Latina

Il 26 marzo il paese si è fermato per protestare contro Ley de Alianza Público-Privada

Paraguay: un successo lo sciopero generale convocato dai movimenti sociali e sindacali

Il presidente Horacio Cartes intende svendere le risorse del paese alle imprese private
6 aprile 2014
David Lifodi

internet

Il primo sciopero generale sotto la presidenza di Horacio Cartes, organizzato dai sindacati, dai partiti e dalle organizzazioni popolari paraguayane è stato un vero successo: il 26 marzo il paese si è fermato e a nulla sono valsi i tentativi del governo di destabilizzare la protesta tramite dichiarazioni allarmistiche su possibili incidenti e scontri di piazza. Tutto si è svolto senza alcuna manifestazione violenta, ma soprattutto Cartes ha dovuto ingoiare il rotundo rifiuto espresso dal Paraguay nei confronti della Ley de Alianza Público-Privada (APP), su cui il presidente ha scommesso fin dall’inizio del suo mandato.

La riuscita dello sciopero del 26 marzo ha richiamato quello, altrettanto storico, del 1994, quando il paese era appena uscito dalla lunghissima dittatura stronista (dal 1954 al 1989, la più longeva dell’America Latina), ma già si chiedeva la riforma agraria e si moltiplicavano le occupazioni delle terre da parte dei contadini. La huelga general della scorsa settimana è stata promossa da un ampio e composito movimento di organizzazioni sociali, sindacali, indigene, studentesche, politiche e contadine, accomunate da alcune parole chiave fondamentali: il rifiuto delle politiche di privatizzazione e militarizzazione imposte dal presidente Cartes, che si è distinto, fin dall’inizio del suo mandato, per la criminalizzazione delle proteste sociali, oltre ad invocare verità e giustizia per i campesinos prigionieri per aver occupato le terre di Marina Cue, di proprietà del gruppo Riquelme, da cui scaturì il massacro di Curuguaty, il 15 giugno 2012: fu quello il casus belli che la destra paraguayana sfruttò al meglio per destituire il presidente Fernando Lugo. Per far fallire la protesta, il ministro dell’Interno, Francisco de Vargas, ha gettato in pasto alla stampa filogovernativa delle registrazioni truccate su presunte manovre che preannunciavano scontri pianificati per gettare nel caos il paese. In realtà, l’obiettivo della mobilitazione non era quello di scatenare violenze, ma ribattere, punto su punto, alla Ley de Alianza Público-Privada, la cui denominazione completa è “De promoción de la inversión en infrastructura pública y ampliación  y mejoramiento de los bienes y servicios a cargo del estado”, che concede al presidente Cartes la possibilità di privatizzare e mettere in vendita tutti i beni, i servizi e le risorse pubbliche del paese senza la necessità di passare attraverso l’approvazione del Congresso. In particolare, l’App si riferisce alle infrastrutture pubbliche (ferrovie, porti, aeroporti), sociali, di sviluppo urbano e di gestione delle risorse idriche: tutto ciò può essere acquisito e gestito dalle imprese private per un periodo di 30 anni. Gli ingegneri e ricercatori  che hanno curato il libro Remate y abuso: la ley de App de Cartes, sottolineano che, in pratica, la Ley de Alianza Público-Privada cancella la sovranità giuridica del Paraguay. L’applicazione della legge, che ha già generato un aumento della precarietà e delle disuguaglianze sociali, avviene in un momento di forte effervescenza dei movimenti sociali paraguayani, che hanno rifiutato la concessione di un negoziato offerto da Cartes, ma giudicato come un atto di opportunismo interessato per ribadire la superiorità dell’App e imporre le privatizzazioni. Alcuni hanno tracciato un singolare, quanto inquietante, parallelo tra il presidente Cartes e il suo omologo messicano Enrique Peña Nieto. In effetti, sono assai simili anche le modalità con cui sono arrivati alla presidenza: Cartes ha riportato il Partido Colorado a Palacio de López nel 2013 dopo che i colorados vi erano rimasti ininterrottamente dal 1947 al 2008, prima che giungesse il presidente Lugo a portare la sinistra alla vittoria, fatto mai accaduto in precedenza. Allo stesso modo, Enrique Peña Nieto ha condotto il Partido Revolucionario Institucional (Pri) a Los Pinos a seguito dei due mandati di Vicente Fox e Felipe Calderón, entrambi di destra ma panisti, espressione cioè del Partido de Acción Nacional, dopo che il Pri aveva governato per oltre 70 anni. E ancora, entrambi hanno seguito, fin dall’inizio della presidenza, la strada delle privatizzazioni e della riforma della Ley de Defensa Nacional y Seguridad Interna, che attribuisce loro il ruolo di capi supremi delle forze armate: Peña Nieto ha ottenuto l’appoggio della destra cattolica panista, ma anche del centrosinistra (Partido de la Revolución Democrática), mentre Cartes  ha avuto dalla sua, oltre ai colorados, anche i liberali, che a suo tempo avevano tradito Lugo partecipando attivamente alla fronda che poi ha condotto al potere il vice dell’ex monsignore, Federico Franco, che lo ha spodestato grazie ai fatti di Curuguaty. La stessa Ley de Defensa Nacional y Seguridad Interna è particolarmente preoccupante poiché finora la Costituzione paraguayana prevedeva che l’esercito potesse intervenire soltanto di fronte ad una minaccia esterna, mentre da adesso sarà Cartes in persona ad autorizzare i militari all’intervento contro qualsiasi minaccia di carattere “interno” o “terrorista”: è fin troppo facile immaginare che questa misura sarà utilizzata per reprimere, sindacati, indigeni, contadini e attivisti sociali.

Lo sciopero del 26 marzo ha segnato, indubbiamente una vittoria dei movimenti sociali ostili a Cartes, che non è riuscito nel tentativo di far fallire la protesta, ma è sul piano economico che si gioca la vera battaglia e l’applicazione totale della Ley de Alianza Público-Privada rischia di far tornare il paese all’epoca stronista, alla mercé del capitale e delle multinazionali straniere.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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