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Guatemala: Gerardi, il popolo o la voce di Dio

"Caminata por la vida y la paz " in memoria di Juan Gerardi, vescovo e direttore dell’Ufficio per i diritti umani dell’arcidiocesi di Città del Guatemala. Gerardi, martire del Remhi (Recuperaciòn de la memoria historica)
22 maggio 2004
Simone Perini

“Siamo qui riuniti tutti coloro che credono nella verità e che lottano per la giustizia. Per questo non siamo molti, peró tutti i presenti sono e siamo i migliori. Grazie per la vostra presenza questa mattina, perché in questo modo state testimoniando di sapere che questo Paese ha bisogno di uomini e donne che vivano nella ricerca della veritá e la realizzazione della giustizia.”

Queste le parole pronunciate dal vescovo di San Marcos Alvaro Ramazzini in apertura del suo discorso nella piazza di San Pedro sabato 24 aprile 2004. Seimila persone lo ascoltano dopo aver partecipato alla sesta Caminata por la vida y la paz in memoria di Juan Gerardi, vescovo e direttore dell’Ufficio per i diritti umani dell’arcidiocesi di Città del Guatemala. Gerardi, martire del Remhi (Recuperaciòn de la memoria historica), il progetto per il recupero della memoria storica della Chiesa cattolica, al quale più di ogni altro egli dedicò sforzi ed impegno fino alla sua morte, il 26 aprile del 1998, quando fu assassinato nella parrocchia di San Sebastiàn, nella capitale, dove abitava.

Due giorni prima aveva presentato al popolo guatemalteco e al mondo intero i quattro volumi frutto del lavoro di tre anni del progetto Remhi. Quattro tomi che rendevano pubblica la storia fino ad allora silenziata di uno degli olocausti piú grandi del continente americano. La memoria delle vittime di un conflitto interno che per circa 34 anni ha afflitto e massacrato la popolazione civile vendendo la menzogna di dover combattere la sovversione comunista.

Sempre si è cercato in questo Paese di scaricare altrove le responsabilità, ed oggi siamo testimoni di quanto questo tentativo sia risultato e continui ad essere vittorioso. Il Guatemala attraverso il Remhi e il lavoro della Commissione per il chiarimento storico (CEH) ha aperto gli occhi sulla tragedia che ha spazzato via circa 430 villaggi indigeni, causato un milione di rifugiati tra interni ed esterni, 45 mila desaparecidos, circa duecento mila vittime. E’ormai stato riconosciuto il reato di Genocidio commesso ai danni della popolazione nativa maya, ma nessuno è alla sbarra per rispondere di tale orrore. Anche perchè, qualcuno ha mai portato dinnanzi ad un giudice il sistema di intelligenza americana, i suoi ambasciatori, generali che ancora amministrano il potere in Guatemala, la statunitense Escuela de las Americas che addestrò le tirannie latinoamericane e i soldati che massacrarono i loro fratelli? No. Purtroppo questo non è stato fatto, e ci sono poche speranze che mai accada.

Il procedimento per l’assassinio di Gerardi ancora non arriva ad una condanna per gli autori materiali del crimine. Due militari sono stati condannati come autori intellettuali, ed è chiara la responsabilità dell’EMP (Estado Mayor Presidencial, smantellato pochi mesi fa) incaricato della protezione del Presidente e che in nome della sicurezza nazionale giustiziava gli oppositori al regime militare come chiunque si opponesse al totalitarismo imperante. Gerardi era sulla lista nera e fu sacrificato perchè la verità sulla guerra civile evidenziata nel Guatemala nunca màs di cui il vescovo era una riconosciuta guida, era un pericolo per i responsabili delle atrocità commesse fino ad allora.

Ed oggi, quando ancora gli accordi di pace firmati nel 1996 non trovano realizzazione nell’agenda del nuovo governo, quando ancora l’impunità non viene infranta, quando una permanente ingiustizia sociale costringe la maggior parte della popolazione all’indigenza, quando le lotte popolari non ricevono che promesse e parole, chi saranno oggi a raccogliere l’esempio dei martiri della verità per continuarne le sfide?
Ascoltando le parole del vescovo Ramazzini si ha l’impressione che egli sia uno di quelli. Uno dei pochi ancora appartenenti alla gerarchia della Chiesa progressista guatemalteca, che grandi prove ha lasciato in passato della sua comunione con le cause degli ultimi di questo Paese, a proseguire sulla strada allora tracciata.

Non vi sono gli integranti di una sinistra invisibile a condannare la repressione nei confronti di leaders delle organizzazioni contadine, non vi sono i rappresentanti di un sindacalismo ancora da ricostruire, non vi sono studenti universitari. Un vescovo accusa invece come la difesa della proprietà privata calpesti il diritto alla vita di milioni di persone. E’ un vescovo che punta il dito contro i pochi latifondisti che posseggono tutta la terra utile e fertile del Guatemala. E’ un vescovo che dice che la voce di Dio è la stessa del popolo, ed uno come me si interroga su quanta sinistra sia compresa nelle Sacre Scritture o quanto Cristo in me.

E il cardinale Quezada Toruño, che i giornalisti cercavano per sapere se la posizione del vescovo di San Marcos fosse rappresentativa della Chiesa cattolica guatemalteca, nel giorno in cui le migliaia di persone marciavano per le strade della capitale per commemorare Gerardi, era giustamente nel suo giorno di riposo.

Il progetto Remhi, così come le conclusioni della CEH, invece d’essere diffuso per contribuire alla costruzione di una cultura di pace, di una società cosciente dei propri passi ed errori, per non ripeterli nuovamente, viene infangato da un libro di recente pubblicazione titolato ¿Quièn mato al obispo?(Chi ha ucciso il vescovo?) opera di due presunti studiosi del caso che, bisogna riconoscerlo, con buona perizia e particolari credibili, alimentano la tesi che scagionerebbe l’esercito.

Segnale significativo questo, quando molti decretano giá la morte del Remhi, o la sua inutilità per una società, si dice, proiettata verso un accellerato sviluppo ed un futuro di modernità, finalmente. Un segnale che il Remhi è invece vivo e vegeto e continua a dar fastidio, ed ampi settori sentono il bisogno di screditarlo, dato che gli assassini mai ne arrestarono la marcia.

Altri, come noi, sono coscienti che mai avvenire sarà possibile, senza farsi carico del proprio passato, riflettere sulle cause che stanno dietro a tragedie di così ampie dimensioni, digerirne gli insegnamenti.

Era chiaro fin dagli accordi di pace tra governo ed ex guerriglia con la mediazione dell’ONU del 96, quanto fosse limitata la volontà delle parti nell’illuminare i trascorsi di morte dei quali furono protagonisti con differente grado di responsabilità. La società guatemalteca è pertanto ancora costretta nello spazio claustrofobico dell’oblio, perchè gli interessi sono molti e grandi. Siamo testimoni di quanto siano restate inalterate le cause che costrinsero parte della popolazione a scegliere la lotta armata come unica via praticabile di difesa in primo luogo, di proposta di una alternativa poi. Difficile è pensare ad uno sviluppo positivo della situazione quando solo durante la settimana appena trascorsa sono state sgomberate ben sei comunità dai contadini che vi risiedevano e lavoravano.

Il nuovo esecutivo, guidato dal neoliberista e filostatunitense Berger, da una parte promette di dare priorità al problema agrario e dall’altra invia le sue polizie a reprimerne i lavoratori.

Sesta Caminata por la vida y la paz. Quante ancora prima che venga fatta giustizia?

Dal Remhi di San Marcos, un abbraccio a tutti voi.

simone

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