Latina

L’ex leader dei seringueiros è la carta della destra per sconfiggere Dilma Rousseff

Brasile: il ciclone Marina Silva sulle presidenziali del 5 ottobre

Nel paese la Coalizione per la Riforma politica sta lavorando per una democratizzazione del paese
7 settembre 2014
David Lifodi

internet A poco meno di un mese dalle elezioni presidenziali che designeranno il nuovo inquilino del Planalto, sulla scena politica brasiliana irrompe come un ciclone Marina Silva, ex petista che, dopo aver rotto con Lula, potrebbe divenire la nuova carta della destra per battere Dilma Rousseff, la presidenta succeduta all’ex sindacalista leader dei metalmeccanici.

Da tempo Marina Silva aveva annunciato il suo passaggio tra le file del Partido Socialista Brasileiro, ma la morte in un incidente aereo nei pressi della città di Santos del candidato prescelto dal Psb, Eduardo Campos (già governatore del Pernambuco), avvenuta lo scorso 13 agosto, ha mutato profondamente il quadro elettorale. Non solo i sondaggi attribuiscono a Marina Silva il 21% delle intenzioni di voto in più rispetto a quello che era il gradimento per Eduardo Campos (di cui la Silva avrebbe dovuto essere vicepresidente in caso di vittoria), ma secondo alcuni sarebbe addirittura in vantaggio rispetto a Dilma Rousseff. La forza di Marina è tale che l’intera destra imprenditoriale starebbe per mollare il suo candidato ufficiale, Aécio Neves, del Psdb (Partido da Social Democracia Brasileira), per puntare tutto su quella che una volta era la compagna di Chico Mendes nelle lotte dei seringueiros, ma adesso si è trasformata nel principale avversario del centrosinistra grazie ad una campagna elettorale assai pragmatica: da un lato continua a dichiararsi convinta ecologista (anche se in molti l’hanno già battezzata esponente del cosiddetto “capitalismo verde”), ma dall’altro ha scelto come vice Luiz Roberto de Albuqyerque, legato strettamente al business dell’agronegozio e acceso sostenitore dell’incremento della soia transgenica. Di fatto, la campagna elettorale della Silva è finanziata dall’impresa Semientes Roos, simbolo dell’agronegozio, e lo stesso Psb ha una versatilità politica che gli permette di avere alleati in base alla convenienza del momento, ma nella maggior parte degli stati è apparentato al Psdb. Il sostegno della destra a Marina è confermato anche dalla sua promessa fatta a José Serra, leader del Psdb, sfidante (perdente) di Lula nella terz’ultima corsa al Planalto: in caso di vittoria, quello che finora è sempre stato uno sconfitto di lusso, farebbe parte della squadra di governo della Silva. Va evidenziato come i sondaggi più favorevoli a Marina Silva provengano da istituti demoscopici vicini all’impero mediatico di O Globo, che da tempo sogna la sconfitta del lulismo e del Partido dos Trabalhadores, ma c’è certamente un fondo di verità nell’editoriale del 20 agosto scorso, quando il quotidiano della destra (nonché simpatizzante del regime militare)  ha scritto: “Marina attrae il voto dei delusi dalla politica”. Inoltre, Marina può contare sul sostegno di André Lara Resende e Eduardo Giannetti da Fonseca, legati a Fernando Henrique Cardoso, l’ex-presidente del paese che scelse la strada delle privatizzazioni ed esponente di primo piano del Psdb. La svolta a destra di Marina Silva, infine, è certificata dalle sue dichiarazioni che gettano discredito sui due paesi che hanno contribuito a dare un’impronta progressista al continente latinoamericano: “A Cuba e in Venezuela la libertà è sequestrata”, ha ripetuto più volte, sostenendo che entrambi i paesi devono aprirsi alla democrazia. Rispetto alla giravolta attuale, sembra lontanissima la militanza di Marina nel sindacalismo amazzonico a fianco di Chico Mendes, così come la sua militanza nel Pt, dove è stata fino al 2009. Quelle che fino a qualche anno fa sembravano essere critiche da sinistra ad un Pt che nel corso degli anni ha sempre più annacquato le sue idee e politiche di sinistra, erano in realtà solo l’inizio di una campagna mediatica volta a screditare il ruolo esercitato dal Brasile nell’ambito dell’integrazionismo latinoamericano. Un ultimo aspetto da non sottovalutare, il giorno delle elezioni, sarà anche il legame molto forte stretto da Marina Silva con ampia parte delle comunità evangeliche, contrarie al matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’aborto. Se Dilma Rousseff  si è avvicinata agli evangelici della Chiesa universale del Regno di Dio, Marina Silva può contare sull’assai più ampio sostegno dei cosiddetti pastori evangelici “deputati-impresari”, a partire da quel Marco Feliciano noto per le sue dichiarazioni omofobe e razziste. Se tra il 1990 e il 2000 nel paese aveva prevalso il modello privatizzatore di Fhc (così i brasiliani si riferiscono comunemente a Cardoso), il nuovo millennio si era aperto nel segno di Lula e del tentativo (solo in parte riuscito) della democratizzazione del paese, ma pur sempre nello scenario di una sfida tra petistas e tucanos (i sostenitori del Psdb): adesso, l’irruzione a gamba tesa di Marina Silva sulla scena politica cambia tutto, e non è detto che l’ex ecologista faccia il pieno di voti solo a destra, ma potrebbe prosciugare anche una buona parte del serbatoio di consensi finora appannaggio del centrosinistra. Le mobilitazioni iniziate nel giugno 2013 e proseguite questa estate durante lo svolgimento della Coppa del mondo, erano dirette contro un Pt che ha scelto la strada della criminalizzazione della protesta dei movimenti sociali, non è riuscito a diminuire a fondo le disuguaglianze presenti nel paese più grande del continente (anche se la povertà è stata notevolmente ridotta), e, ancora una volta, non ha realizzato quella riforma agraria chiesta da tempo dalle organizzazioni popolari: in pratica, la struttura economica escludente che esisteva prima ha continuato a rimanere tale, anche per lo strapotere del capitale e delle multinazionali. E ancora, nelle favelas la polizia militare continua ad agire nella più totale impunità. È in questo contesto che in molti sostengono che tra la destra e il Pt non ci sia poi gran differenza, ad esempio il sociologo Chico de Oliveira, ed è sempre per questo motivo che Marina Silva potrebbe approfittare della situazione. In un’analisi dettagliata sulle presidenziali brasiliane sul quotidiano La Jornada, Raúl Zibechi ha evidenziato che attualmente la sinistra sopravvive solo nei movimenti anticapitalisti, ed ha scritto che i riots susseguitisi in Brasile dal giugno 2013 hanno rappresentato una sorta di ya basta generalizzato al sistema di potere brasiliano, petista, tucano o di altro tipo che sia. Ad esempio, il giornalista uruguayano riporta la disillusione del Movimento Passe Livre, l’organizzazione libertaria da cui è nata la protesta a favore del trasporto pubblico gratuito per tutti: “Nessuno dei tre candidati”, sostiene l’Mpl, “è a favore della tariffa zero”. E in ogni caso, alla via istituzionale, il Passe Livre preferisce una mobilitazione permanente dal basso. Più o meno sono gli stessi concetti espressi dai Sem Teto, che evidenziano il disinteresse di Rousseff, Silva e Neves per le tematiche relative al diritto all’abitare. Come hanno scritto i Sem Terra in una lunga lettera indirizzata ai candidati “presidenziabili”, in Brasile, ogni volta che si svolgono le elezioni, il capitale sequestra la politica. La terra continua ad essere di proprietà dell’agronegozio, che finora è riuscito ad impedire uno sviluppo dell’agricoltura legato alla sovranità alimentare e alla produzione agroecologica. L’asentamiento immediato reclamato dall’Mst per almeno 120mila famiglie accampate in condizioni precarie in tutto il paese rischia di rimanere ancora un’utopia. Il rischio che il Pt perda il Planalto potrebbe essere reale, poiché Marina Silva di fatto proviene dalla stessa base petista e potrebbe spaccare a metà il partito. Inoltre, non bisogna dimenticare che la Silva sa fare politica ed è tutt’altro che inesperta. Ex senatrice petista nello stato dell’Acre ed ex ministra dell’Ambiente all’epoca della presidenza Lula al Planalto, nel 2010 si era candidata alla guida del paese con il Partido Verde ottenendo un ottimo risultato con quasi il 20% dei voti. Per le presidenziali del 2014 la Silva aveva creato un suo organismo, la Rede de Sustentabilidade, che però non ha ottenuto il numero di firme sufficienti per presentarsi alle elezioni, ed è da qui che è nata la sua candidatura come vice presidente di Eduardo Campos. Marina Silva può godere anche di enormi finanziamenti, a partire da quello della miliardaria Mary Alice Setubal, figlia del fondatore del Banco Itaú, che aveva già sostenuto la sua precedente campagna elettorale.

Sulla questione dei finanziamenti legati alle campagne elettorali dei partiti, da tempo stanno lavorando oltre 400 organizzazioni sociali, riunite all’interno della piattaforma denominata Coalizione per la Riforma politica, che dallo scorso 1 settembre ha promosso una settimana di mobilitazione in tutto il paese per una Costituente sovrana del sistema politico. Intervistato da Adital, Aldo Arantes, esponente di spicco dell’Ordine degli Avvocati del Brasile (Oab) e tra gli organizzatori della campagna, ha indicato i punti principali della riforma politica che dovrebbe tramutarsi in un progetto di legge sostenuto da organizzazioni studentesche, sindacali e religiose, come dimostra l’adesione della Cnbb, la Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani. La riforma politica a cui mira l’ampia piattaforma che la sostiene, propone alla società civile e ai palazzi del potere quattro aspetti fondamentali. Il primo riguarda lo stop al finanziamento delle campagne elettorali da parte delle imprese, a cui dovrebbe sostituirsi un sistema di finanziamento misto pubblico-privato, ma dove quest’ultimo abbia un limite di 700 real per quanto riguarda le persone fisiche. Il secondo si riferisce all’adozione di un sistema elettorale caratterizzato dal proporzionale a doppio turno, il terzo auspica la parità di genere nell’elaborazione delle liste elettorali dei partiti e il quarto aspetto attiene alla creazione di meccanismi che rafforzino la democrazia diretta. A queste condizioni, l’attuale corsa al Planalto sarebbe, molto probabilmente, assai differente dall’attuale. Inoltre, la Coalizione per la Riforma politica si propone di lavorare per una nuova Costituzione che permetta al Congresso di essere più aperto alle aspirazioni delle organizzazioni sociali, dalla riforma agraria alla democratizzazione dei mezzi di comunicazione, passando per una riforma del diritto all’abitare e del potere giudiziario. Al centro della campagna della coalizione sta anche la lotta contro la corruzione e, più in generale, una trasformazione politica del Brasile verso una maggiore democrazia delle istituzioni del paese. Attualmente, al contrario, il Congresso è nelle mani del potere economico e, spesso, è trasversale agli schieramenti politici, come dimostra l’enorme ascendente della bancada ruralista, legata agli interessi dell’agronegozio. In merito agli obiettivi della Coalizione per la Riforma politica, tutti i candidati al Planalto sono stati assai vaghi. Dilma Rousseff ha garantito che in caso di rielezione proporrà al paese una riforma politica, ma senza precisare in cosa consiste, Marina Silva ha parlato vagamente di un nuovo modo di fare politica, ma anche lei non è scesa nei dettagli, mentre Neves si è dichiarato a favore della riforma politica, ma non ha specificato quali potrebbero essere i suoi punti principali.

Su una cosa tutti sono d’accordo: probabilmente la sfida per il Planalto si risolverà al ballottaggio del 26 ottobre, mentre voci di corridoio sussurrano che, se i sondaggi continueranno ad essere non troppo rosei per Dilma Rousseff, potrebbe esserci un clamoroso ritorno di Lula in qualità di candidato presidente a meno di un mese dal primo turno, previsto per il 5 ottobre.   

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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