Latina

Le difficoltà della comunità di pace in attesa degli accordi di pace previsti per il 23 marzo e poi rinviati

Colombia: a colloquio con Gildardo Tuberquia Usuga, della comunità di pace di San José de Apartadò

Insieme a Sirly Cerpa Cogollo è stato ospite dell’associazione Operation Daywork
19 aprile 2016
David Lifodi

internet

In primavera sono venuti in Italia Gildardo Tuberquia Usuga e Sirly Cerpa Cogollo, esponenti della comunità di pace di San José de Apartadò, ospiti dell’associazione Operation Daywork.

Grazie alla disponibilità di Alessandra Volani, coordinatrice dell’associazione per il Trentino, e di Daniele Marchi, che ha curato la traduzione, ho inviato alcune domande scritte da rivolgere agli esponenti della comunità, a cui ha risposto Gildardo Tuberquia Usuga. Le domande erano incentrate sulla firma degli accordi di pace, previsti per il 23 marzo scorso e poi rinviati, ma rimane comunque l’attualità dell’impegno della comunità di San José de Apartadó all’insegna del pacifismo e della non violenza.

 Il 23 marzo dovrebbe essere la data in cui si firmeranno gli accordi di pace tra il governo e la guerriglia. Quali sono le aspettative della comunità di San José de Apartadó?

Come comunità di pace ci sembra positivo che il Governo e la guerriglia si siano seduti allo stesso tavolo per negoziare. Per noi questo è molto rilevante perché già abbiamo alle spalle più di 50 anni di conflitto e guerra, e il solo fatto che ora stiano negoziando ci sembra positivo. Quindi, se il 23 marzo si firmerà un accordo, sarà una buona notizia. Certo ci sono alcuni dettagli che, guardandoli bene, non funzioneranno subito. Per esempio, la guerriglia ha detto che non esistono le condizioni perché loro firmino la pace e depongano le armi, e questo è chiaro anche per il fatto che alcuni gruppi guerriglieri non sono coinvolti nel processo di pace e non stanno negoziando. D’altra parte ci sono i gruppi paramilitari che continuano ad esistere e ad avere potere nel paese, e questo fa si che non ci sia sicurezza e non ci siano le garanzie per le quali la guerriglia deponga le armi. Io non penso che questo si realizzerà [il processo di pace, ndr], però se si realizzasse sarebbe ottimo perché ci sarebbero meno scontri armati nel paese, e già ora non ne sentiamo più tra guerriglieri e agenti dello Stato. Anche gli altri accordi, che sono già stati raggiunti, sono positivi: per esempio, riguardo alla droga, è significativo, in un paese come la Colombia dove è presente il narcotraffico, che le due parti si impegnino a contrastarlo. Certo, pensiamo che sia un compito del governo, però se anche la guerriglia si impegna al riguardo – visto che anche loro ne sono coinvolti, finanziandosi con una percentuale – ci sembra un fattore positivo che può eliminare il narcotraffico.

Spesso la comunità di San José de Apartadó si è trovata tra due fuochi: da una parte i paramilitari e l’esercito, dall’altro la guerriglia, che non sempre ha visto di buon occhio l’equidistanza della comunità nel segno del rifiuto della violenza, da qualunque parte provenga. Eppure, nonostante diversi esponenti di spicco, ad esempio Luiz Eduardo Guerra, abbiano pagato con la vita la loro militanza pacifista, il principio della non violenza non è mai venuto meno. Può farsi strada, in Colombia, un modo diverso di fare politica a partire dall’attivismo dei movimenti sociali?

Abbiamo analizzato bene la situazione e pensiamo che non ci sia altro cammino da percorrere, credo che le regole della comunità siano regole molto positive che la popolazione civile dovrebbe darsi in questo cammino, in mezzo a guerre come quella che abbiamo vissuto in Colombia e in special modo nella nostra regione di Urabà, dove si trova la comunità di pace. Certo, da una parte c’è la guerriglia e dall’altra la forza pubblica e i paramilitari, chiaramente ci sono scontri tra di loro per spartirsi il territorio e in mezzo ci siamo noi, la popolazione civile. Certamente penso che il fatto di aver preso questa decisione ci abbia costato molte vite, e vite importanti, 300 persone e tra di loro leader valorosi. Ricordiamo, per esempio, Francisco Tabarquino, che fu assassinato dai paramilitari due mesi dopo il suo ingresso nella comunità di pace, uno dei primi leader del Consiglio interno. Non dimentichiamo nemmeno Ramiro Correa, assassinato dalla guerriglia nell’ottobre del 1997,  Rigoberto Guzmàn, anch’esso dirigente del Consiglio interno della comunità, ucciso nel 2000, e poi, chiaramente, Luis Eduardo Guerra. Sono tutti leader che hanno iniziato questo processo e preso sempre le decisioni a favore dell’organizzazione e di questi principi, allo scopo di costruire la Comunità e per rappresentare un esempio: per questo sono stati assassinati. Oggi, quindi, penso che la decisione della comunità sia quella di continuare ad essere fedeli a questi ideali e sicuramente non li abbandoneremo a causa degli omicidi che sono stati compiuti contro la comunità. Ritengo che la comunità abbia raggiunto una forte consapevolezza rispetto a questi fatti. Ogni omicidio significa maggior consapevolezza e non dimenticheremo la memoria dei nostri leader, non tradiremo il lavoro che hanno iniziato e il cammino che hanno aperto. Si tratta di un buon cammino, l’unica alternativa per sopravvivere all’interno del conflitto. E si, penso che si siano formati in Colombia altri gruppi con principi simili a quelli della comunità, come la non violenza, la neutralità e la forma organizzativa. Organizzano lavori comunitari come quelli che facciamo nella Comunità e le donne sono maggiormente integrate, al pari dei giovani. Di conseguenza, penso che la comunità rappresenti un esempio non solamente per la Colombia, ma per il mondo intero.

Che ne pensa la comunità del ruolo del presidente Juan Manuel Santos, che mentre trattava per la pace non ha quasi mai scelto la strada di una tregua con la guerriglia? È davvero interessato alla pace o si adopera per la fine delle ostilità al solo scopo di disinnescare la guerriglia, come già avvenuto negli anni Ottanta, quando a pagare furono i militanti di Unión Patriótica?

Questo non si può sapere, perché durante la sua storia politica Manuel Santos ha occupato incarichi politici molto importanti, è stato ministro della Difesa e, durante il suo mandato, ci furono ripetuti casi di falsos positivos nel paese, anche nella comunità di pace, per i quali Santos dovrebbe rispondere in prima persona. Da ministro, Santos colpì fortemente anche la guerriglia, ordinando l’uccisione di vari comandanti, tra i quali Alfonso Cano, uno di quelli che cercava maggiormente il dialogo e stava provando a raggiungere gli accordi di pace. Quando lo catturarono, vivo e malato, fu Manuel Santos a dare l’ordine di ucciderlo. Santos ha molte responsabilità per questi fatti, quindi non si capisce a che gioco stia giocando. Ci sono molti interessi in gioco. Si è sempre pensato che il conflitto interno faccia comodo al presidente , a un settore ampio della società colombiana e apra ancor più le porte alle multinazionali, in modo che arrivino in Colombia per fare razzia di tutti i minerali che abbiamo. Oggi il settore agricolo è alquanto ignorato,ogni anno produce meno alimenti, si importa maggiormente dall’estero e  più persone lavorano nelle miniere, quindi penso che quello di cui si sta trattando siano interessi economici molto potenti e non possiamo sapere quello che succederà con la smobilitazione della guerriglia, quando deporranno le armi, se mai lo faranno.

Pensi che quello che successe all’Unión Patriótica possa succedere ancora?

Questo potrebbe succedere perché finché esisteranno i paramilitari che continueranno ad essere forti, armati e controllare tutti i territori che dominano ora, allora ci sarà il rischio che prosegua quello che sta succedendo con i leader dei movimenti sociali, contadini e non guerriglieri, che vengono catturati e uccisi. Anche a Apartadò ci sono molti leader della Unión Patriótica, lì c’è l’associazione contadina e leader comunali che non fanno parte della comunità di pace. Neanche un mese fa hanno catturato dieci leader comunali. Quindi, se uno chiede quali garanzie ci siano perché la guerriglia deponga le armi e si metta in politica, direi che non ci sono garanzie. Quindi, o ci sarà una giustizia che li perseguirà, oppure ci saranno i paramilitari per assassinarli.

La comunità di San José de Apartadó ha fiducia nelle forze progressiste del paese e, ad esempio, quali sono i rapporti con i movimenti sociali, dalla Marcha Patriótica alle madres che esigono giustizia per i loro figli scomparsi per il caso dei falsos positivos o uccisi nella guerra senza quartiere imposta del narcotraffico?

Si, ci sono molti movimenti politici che sono di sinistra e che dicono di lottare per le classi basse della società, per i contadini, per difendere i diritti umani e tutto il resto, però finisce che sono partiti politici e nella comunità non crediamo in questa politica, in questo potere. Penso che siamo nati per rimanere nel nostro territorio, ma senza generare un potere per noi stessi. Non abbiamo un partito, non appoggiamo né sosteniamo nessun partito, semplicemente perché non esistono le garanzie. Un partito politico che voglia effettivamente salire al potere per cambiare le cose non viene lasciato passare, perché ci sono troppi poteri a sbarrargli la strada per evitare che prenda forza. C’è l’esempio dell’Unión Patriótica, che ha cercato di arrivare al potere e fu sterminata, tutti i dirigenti politici furono ammazzati, e da quel momento credo che nessun partito che lotti per la classe povera riuscirà mai a governare. Anche la Marcha Patriótica e molti suoi leader sono stati uccisi, e questo ci porta alla conclusione che non ci sono garanzie. Non sappiamo in futuro, magari nel futuro ci saranno, ma per adesso non ci sono e per questo noi non diamo il nostro voto a nessuno, a nessun dirigente di nessun partito, come abbiamo fatto dal principio.

La pace stavolta sembra davvero ad un passo rispetto ai precedenti tentativi, ad esempio quando era presidente Pastrana, eppure ci sono alcuni settori della società, quelli più vicini all’ex presidente Uribe, che si augurano un fallimento dei negoziati. Qual è la percezione della comunità in merito agli accordi di pace? Il paese è pronto per accettare la fine delle ostilità?

Tutti i colombiani sono d’accordo che finalmente si raggiunga la pace, io penso che la gente sia stanca, soprattutto la società rurale, il campesinado,  costretta al desplazamiento perché le hanno rubato la terra. Questa è una speranza grande per poter tornare in possesso delle proprie terre, perché nell’accordo di pace si parla della terra, di restituirla a coloro che furono sfollati con la forza o la cui terra fu rubata dai paramilitari. Quindi si, penso che sarebbe un sollievo molto grande per il paese e che tutti aspettiamo che gli accordi si concludano con una firma il prossimo 23 marzo.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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