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Il debito sul bagnasciuga

Ci sono gesti che ripristinano un po' di giustizia e che stabiliscono nuove relazioni. Anche d'estate, di fronte al mare dei conquistatori e dei conquistati.
11 giugno 2005
Jean-Léonard Touadi

La stagione calda in Italia coincide con il periodo delle vacanze o, quantomeno, con una stagione in cui la dimensione ludica e d'evasione attraverso il divertimento, favorito dalla possibilità di vivere all'aria aperta, rappresenta un elemento importante dell'organizzazione sociale, dell'agenda familiare e delle aspettative dei singoli. Il mare, in tutte le sue sfaccettature (bagno, abbronzatura, gite in barca, riti collettivi di convivenza sulle spiagge bollenti, ecc.), costituisce il luogo-simbolo di questa stagione tanto agognata.

Agli occhi di un osservatore venuto da lontano, anche dopo decenni di permanenza in Italia, la "liturgia" balneare continuerà a mantenere un sapore esotico. Con tutto il suo corteo di ansia collettiva di benessere, con i suoi riti diurni e notturni che rinnovano gesti antichi e nuovi legati alla voglia di sospendere per un attimo le asprezze della quotidianità, con tutto il peso economico che ruota intorno alle località marittime, la voglia di mare diventa, di colpo, uno degli osservatori privilegiati della società italiana, ma anche un luogo di sperimentazione di relazioni interetniche.

E i legami potrebbero essere molteplici. A cominciare da quelli più tragici, legati agli sbarchi di immigrati, che hanno, durante la stagione calda, una repentina accelerazione. Così come aumentano i rischi, tanto che, troppo spesso, queste "carrette di mare" diventano tombe galleggianti.

Mentre ci stiamo godendo il sole di una spiaggia da sogno in Sicilia, Calabria o altrove nel Belpaese, c'è sempre da rammentare che quel mare limpido e sereno è, nello stesso tempo, un immenso deserto che inghiotte i sogni di migliaia d’immigrati provenienti soprattutto dall'Africa e dall'Asia. E uno potrebbe chiedersi perché queste persone lasciano le loro terre, spesso circondate da mari e oceani di rara bellezza, per raggiungere l'Italia, e perché sono disposti a pagare anche il prezzo della vita.

Le risposte sono tante. La prima possibile è quella di ribadire che questo movimento dai mari del Sud povero verso il Nord ricco è la conseguenza tardiva delle prime navigazioni compiute da marinai o navigatori europei alla ricerca di prodotti da scambiare, di territori da conquistare e da dominare, di ricchezze da sfruttare, di anime da salvare e di culture da purificare. Tutte queste azioni hanno determinato alcuni processi politici, culturali ed economici nelle terre di conquista.

La marea umana proveniente da quelle terre arriva, a cinque secoli di distanza, come per rammentare ai discendenti dei conquistatori di ieri i risultati non proprio lusinghieri della conquista e della dominazione. L'immigrazione è anche, quindi, memoria viva e drammatica, scoria delle storie d'incontro/scontro tra l'Europa e il resto del mondo, che ha subito l'arte, tutta occidentale, di "vincere senza avere ragione".

Libri, non paccottiglia.
È come se gli immigrati dicessero: «Ci avete cercato, ci avete trovato, ci avete dominato e sfruttato, ci avete insegnato a essere altri da noi stessi attraverso la distruzione delle nostre culture. Oggi, noi veniamo a cercare da voi ciò che non riusciamo a trovare nelle nostre terre devastate: un po'di pane e di dignità».

Il mare che vide, un tempo, partire le caravelle dei conquistatori, oggi vede passare i figli dei conquistati, che chiedono giustizia e riparazione anche a costo della vita.

I milioni di candidati all'immigrazione – il "sesto continente" appunto – rimettono al centro delle relazioni tra Europa e resto del mondo la questione del debito. Non mi riferisco solamente al debito estero, ma anche e soprattutto ai debiti storici, culturali, e al debito di sangue che nessun dollaro potrà mai contribuire a cancellare.

Thomas Sankara, uno dei leader della bellissima stagione rivoluzionaria in Burkina Faso negli anni Ottanta, chiedeva spesso di discutere la questione dei debiti con l'Europa, argomentando che gli africani erano creditori, non debitori. Essi potevano vantare crediti imponenti nei confronti delle nazioni europee, fautrici della schiavitù, della colonizzazione e del suo prolungamento (il neocolonialismo), nonché delle imperanti regole della globalizzazione economica che strangolano i popoli africani.

Mentre ci troveremo al mare, spesso ci capiterà di vedere, tra tanti corpi nudi e non di rado grassi, altri corpi vestiti e quasi sempre magri. Sono i corpi dei giovani senegalesi che percorrono decine di chilometri al giorno, non più e non tanto per vendere paccottiglia a famiglie italiane che hanno tutto, ma soprattutto libri che parlano di mondi lontani, di Africa, di letteratura, di speranza e d’incontro.

Il pagamento del debito inizia con l'acquisto – ma soprattutto la lettura – di questi libri, che declinano i debiti contratti nei secoli dall’Europa attraverso la padronanza del mare e dei suoi misteri.


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