una lotta altruista”.  Gli arresti arbitrari e le accuse senza alcun fondamento ai danni dei leader indigeni e contadini segnano il vero volto di un esecutivo che ha promosso la Revolución Ciudadana, ma di fatto la sostiene solo a parole. Su Carlos Pérez, Federico Guzmán e Efraín Arpi pendono le accuse di “sabotaggio” e “terrorismo”. Inoltre, è stato proibito loro di poter espatriare. Il governo considera terroristi tutti coloro che lottano per la difesa delle risorse naturali. Ai tre non è stato più contestato il reato di “sabotaggio” quando la magistratura ha capito di non poter sostenere la tesi che la marce e le mobilitazioni per il diritto all’acqua fossero violente. E allora, visto che le proteste delle comunità indigene sono sempre state pacifiche, ai tre è stata notificata l’accusa di aver provocato dei blocchi stradali, un’azione realmente compiuta, ma per non più di trenta minuti, affinché fosse consentita la ripresa dei trasporti. L’imputazione di questo reato non è casuale: l’articolo 129 del Codice Penale ecuadoriano sanziona con tre anni di carcere coloro che impediscono il libero transito di veicoli, persone e merci per le strade. Che si tratti di una persecuzione nei confronti dei tre dirigenti comunitari è acclarato: nell’agosto 2010 erano stati assolti dal reato di obstrución ilegal de vías, ma la Corte Nacional del Ecuador confermò la condanna lo scorso agosto. Sul caso è intervenuta anche Amnesty International, sostenendo che, se da un lato gli stati hanno il diritto a mantenere l’ordine pubblico, dall’altro la protesta è spesso l’unico strumento che hanno i movimenti sociali per farsi ascoltare su temi in merito ai quali non sono stati consultati adeguatamente. Questo è il caso specifico dell’Ecuador, dove lo stato non ha mai realizzato una consultazione pubblica con le comunità indigene e contadine in relazione alla Ley de Aguas. La Marcha de la Pachamama y el Agua, convocata e realizzata nel maggio 2010 dalla Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador), intendeva sensibilizzare il paese sul monopolio dell’acqua nelle mani dei potentati economici mentre migliaia di famiglie di piccoli produttori agricoli non ne hanno mai a sufficienza. Per motivi simili, nei mesi scorsi, sono stati arrestati dieci attivisti di sinistra, conosciuti come i “dieci di Luluncoto”(il barrio dove sono stati catturati, a sud di Quito): l’ipotesi più probabile è che il governo abbia voluto far pagare cara la loro partecipazione ai movimenti che si battono per la tutela dell’acqua e protestano contro la politica di sfruttamento delle risorse minerarie su cui ha scommesso il presidente Correa: alcuni di loro, da qualche settimana, sono di nuovo liberi. La persecuzione di Carlos Pérez, Federico Guzmán, Efraín Arpi e di tutti gli attivisti impegnati a difendere i diritti umani e ambientali in Ecuador desta sconcerto, perché è la stessa Costituzione del paese andino a stabilire il diritto fondamentale all’acqua, garantire la sovranità alimentare, e riconoscere il diritto alla resistenza di fronte a decisioni prese dallo stato che violano i diritti costituzionali dei suoi abitanti. Sui tre dirigenti comunitari pesa anche il loro impegno contro il progetto minerario Kimsakocha, condotto dalle multinazionali canadesi Iamgold e INV Metals. Nell’ottobre 2011, una consulta comunitaria sulla destinazione d’uso della miniera si concluse con il 93% dei voti contrari allo sfruttamento minerario. Il páramo de Kimsacocha  immagazzina una gran quantità di acqua utile alle attività agricole e domestiche delle comunità che abitano nelle valli sottostanti e nei dintorni della città di Cuenca (capoluogo della provincia di Azuay), situata nella sierra andina. Fin dal 1985 il páramo de Kimsacocha è stato dichiarato area protetta dal Ministero dell’Ambiente, prima che nel 2055 cominciassero le prime perlustrazioni di Iamgold, finalizzate all’estrazione di oro, argento e rame. Raggruppati sotto l’Unión de Juntas de Agua (Unagua) e la Federación de Organizaciones Indígenas y Campesinas del Azuay (Foa), indigeni e contadini hanno più volte denunciato che l’estrazione mineraria avrebbe contaminato l’acqua proveniente dal páramo e ne avrebbe ridotto la portata. Anche in questo caso, una nuova flagrante contraddizione con i dettami della Costituzione, che considera un reato l’inquinamento ambientale, da cui derivano rischi per l’alimentazione, mentre lo stato continua a perseguire lo sfruttamento minerario. Lo stesso concetto è espresso dal Pacto Internacional de Derechos Económicos, Sociales y Culturales e dalla Convenzione Americana dei Diritti Umani, entrambe sottoscritte dall’Ecuador. Eppure i due programmi a cui sta lavorando il governo, “Plan Tierra” e “Plan Bosque”, favoriscono entrambi la crescita delle grandi proprietà agricole, sono causa di nuovi conflitti per la terra e sostengono il modello di sviluppo estrattivista, soprattutto nella regione costiera.

Le dimostrazioni di forza del governo Correa finora non sono riuscite a fermare la protesta sociale. Jamás nos verán rendidos, dicono le comunità indigene: a Palacio de Carondelet sono avvertiti.

Note: *responsabile America Latina Mani Tese

Articolo realizzato da Claudia Zaninelli e David Lifodi per www.peacelink.it
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