Napadid

5 ottobre 2009 - Tonio Dell’Olio

La mia amica iraniana mi riferisce che nelle ultime telefonate parenti e amici iraniani sono stati molto vaghi e hanno preferito glissare su alcune domande. Segno evidente della preoccupazione d’essere ascoltati da altre persone e che questo è sommamente rischioso. Le dittature hanno tutte lo stesso tanfo di chiuso. Il medesimo odore di morte. Che siano guardiani della rivoluzione o militari sudamericani, talebani osservanti o sovietici fedeli della dittatura del proletariato, fascisti o birmani...
Riconosco le modalità, le tecniche, il triste rosario delle carceri speciali, delle torture, della censura. Quasi inconsapevolmente mi scopro a chiedere alla mia amica iraniana come si dice in parsi “desaparecidos”. “Napadid”, mi risponde. Spero di non dimenticarlo. Ci sono molti studenti in Iran che sono stati prelevati da casa o tratti in arresto durante le manifestazioni e di cui non si hanno più notizie. Come in Cile, in Argentina, in URSS, in Birmania, in Kurdistan, in Afghanistan, in Sudan... Vittime di volta in volta del fanatismo, di forti interessi economici, della sete di potere, del silenzio internazionale, della nostra indifferenza. L’Italia riconosce nell’Iran un partner commerciale importante e ha le mani legate e la bocca cucita. Ma noi non dovremmo dimenticare che desaparecidos in parsi si dice “napadid”.

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