Latina

Secondo la rivista Contralínea il paese è nelle mani di cinque grandi organizzazioni criminali

Messico: il terrorismo di stato di Enrique Peña Nieto

Persecuzione e montature giudiziarie contro gli studenti scesi in piazza per chiedere giustizia per i normalistas desaparecidos
16 dicembre 2014
David Lifodi

internet C’è qualcosa di più di una semplice bugia dietro al Todos Somos Ayotzinapa pronunciato dal presidente messicano Enrique Peña Nieto in occasione del discorso di alcuni giorni fa che celebrava il secondo anniversario del suo insediamento a Los Pinos. L’appropriazione indebita dello slogan dei movimenti sociali messicani, e la sua indignazione per il massacro dei normalistas di Ayotzinapa avvenuto a Iguala (stato del Guerrero) lo scorso 26 settembre, serve soltanto per celare il programma apertamente eversivo del presidente, che si è limitato a dichiarazioni molto vaghe sul caso dei 43 desaparecidos, senza però far nulla di concreto.

Bene hanno fatto i manifestanti, lo scorso 2 dicembre, in occasione di uno degli innumerevoli cortei di protesta per chiedere verità e giustizia per i normalistas, a rimandare indietro lo slogan di Peña Nieto rispondendo: Peña, tú no eres Ayotzinapa. Il terrorismo di stato si è palesato, ancora una volta, negli avvenimenti degli ultimi giorni, a partire dalla persecuzione nei confronti degli 11 attivisti arrestati a seguito della manifestazione dello scorso 20 novembre: in particolare, è stato oggetto di una vera e propria montatura il cileno Laurence Maxwell, in Messico soltanto per portare la propria solidarietà agli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa. Maxwell è stato poi rilasciato per la mancanza di accuse a suo carico (in prima istanza gli avevano imputato addirittura il tentato omicidio in un processo caratterizzato da irregolarità di ogni tipo), come gli altri partecipanti al corteo, ma mentre Enrique Peña Nieto elencava i suoi buoni propositi per debellare la violenza dal paese, lo studente dell’Universidad Nacional Autónoma de México (Unam), Sandino Bucio Dovalí, veniva rapito dalla polizia e condotto alla Subprocuradoría Especializada en Investigación de la Delincuencia Organizada, dove subiva ripetute minacce e percosse: per gli agenti avrebbe fatto la fine dei desaparecidos di Iguala, e probabilmente sarebbe andata così, se non fosse che il suo rapimento, avvenuto nei pressi della città universitaria, era stato notato da troppe persone per passare inosservato. Alla fine Sandino Bucio Dovalí, appartenente al movimento Acampada Revolución 132, è stato rilasciato: su di lui pesava l’accusa di aver lanciato molotov alla polizia durante gli scontri avvenuti al termine del corteo del 20 novembre. Le provocazioni del potere, però, ancora non sono finite, anzi. Alcuni giorni fa Enrique Peña Nieto si è recato ad Acapulco per presentare il Plan Nuevo Guerrero, dedicato a mostrare la strategia presidenziale per rianimare l’economia dello stato: si tratta della prima visita del presidente nel Guerrero dai fatti di Iguala. Nell’occasione Peña Nieto ha partecipato anche alla cerimonia di inaugurazione del nuovo ponte  nella città di Coyuca de Benítez, dove l’uragano Manuel, nel settembre 2013, aveva seminato morte e distruzione. Sul massacro dei normalistas, nemmeno una parola. Tutto ciò avveniva mentre i gruppi parlamentari di Partido Revolucionario Institucional (Pri), Partido Acción Nacional (Pan) e Partido Verde Ecologista (Pvem, di destra, nonostante il nome) discutevano sulla regolamentazione del diritto alla libertà di manifestazione dopo gli scontri avvenuti in occasione degli ultimi cortei di protesta per l’assassinio dei normalistas di Ayotzinapa. Sul tema si è spaccato anche il Partido de la Revolución Democrática (Prd), i cui esponenti locali hanno avuto un ruolo di primo piano nella mattanza di Ayotzinapa, dal sindaco di Iguala José Luis Abarca Velázquez al governatore del Guerrero Ángel Aguirre. Sul diritto a manifestare alcuni perredistas hanno sottolineato che la discussione alla Camera dei Deputati è quantomeno sospetta per la tempistica ed è impossibile non collegarla a quanto accaduto nei cortei per i desaparecidos, ma altri, che erano a favore della libertà di riunione, hanno fatto un passo indietro, evidenziando che il contesto sociale del paese, prima dei fatti di Iguala, era un altro. Ciò che è certo è il desiderio di molti messicani di non avere più Enrique Peña Nieto come presidente. Il giornalista italiano Federico Mastrogiovanni, esperto di questioni messicane, ha evidenziato come il discorso del presidente per celebrare l’anniversario dell’insediamento a Los Pinos non prevedesse alcuna domanda da parte della stampa: un monologo senza contraddittorio, nonostante lo staff presidenziale avesse parlato di conferenza stampa. Sempre Mastrogiovanni ha sottolineato che il presidente si è riferito ai normalistas desaparecidos descrivendolo come un caso di semplice privazione illegale della libertà e, ancor più ipocritamente, ha incentrato il suo discorso sulle responsabilità dei governi municipali collusi con il narcotraffico, declinando qualsiasi responsabilità per quanto riguarda il governo federale. A proposito dello strapotere del narcotraffico, la rivista Contralínea ha pubblicato la mappa dei cartelli della droga presenti in Messico, stilata grazie alla Procuradoría General de la República. Ne emerge un quadro in cui il Guerrero è lo stato con la maggior presenza di organizzazioni legate al narcotraffico e che il paese è nelle mani di cinque grandi gruppi criminali: Los Zetas, Cártel del Pacífico, Caballeros Templarios, Barbie e Beltrán Leyva. Al servizio di queste potenti organizzazioni operano 21 cartelli di portata minore, ma non per questo meno feroci. Ad esempio i Guerreros Unidos, responsabili della mattanza di Iguala, agiscono per conto della Familia Michoacana, che a sua volta è legata al cartello dei fratelli Beltrán Leyva. Il suo leader, Hèctor Beltrán, conosciuto come El Ingeniero, è stato catturato sei giorni dopo l’uccisione dei normalistas. Tra le cellule dei Beltrán Leyva si trovano Los Granados, Nuevo Cártel de la Sierra, Los Zafiros , El Tigre, Los Ardillos e Los Rojos, questi ultimi rivali proprio dei Guerreros Unidos.  Secondo la mappa elaborata dalla Procuradoría General de la República, gli stati del Messico dove risiede la maggior parte dei cartelli della droga si trovano nel sud e sudest del paese (oltre al Guerrero, Oaxaca, Chiapas e Quintana Roo), ma anche negli stati del centro e del nord sono infestati dai narcos

Per Contralínea, durante i sei anni di presidenza di Felipe Calderón, i narcotrafficanti si sono consolidati economicamente più e meglio delle imprese transnazionali: con Enrique Peña Nieto stanno passando all’incasso.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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