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Ma la destra, maggioranza dopo 17 anni, è divisa e litigiosa

Venezuela: il futuro incerto della rivoluzione bolivariana

La Mesa de Unidad Democrática non ha un reale piano di governo e vuole solo cancellare le conquiste sociali del chavismo
15 gennaio 2016
David Lifodi

internet Molto è stato scritto sugli errori del proceso bolivariano che hanno portato la destra a guadagnare un’ampia maggioranza all’interno dell’Assemblea nazionale venezuelana. Tuttavia, adesso è arrivato il momento di governare e, se da una parte la Mesa de Unidad Democrática (Mud) ha già promesso di cancellare tutte le conquiste sociali raggiunte dal chavismo, ciò che aspetta il Venezuela è preoccupante: si appresta ad amministrare il paese una coalizione unita soltanto dall’odio per la rivoluzione bolivariana e il Psuv, diretta da una serie di capetti e loschi figuri distintisi soprattutto per i loro tentativi di rovesciare prima Chávez e adesso Maduro più che per proposte concrete.

I “sinceri democratici” che dovrebbero salvare il Venezuela dal presunto regime chavista, a cui buona parte della stampa, anche progressista, si è appellata come se fossero i salvatori del paese, in primo luogo sono suddivisi in una miriade di partiti e partitini spesso molto litigiosi tra loro. Il primo è Primero Justicia, che alla rinnovata Assemblea nazionale potrà contare su 33 assembleistas. I suoi principali esponenti sono Henrique Capriles, attualmente governatore dello stato di Miranda e sconfitto alle presidenziali sia da Chávez  sia da Maduro nel 2012 e nel 2013. Sebbene il partito abbia rivestito un ruolo di primo piano nel tentativo di rovesciare Hugo Chávez nel 2002 e nel  paro petrolero del 2003, oltre a ricevere l’invito a partecipare ai convegni della Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales, think thank del Partito Popolare spagnolo, Primero Justicia ha finito per assumere un’impronta leggermente più moderata, tanto da dover ingoiare il boccone amaro della scissione. Dal partito si sono infatti separati i fascisti di Voluntad Popular, che vantano 14 rappresentanti all’Assemblea nazionale, ma soprattutto sono guidati da Leopoldo López, condannato nel 2014  a 14 anni di prigione per aver dato vita alle guarimbas, che hanno causato 43 morti, oltre a ad aver gettato nel caos il paese intero nel febbraio dello scorso anno. Già sindaco del municipio di Chacao, López nel 2002 partecipò attivamente all’assalto contro l’ambasciata cubana in Venezuela. I suoi rapporti con Capriles non sono dei migliori. Da una parte il leader di Primero Justicia, almeno all’apparenza, sostiene che il paese ha bisogno di governabilità e non è mai stato troppo d’accordo con il piano golpista denominato La Salida, varato dallo stesso López insieme a María Corina Machado e Antonio Ledezma con la benedizione dell’ex presidente colombiano Álvaro Uribe, noto in patria per i suoi legami con i paramilitari e all’estero per la sua vicinanza con l’ex primo ministro spagnolo Aznar, da sempre fedele devoto del franchismo. Inoltre, Voluntad Popular si è sempre battuto contro la nazionalizzazione dell’impresa petrolifera statale Pdvsa.

Hanno ottenuto un buon risultato elettorale anche Acción Democrática (26 seggi) e Un Nuevo Tiempo (20 seggi). Il primo partito, incredibilmente ancora membro dell’Internazionale Socialista per le sue originarie posizioni di centro-sinistra (peraltro sempre orientate al neoliberismo) si è spartito per almeno quattro decadi il potere con Copei nell’ambito del Pacto de Punto Fijo di fine anni Cinquanta. Il puntofijismo consentiva a socialdemocratici e democristiani di spartirsi il potere a scapito della sinistra. Il principale esponente di Ad, Henri Ramos Allup, sarà il presidente dell’Assemblea nazionale. Acción Democrática, come del resto tutti gli altri partiti, ha goduto di notevoli finanziamenti dagli Stati Uniti, in particolare da Usaid e dalla Fundación Nacional para la Democracia, ed ha sempre appoggiato i metodi violenti per cacciare Hugo Chávez da Miraflores, a partire dal sostegno a Pedro Carmona, il presidente di Fedecámaras, la Confindustria venezuelana che nell’aprile del 2002 stava quasi per portare a termine il golpe contro il presidente bolivariano. Fu Manuel Rosales, di Un Nuevo Tiempo, a firmare il decreto che avrebbe dovuto insediare Carmona a Miraflores. Lo stesso Rosales, nel 2009, implicato in episodi di corruzione, ha dovuto riparare in Perù chiedendo asilo politico. Alcuni partiti, invece, sono all’opposizione dopo essere usciti dal chavismo, ad esempio Avanzada Progresista (che si dichiara di sinistra, ma crede nell’iniziativa privata, come sostiene Henri Falcón, governatore dello stato di Lara), il Movimiento Progresista de Venezuela e Gente Emergente.

Se la Mesa de Unidad Democrática si è divisa soprattutto sull’opportunità o meno di attuare La Salida nei confronti di Maduro, già da prima si erano aperte numerose crepe all’interno della coalizione di destra, dalle accuse mosse verso Capriles, che nel 2013 “si fece scippare la vittoria alle presidenziali”, all’abbandono, nel 2014, del segretario Aveledo. Anche a seguito del successo che, per la prima volta dopo 17 anni, ha consegnato l’Assemblea nazionale alla destra, la parte più dura della Mud ha optato esclusivamente per distruggere tutto ciò che ha fatto il chavismo e concentrarsi già sul referendum revocatorio di aprile per cacciare Maduro, mentre l’area che fa riferimento a Capriles ha evidenziato la necessità di concentrarsi sulla costruzione di un’alternativa reale di governo. La parte più radicale della Mesa de Unidad Democrática ha però dalla sua organizzazioni molto forti, da Fedecámaras a Consecomercio, l’associazione che raggruppa i più grandi imprenditori del paese e ha già chiesto a gran voce la cancellazione dell’inamovilidad laboral e di tutta la Ley Orgánica de los Trabajadores, Trabajadoras y el Trabajo, oltre a fare pressione affinché vengano assegnate maggiori concessioni alle imprese straniere per l’estrazione petrolifera e la costruzione di infrastrutture.

In un contesto economico, sociale e politico molto complesso, non è semplice difendere la rivoluzione bolivariana, a cui ha voltato le spalle non solo la destra politica, ma anche una parte della cittadinanza che, da un certo punto in poi, ha visto ridursi gli spazi per l’autogoverno e la democrazia partecipativa a vantaggio della corruzione e di una discutibile politica economica. Probabilmente si giocherà su questi aspetti il futuro del proceso bolivariano, che non solo dovrà rinnovarsi, ma anche guardarsi dai pesanti attacchi che i vendepatrias della Mesa de Unidad Democrática con l’interessato appoggio di tutte le destre continentali.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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