PAROLA A RISCHIO

La forza dei sogni

A tutti i sognatori quest’anno dedichiamo una nuova Parola a rischio, ricordando e portando nel cuore don Tonino e la sua testimonianza. Per riscoprire una speranza che non cede, per ritrovare una Chiesa del grembiule, per liberare la vocazione nobile della politica.

Tonio Dell’Olio

Numero degli anni a parte, mi piacerebbe proprio un tramonto come il tuo. Lontano dalle luci della ribalta. Col cuore ancora gonfio di passione per la vita. Con gli occhi fiammeggianti nel riverbero di cento ideali. E col dito puntato verso la terra dei miei sogni.
Carissimo Mosè, non so quale sia stata la tua reazione di fronte all’improvviso decreto di Dio, che ti sottraeva, di punto in bianco, la gioia di coronare una missione per la quale avevi consacrato tutta la vita. Una cosa è certa: non ti sei ribellato. Anzi, umilmente hai preso atto del tuo peccato di infedeltà compiuto lì, a Meriba nel deserto, quando il popolo, imbestialito per la sete, si rivoltò contro Dio e tu, in un certo senso, facesti combutta con lui. A dire il vero, i sacri testi non precisano la natura di questa tua colpa misteriosa. Forse ti tremò la mano e percuotesti due volte, invece che una, la roccia dalla quale il Signore ti disse che avrebbe fatto scaturire l’acqua. Forse la combinasti ancora più grossa. Non lo so. E non voglio indagare. Sono fatti tuoi. Certo fu l’unica tua – défaillance –, ed era giusto che la pagassi cara: un capo come te non può permettersi cedimenti in fatto di speranza!

Il Signore ha esaudito questo desiderio, questa preghiera di don Tonino Bello. Quindici anni orsono (20 aprile 1993) il vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi, “col cuore ancora gonfio di passione per la vita” lasciava la scena di questo mondo per restare per sempre accanto al popolo della pace e dei poveri, alle donne e agli uomini mendicanti di giustizia, di vita, di dignità che lui aveva accompagnato coraggiosamente senza tirarsi mai indietro.
Ma è quel “dito puntato verso la terra dei miei sogni” che ci preme scrutare a distanza di tanti anni! Comprendere quali sogni sognava, forse scoprire le coordinate di quella terra per visitarla anche noi, per potervici entrare sia pure in punta di piedi.

Ai tutti i sognatori
È possibile che quei sogni ci riguardino, ovvero che siano i nostri stessi sogni o che almeno possano diventarlo. Che, sia pure confusamente, riusciamo a intravedere anche noi terre promesse che non abbiamo mai confidato a un amico, alle pagine di un giornale, alla gente con cui abbiamo preso da tempo a camminare nella stessa direzione o a quelli che incrociamo nel cammino.
È possibile che anche i dirimpettai della speranza, i sognatori brevi delle vincite milionarie e degli schermi al plasma possano respirare un altro respiro, vedere un altro spazio, tornare a sognare per l’umanità e non solo per se stessi.
Nel corso del 2008 chiederemo ad alcune voci di levarsi per dar corpo al sogno di don Tonino e farlo diventare un poco anche il nostro. A distanza di quindici anni vorremmo tentare una sorta di verifica onirica per capire quali di quei sogni hanno cominciato a prendere corpo, quali sono svaniti con le prime luci mattutine del realismo nudo e crudo, quali hanno avuto lo spessore breve del vaneggiamento e quali invece risuonano ancora oggi come profezia.
Nelle Chiese e nelle famiglie, tra gli operatori di pace nella politica e nell’impegno sociale, tra i poveri e nel popolo affollatissimo dei voiceless, i “senzavoce”. Che poi sono quelli che non godono di rappresentanza politica, né sindacale, che se scioperano nessuno se ne accorge e che sono talmente poveri che forse non hanno nemmeno dei sogni da sognare. Spogli di tutto. Saremo in grado noi di restituire loro la forza dei sogni? La scommessa è che, seguendo la direzione indicata dal dito del Mosè morente, forse intravedremo un luogo sfuocato che possa fare da casa.
Molto più realisticamente forse saremo in grado di vedere solo strade e strade.

Sentieri percorribili
Selciati polverosi da percorrere con fatica e con passione verso una Chiesa che indossi umilmente il grembiule del servizio verso tutte e tutti senza distinzione di razza, di etnia, di orientamento sessuale, di ceto sociale e di potere… Verso una Chiesa che dismetta i paramenti damascati delle liturgie incomprensibili e delle verità incontrovertibili per mettersi in gioco proprio su quelle stesse strade che il Cristo dei Vangeli ha percorso. L’unica condizione che consenta alla comunità cristiana di non smarrire la rotta per incrociare decisamente il passo degli ultimi e di percorre la strada insieme al popolo in cerca di liberazione. Come Mosè.
Seguendo quel dito potremo scorgere lungo i tornanti del quotidiano una politica in grado di comprendere che non ci possono essere diti puntati “contro” ma sempre “verso”. Che la contrapposizione dello spirito di parte non genera il bene della gente quanto piuttosto il consolidamento di posizioni che non servono a niente. Anzi a “nessuno”. Se non a chi si pavoneggia nei salotti buoni della televisione.
Nel sogno di don Tonino/Mosè la politica è una vocazione e una missione con un carattere alto e nobile. Non si nutre solo di programmi e di proposte ma è anche uno stile e un metodo. Ha una sola misura che è quella degli ultimi della classe perché, per dirla con don Milani è necessario “tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece (...) non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) bisognerà battersi perché siano cambiate”.
Agli operatori di pace e a coloro che percorrono le strade dell’impegno “dal basso”, di una partecipazione condivisa… quel dito dice della coerenza di un cammino che non può abbandonare mai, nemmeno per un secondo e nemmeno per una futile distrazione, la strada maestra della nonviolenza. Da ricordare sempre a tutte e tutti come una spina nel fianco. Perché le strade dell’economia di giustizia e del disarmo, della giustizia sociale e dell’opposizione alla guerra, della sete di legalità e della prossimità a tutte le vittime… non vengono visualizzate da nessun navigatore satellitare se non si utilizza il ricevitore della nonviolenza. Senza di essa ci potrà anche essere l’illusione di un cammino più rapido, oppure più confortevole, apparentemente persino più certo… ma si rivela puntualmente fuorviante. Condurrà a mete contraffatte con lo stesso stile dei falsi d’autore, di griffe provenienti dalla Cina, di banconote senza filigrana. Mancano della copertura di garanzia, si tratta di tregue cui diamo il nome di pace, sono surrogati che non sfamano, sembrano cose persino belle ma senz’anima.
La nonviolenza come bussola e come sale, come senso e profondità.
Un capo come te non può permettersi cedimenti in fatto di speranza!”. Don Tonino avrà l’amorevolezza di scusarci se, correggendo quest’ultima espressione noi abbiamo l’ardire di pretendere che non solo i capi, ma tutto il popolo non può permettersi cedimenti in fatto di speranza. Non è solo nocivo, non è solo una questione di igiene dell’anima. È un fatto di vita o di morte. Anzi ci sarebbe da ritenere che quel dito puntato indichi proprio i camminamenti, a volte persino carsici, della speranza, senza la quale non ci sarebbero né strade, né cammini. A don Tonino che sappiamo nella terra dei viventi, dobbiamo poter chiedere l’intercessione perché non venga mai meno la speranza, unico nutrimento di chiunque decida di mettersi in viaggio. D’altra parte la forza che ha accompagnato la profezia povera e disarmata di don Tonino Bello è stata davvero la speranza di un’altra Chiesa possibile, di un’altra politica possibile, di un altro impegno possibile radicato tra la gente, di un altro mondo possibile. La speranza è il carburante e l’energia della lotta. E non ci importa che sia irrisa, non riconosciuta, fraintesa. Ci importa di più che essa continui a lastricare le strade dei poveri, il cammino del riscatto, i processi di liberazione verso la terra promessa da Dio agli schiavi vecchi e nuovi prodotti da un sistema perverso.
La speranza, che a guardar bene il vocabolario è un sostantivo femminile, ci insegna la pazienza rivoluzionaria e la forza dell’attesa generatrice e feconda. Di questa speranza è intriso il cammino che ci viene indicato dal dito di don Tonino Bello. Oggi ancora più attuale e urgente di ieri. Un percorso che ci incalza prima che attenderci, che ci richiama alle responsabilità verso le generazioni che seguono, che ci dice che la verità è già nel cammino e non totalmente racchiuso nello scrigno della meta. È tra il già e il non-ancora. Le comunità di base brasiliane in questi anno ci hanno insegnato a cantare: Camineiro voce sabe nao existe o caminho. Paso paso, poco a poco o caminho se fais. Pellegrino tu lo sai che il cammino non esiste ma che si apre passo dopo passo e lentamente.

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