Latina

In corso una vera e propria guerra mediatica contro Dilma Rousseff e i movimenti sociali

Brasile: minacce di morte al leader dei Sem terra João Pedro Stédile

L’opposizione si venezuelizza
16 marzo 2015
David Lifodi

internet Le recenti minacce di morte al leader dei Sem terra João Pedro Stédile, apparse sulla pagina facebook di Paulo Mendonça, poliziotto di Macaé (città dello stato di Rio de Janeiro), rappresentano un ulteriore passo in avanti nella strategia della tensione che da mesi stanno conducendo le opposizioni brasiliane, decise a cacciare la presidenta Dilma Rousseff dal Planalto ben prima della scadenza di mandato, iniziato solo da pochi mesi, e a farla finita con le rivendicazioni dei movimenti sociali.

Il potere di quello che lo stesso João Pedro Stédile ha sempre definito latifondo mediatico è tale che non sono più soltanto le elites e l’oligarchia ad aver assunto le modalità di azione tipiche della destra venezuelana, ma anche le persone della strada. I peggiori sentimenti golpisti nei confronti di Dilma Rousseff, confermata legittimamente al Planalto nell’ottobre  2014, sono ampliati dalla grancassa dell’impero mediatico O Globo e da quotidiani quali Estado de São Paulo, Folha de São Paulo e dalla rivista Veja: è da questo brodo di coltura che la vera e propria taglia emessa nei confronti di Stedile, di cui si auspica la cattura “vivo o morto”, è stata derubricata ad una semplice rudezza dell’agone politico, e del resto la stampa mainstream brasiliana è maestra nel distorcere e manipolare l’informazione.  In realtà, evidenziano i Sem terra in un loro comunicato, la campagna dei tucanos è a tutto campo e, dalle classi medio alte rischia di estendersi a tutta quella fascia di società brasiliana non politicizzata e assai facilmente manipolabile: guerra ai dirigenti dei movimenti popolari, ai sindacalisti, ai neri, agli omosessuali, ai poveri, ai militanti di sinistra, alla libertà di informazione e di espressione. In pratica, si tratta della cosiddetta venezuelização dell’opposizione, che chiede la salida di Dilma e manipola a suo favore la comunicazione. È in questo contesto che, nel 1964, in Brasile il regime militare arrivò al potere e, non a caso, Brasil de Fato, ha definito la politica di odio condotta dai tucanos come fascismo, facendo riferimento proprio all’Italia degli anni Venti: “La destra vuole il sangue. I prossimi mesi saranno decisivi. Non si tratta più di difendere Dilma o il Pt. I tucanos e i loro alleati generano mostri”. L’accorato e preoccupato appello del quotidiano della sinistra brasiliana evidenzia, inoltre, come Dilma Rousseff, finora, si sia distinta per politiche tutt’altro che progressiste. Eppure questo non basta: nonostante i margini di manovra della presidenta siano assai ridotti e la nomina a ministri di nemici dichiarati delle classi popolari, le destre hanno deciso che Dilma deve abbandonare il Planalto. E allora succede che un poliziotto sconosciuto, quale era fino a pochi giorni fa Paulo Mendonça, si senta autorizzato a condividere sul proprio profilo facebook la foto di Stédile con una taglia di 10000 reais per chi lo catturerà vivo o morto. E sotto la foto del leader dei Sem terra una serie di insulti e minacce nei confronti di migranti, movimenti sociali e governi progressisti dell’America Latina, il tutto corredato dalla certezza che la manifestazione antigovernativa svoltasi ieri sarebbe stata caratterizzata da incidenti preparati a tavolino dallo stesso Stédile. Infine, sempre sulla pagina facebook di Paulo Mendonça, è apparsa una sorta di invocazione salvifica ad un colpo di stato militare a difesa del popolo brasiliano, lo stesso argomento utilizzato nel 1964 quando fu destituito il presidente João Goulart. I Sem terra, che hanno invitato la polizia federale ad indagare sulle minacce di morte nei confronti di Stédile e, più in generale, sui veri e propri incitamenti all’odio che stanno dilagando in internet ed hanno come obiettivo i movimenti sociali, evidenziano che questo episodio avviene a seguito di una nuova mobilitazione dei contadini senza terra contro l’agrobusiness e le multinazionali. Assai preoccupante, in questo contesto, è anche lo sciopero dei camionisti che, soprattutto nel sud del paese, stanno bloccando le strade a gatto selvaggio: chiedono l’abbassamento del prezzo del petrolio e la riduzione dei pedaggi, ma ci sono città che, senza combustibile, rischiano letteralmente di fermarsi, mentre i prezzi di alcuni generi di prima necessità hanno raggiunto aumenti siderali. Quella che Eric Nepomuceno, sul quotidiano argentino Página 12, ha definito campaña destituyente, è corredata anche dall’impossibilità del governo di poter negoziare con qualcuno per far sospendere lo sciopero dei camionisti: i sindacati e i dirigenti del settore affermano di non aver dato l’ordine di bloccare le strade, né sanno chi ha impartito una simile direttiva. Alla base di questa vera e propria guerra a bassa intensità per logorare Dilma Rousseff e il Pt, che peraltro è ben lontano dall’esprimere proposte realmente progressiste, sta l’idea che se i petistas e la presidenta non verranno cacciati, il paese andrà a rotoli. Sempre Nepomuceno fa un esempio assai calzante: i tucanos ammettono che la corruzione è sempre esistita, ma mai ha raggiunto i livelli insopportabili di adesso. Anche in questo caso, l’aggressività dell’elite conservatrice e imprenditoriale è tale che il Pt passa per un partito dedito a ruberie di ogni tipo, ma che, soprattutto, ha scelto il momento sbagliato per farlo. E la stampa cosa fa? Invece di condannare la corruzione endemica della classe politica brasiliana sposa questa bizzarra tesi, per cui non è tanto sbagliato rubare, ma non è il caso di farlo adesso. È in un contesto mediatico di questo tipo, del tutto deformato, che si creano le premesse per una destabilizzazione dagli effetti devastanti per tutta l’America Latina.

Si preannuncia un percorso difficile e accidentato sulla strada da costruire per un Brasile democratico: gli scioperi dei camionisti evocano la huelga camionera cilena del 1973 e non sono un bel ricordo

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it.
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