ECONOMIA

Una finanza globalizzata

Quale spazio per la democrazia e la trasparenza nel mondo delle “economie di carta”?
Quali spazi di partecipazione per i risparmiatori?
Riccardo Milano (Banca Popolare Etica)

Qualcuno una volta disse a Ettore Bugatti, il grande costruttore di automobili, che i freni delle sue lussuose automobili non erano assolutamente alla loro altezza. Egli rispose: “Signore, le mie auto sono fatte per andare, non per fermarsi!”.
Credo che quest’aneddoto possa essere utilizzato per ciò che sta accadendo in questi tempi: le attività finanziarie non si fermano mai, anche quando vi è una concreta possibilità, meglio certezza, di finire fuori strada. Infatti la finanza (che è la gestione dei flussi finanziari provenienti dall’economia: risparmio e crediti) da quando, negli anni Settanta del secolo scorso, ha iniziato una sua vita indipendente dalle attività economiche, non risponde più a una costruzione concreta e reale dell’ingegno umano tramite il lavoro.
Ciò ha creato e sta sempre più creando delle concrete disarmonie tra la vita concreta di milioni di persone, quella di tutti i giorni, e di un capitale, sempre più teorico e asettico (chiamato economia di carta) che viaggia per conto suo, seppur creando danni irreparabili a tutti. In altri termini, non vi è più un bilanciamento tra l’attività economica prodotta e il supporto della finanza con un suo ruolo più o meno realistico dei mercati finanziari: vi è solo un’attività caimanesca della stessa che inghiotte voracemente quanto si produce, scompaginando così le attività lavorative delle persone. Un dato lo dimostra: la somma di tutte le attività finanziarie scambiate giornalmente sui mercati finanziari è di circa $ 2.000 miliardi, ma solo il 3% finisce nell’economia reale.
Le ultime crisi finanziarie mondiali evidenziano costantemente ciò, senza però che i media raccontino compiutamente che cosa ne è delle vite di quelle persone che hanno perso tutto grazie a quella finanza non produttiva.

Democrazia latitante
Da qui gli enormi problemi di democrazia: quali possibilità e modalità di partecipazione alla res pubblica globale da parte dei soggetti da sempre considerati come “parco buoi” (in pratica quasi tutti i risparmiatori)? Come le rappresentanze politiche nazionali e le autorità di vigilanza intervengono per fare in modo che non si distrugga nei mercati, magari in poche ore, l’economia reale con l’andare in fumo di migliaia di miliardi di dollari grazie al crollo dei vari listini? Ci si affanna tanto per combattere la cosiddetta economia sommersa e per far emergere l’evasione fiscale altissima che rimetterebbe a posto le casse di tantissime nazioni; non si fa praticamente nulla per porre freno a tutte quelle attività finanziarie illegali che gettano sul lastrico milioni di persone (dalla regolamentazione dei mercati finanziari, ormai irrimandabili e richiesti da molti, a una politica per l’abolizione dei paradisi fiscali; da una tassazione delle attività speculative – un’applicazione funzionale dell’intuizione di Tobin, la tobin tax – a una obbligatorietà di trasparenza vera e severamente controllata; da una rivisitazione completa delle varie modalità speculative – options e futures – a un rapporto di ponderazione generalizzato sulla politica economica e sull’economia politica dei Paesi produttori di beni, spesso del Sud del mondo, e quello dei Paesi consumatori del Nord, che spesso hanno dalla loro non solo la capacità di acquisto grazie alla loro ricchezza, ma anche la possibilità di fare il prezzo grazie alle loro Borse; ecc.). Quanto costano, infatti, alle Persone e agli Stati queste crisi?
Democrazia e trasparenza (e etica) sono dunque parole che, sebbene tanto proclamate, hanno ormai un che di abusato e di logoro: se le si pronuncia è solo per lavarsi la coscienza e per un affannoso rilancio di un’idea economica che ormai fa acqua da tutte le parti e a cui ben difficilmente le varie regole di mercato (per es. la Mifid) possono mettere freno.
Come ormai è scritto da importanti commentatori economici, il sistema finanziario va riformato integralmente perché marcio (vedasi gli scandali ultimi in cui sono coinvolte le più importanti finanziarie e le più grandi banche del mondo).

Un sistema marcio
Ciò, però, è soltanto un motivo prossimo che fa seguito a uno remoto, come si dice in Storia. È, bisogna ammetterlo, il sistema economico che oggi governa e permette queste cose che bisogna sanare, come ben si studia in J. Stiglitz (Nobel per l’Economia) e in altri economisti illuminati.
Infatti, la domanda giusta è: quale teoria economica oggi ci governa? La risposta è: nessuna in particolare, giacché tutte quelle odierne e storiche o sono fallite o sono assolutamente deficitarie. Questo crea dei grandi problemi, primo dei quali che cosa fare nell’oggi e nel domani, visto anche un processo di globalizzazione che fa sì che tutto il mondo sia un unico mercato che dovrebbe essere ben regolato; ebbene, abbiamo il mercato, spesso ingiusto, ma non abbiamo le regole giuste!
In questo momento il far west finanziario che distrugge le economie reali è quello che logicamente c’era da aspettarsi (ma che nessuno, o quasi, ha mai denunciato, visto gli interessi in ballo), senza neanche un briciolo di una vera idea politica che si rispetti.
Ma in fondo cosa ci si poteva aspettare di diverso?
Di fatto, la globalizzazione nasce nel 1975 nel Castello di Rambouillett, a Parigi con il primo G6, in cui vennero definite le linee mondiali di privatizzazione dei servizi pubblici e della libera circolazione dei beni e servizi, specie di capitali (non delle persone) grazie al Presidente Usa Reagan e alla Premier della GB M. Thatcher (soggiacenti alle idee ultra liberal di Von Hayek, Nobel per l’Economia).
Poteva questo pensiero essere impostato a democrazia e trasparenza? Non lo so, ma di certo qualche dubbio lo poneva; dubbio che oggi, con la situazione difficilissima del mercato, con l’incertezza creata dall’incombente catastrofe ambientale, con la mancanza di risultati concreti della lotta alla povertà mondiale, con la mancanza di felicità anche nelle persone “ricche”, ecc., sembra confermarsi.
Da questi fatti negativi in sé, però, qualcosa sta nascendo: la spinta della Finanza Etica, le richieste e le campagne da parte della società civile per la modifica delle Istituzioni Internazionali, gli scandali vari delle grandi banche mondiali, l’enorme buco generato dalla spinta al credito al consumo per prodotti non essenziali (nei Paesi anglosassoni l’indebitamente è al 105% del reddito annuo delle famiglie), l’aumento delle materie prime grazie anche ad attività speculative, lo sconcerto per troppe guerre, ecc., sta facendo riflettere seriamente sia la politica e sia l’economia per cercare di venire incontro a un futuro più roseo dell’umanità.

Il potere dei risparmiatori
Ma c’è un’altra cosa che sta avvenendo dal basso e che sta contribuendo a modificare le carte in tavola: i consumatori e i risparmiatori cominciano a rendersi conto sia del loro potere e del fatto che è dalle loro tasche che parte la rincorsa del capitale sano da usare in alternativa al capitale speculativo, e sia che votano ogni volta che effettuano un’operazione di acquisto e non solo quando sono in una cabina elettorale.
La fuga dai fondi comuni d’investimento e dalle Borse, un livello di vita attuale più sobrio non per virtù (o quanto meno non ancora), ma per le minor spese che si possono affrontare quotidianamente, stanno facendo capire che la cuccagna all’avere è non solo effimera (come tutte le feste), ma che è terminata e ormai si comincia a comprendere che si necessita di un progetto di vita più attento alla realtà del cittadino/consumatore/ risparmiatore/investitore non limitato alle nostre ricche realtà del nord, ma a tutto il mondo.
In questo modo, proprio quella globalizzazione così voluta e così mal nata e che tanti mali ha prodotto (ma nella complessità della globalizzazione ci sono anche molte altre cose buone…) sta cominciando a concorre in modo rapidissimo a un cambio epocale facendo paradossalmente tornare in auge quelle buone pratiche della sobrietà e della solidarietà (e quindi della democrazia e della trasparenza) che erano state abbandonate.

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