Latina

Nell'Honduras post-golpe, artisti creano progetto per ricostruire la memoria storica

Secondo loro c'è stato un “occultamento premeditato della realtà” per convincere le nuove generazioni che non è mai esistita una resistenza popolare
4 luglio 2014
Giorgio Trucchi

Luis Méndez e Blanca Ochoa (Foto G. Trucchi | Opera Mundi)

“L'Honduras non ha memoria e viviamo in un vuoto. La gente non si identifica, non riesce a riconoscersi, non ha referenti. La sua storia di lotta e di valori, poco a poco, si sta perdendo, inesorabilmente”, dice preoccupata Blanca Ochoa a Opera Mundi.

Laureata alla Scuola internazionale di cinema e televisione di Cuba (seconda generazione), Blanca Ochoa vive il riscatto della memoria storica come qualcosa di molto personale, quasi come un progetto di vita. Comparte questa esigenza con un vecchio amico, Luis Méndez, coordinatore della Scuola di formazione politica per movimenti sociali.

“E' qualcosa che viene da molto lontano. Luis lavorava con i bambini e le bambine dei quartieri più poveri di Tegucigalpa, ed io lo andavo a trovarlo perché volevo conoscere questa esperienza. Non avevamo nulla per riprendere o per documentare questo lavoro. Gli dicevo sempre ‘Cosa non darei per avere una telecamera e costruire una memoria di tutto questo lavoro!’ Ma non abbiamo mai perso la speranza”, ricorda la cineasta.

Poi venne il teatro sperimentale, l'impegno con i movimenti sociali e popolari, la lotta contro il modello neoliberista – che è entrato in Honduras come un uragano, devastando il tessuto sociale e “mercantilizzando” i beni comuni e le relazioni sociali. Per anni, ognuno a cercato il proprio cammino personale, dentro e fuori dall'Honduras, ma sempre mantenendo questo filo invisibile, questo sogno di costruire memoria collettiva e trasmetterla alle generazioni future.

"Quando si parla del nostro paese, si pensa solamente all’Honduras giardino di casa degli Stati Uniti, all’Honduras servile che si piega ai progetti egemonici della regione. Sono arrivati al punto di strumentalizzare le figure più emblematiche della nostra storia, occultando, per esempio, il progetto unionista e integrazionista di Francisco Morazán. Tuttavia, ci sono state persone che hanno lottato contro il modello egemonico, arrivando fino al punto di offrire la propia vita. Vogliamo riscattare la loro storia, il loro pensiero, perché la loro lotta fa parte di noi, ci dà un’identità e ci indica la strada da percorrere", spiega Méndez.

Il progetto

Il principale strumento di questo progetto indipendente di ricostruzione della memoria storica è l’audiovisivo. L'obiettivo è raccogliere le testimonianze di questi “eroi anonimi”, che sono stati resi invisibili dai grandi mezzi di comunicazione e che hanno vissuto i momenti fulgidi della lotta politica e sociale in Honduras.

Lo storico sciopero dei lavoratori delle piantagioni di banane nel 1954, che in pochi giorni incendiò il paese e indicò la rotta futura del movimento popolare, operaio e contadino honduregno; la lotta contro le dittature militari degli anni 60 e 70 e contro l’interventismo nordamericano; i desaparecidos e gli omicidi politici degli anni '80, fino ad arrivare all’ondata neoliberista che devastò il paese nell’ultima decade del secolo passato, le lotte in difesa dei territori e dei beni comuni, il colpo di Stato che, nel 2009, depose il presidente Zelaya, generando un’inaspettata reazione di rifiuto popolare.

Alcuni di loro hanno accettato di parlare pubblicamente, altri parleranno dei compagni caduti nel cammino, come il padre Guadalupe Carney, difensore della classe contadina honduregna. Altri ancora preferiscono mantenere l'anonimato, per garantire la propria sicurezza e quella dei loro famigliari. La crescente militarizzazione come strategia per combattere l'ondata di violenza che ha sferzato il paese dopo il golpe, trasformandolo in uno dei posti più pericolosi del pianeta e con il tasso di omicidi più alto a livello mondiale, costringe a prendere le dovute precauzioni.

“Quando abbiamo iniziato a cercare immagini e suoni di queste tappe fondamentali della nostra storia, ci siamo resi conto che non c'era nulla, che si era perso tutto. Dobbiamo passare all'offensiva a partire dai mezzi di comunicazione alternativi. Dobbiamo recuperare le storie reali di chi ha vissuto e lottato nei territori, a fianco di compagne e compagni centroamericani. Cercheremo le loro voci, i loro volti, il loro contributo politico e teorico, i loro sogni, i loro errori e i loro dolori nascosti. Vogliamo percorrere nuovamente strade già battute, ricostruendo storie”, dice il coordinatore della Scuola di formazione politica.

Blanca Ochoa ha le idee molto chiare: questo arduo lavoro di ricostruzione dei momenti più difficili del paese, attraverso le immagini e le voci degli eroi anonimi, deve avere una forte componente d’interattività.

“Senza la memoria storica c’è il vuoto assoluto e le nuove generazioni, i giovani, restano in balia di falsi referenti di una presunta democrazia e di progetti egemonici di consumo e di trasformazione. Recuperare le immagini di queste persone meravigliose permette di riconoscerci in loro, combattendo la falsa identità e la mancanza di coscienza che vogliono imporci. Siamo nel pieno di una guerra mediatica e dobbiamo lottare per una coscienza storica e collettiva, affinché le nuove generazioni siano motivate, si alimentino di essa, partecipando attivamente e convertendosi nel futuro di questo paese”, sostiene Ochoa.

Internazionalizzazione dell’oblio

Secondo Luis Méndez, in Honduras c'è stato “un occultamento premeditato della realtà”, cercando di convincere le nuove generazioni che in questo paese non sia mai esistita un’opposizione convinta al modello depredatore esistente.

“In Honduras non c'è una coscienza patriottica e il nostro territorio è sempre stato una piattaforma per gli interessi strategici nordamericani. Hanno voluto omologarci, facendo scomparire le culture originarie, abbandonandoci in un limbo. L'oligarchia locale e l'imperialismo continuano a manipolare la realtà, cospirando con gli interessi transnazionali. Per loro non esistiamo, siamo semplicemente di passaggio su questo pianeta e non lasciamo tracce. Si nutrono della nostra cultura originaria, segregano i popoli indigeni e negri, li reprimono, li escludono, li discriminano e li convertono in folclore, artigianato e mercanzia. Ci rubano la vita”, aggiunge Ochoa.

Anche se la battaglia contro “un mostro così potente” sembra destinata alla sconfitta, Méndez crede che non tutto sia perduto. “Il nostro è un piccolo contributo, ma è ricco di significato e di valori. Lo vogliamo connettere con altre esperienze e progetti di recupero della memoria, per ridare dignità alla nostra cultura e al nostro modo di vivere, per indignarci di fronte all'espropriazione subita. Sarà una battaglia controculturale che vale la pena combattere”.

Anche secondo Blanca Ochoa questo impegno nei confronti della memoria si è trasformato in un progetto di vita che l'ha segnata e che ora si rinnova. “Dobbiamo approfittare e impossessarci delle stesse tecnologie che usano per cercare di farci scomparire; dobbiamo farle nostre e usarle affinché le nuove generazioni siano il vivaio da cui sorga il cambiamento”, ha concluso.

Fonte Originale: Opera Mundi (portoghese)

Fonte in spagnolo LINyM

Note: Traduzione: Sergio Orazi
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