Osservatorio sul Sinodo Africano promosso da CIMI e UCSI Lazio

Roma, 17 ottobre, 2009 – Ad aprire il quarto incontro dell’Osservatorio sul Sinodo Africano promosso da CIMI e UCSI Lazio svoltosi ieri 16 ottobre presso la Curia dei missionari della Consolata a Roma è stato il Cardinale Théodore-Adrien SARR, vescovo di Dakar in Senegal, che ha tracciato un bilancio del cammino dell’Africa dalla prima assise sinodale del 1994 ad oggi. "Il Senegal – ha spiegato Sarr - é una repubblica laica, che rispetta tutte le comunità religiose". Il cardinale ha infatti sottolineato un buon rapporto tra la comunità islamica e la Chiesa cattolica, che su una popolazione di circa 13 milioni di abitanti presenta un 5-6% di cattolici. "La comunità islamica é di circa il 92% - ha continuato Sarr - e il resto appartiene alle Religioni Tradizionali Africane; quindi il Senegal si presenta come un segno di speranza per la convivenza tra le varie comunità religiose ma anche per tutto il continente".
Un’esperienza, quella del Senegal, da cui, secondo il porporato, altri paesi africani devono attingere ispirazione e stimolo per la costruzione di un mondo giusto e riconciliato e dove, sempre secondo Sarr, l’aumento delle vocazioni sacerdotali e religiose è una buona notizia perché la Chiesa in Africa sta crescendo costantemente. Tante ancora le difficoltà come ‘la mancanza di mezzi materiali e il ruolo non ancora decisivo dei laici. "Il popolo africano deve prendere il destino fra le sue mani – ha sottolineato il cardinale - ma la responsabilità dei problemi del continente va cercata anche in attori esterni". Anche per questo "Il Sinodo che ha una dimensione universale, guarda a tutte le realtà che compongono la società, compresa la dimensione religiosa; affinché la riconciliazione a tutti i livelli sia possibile e l’Africa – ha concluso il Cardinale Sarr - sia sempre un polmone di ricchezza spirituale dell’umanità”.
"Una Chiesa piccola, recente e composta quasi esclusivamente di stranieri. Ma una comunità viva, vicina al popolo e che non è voluta mancare al secondo Sinodo per l’Africa", è stata invece la testimonianza di Mons. Martin Albert HAPPE, Vescovo di Nouakchott, terra della Repubblica islamica della Mauritania. "La prima messa celebrata da un sacerdote libero dall’attestato di assistente militare – racconta Mons. Happe - è stata possibile solo nel Natale del 1957".
"La Caritas in Mauritania è stata la prima ONG registrata nel Paese. Così possiamo aiutare in concreto la popolazione – ha concluso il padre sinodale Mons. Happe. Una Diocesi ora indipendente ma che fino al 1967 faceva parte della Prefettura Apostolica del Senegal".

Alla presenza di Benedetto XVI, si è svolta stamani la sedicesima Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione, la giustizia e la pace. A chiudere la seconda settimana di lavori è stata la presentazione della bozza del Messaggio finale dell’Assemblea. Il documento provvisorio verrà poi rivisto, sottoposto al voto dell’Aula e presentato ufficialmente venerdì prossimo. Ce ne parla Isabella Piro:


Ricco, pieno di speranza, che colpisce al cuore e potrà essere cibo per la fede di molti africani. I Padri Sinodali hanno definito così il Messaggio provvisorio presentato stamani in Aula. Un testo letto da quattro voci diverse in quattro lingue diverse: inglese, italiano, francese e portoghese. Quattro lingue e quattro voci, dunque, ma per un unico contenuto cruciale: il tema della riconciliazione, della giustizia e della pace è della massima urgenza in Africa e deve permeare tutto il continente.


Il Messaggio provvisorio del Sinodo parte da qui e le linee tracciate finora, e in attesa della versione definitiva, fanno riferimento all’importanza di pace e giustizia nella famiglia, nei confronti delle donne, in un mondo politico che deve essere al servizio del bene comune; fanno riferimento al bisogno di tutelare i bambini e l’ambiente, alla necessità di sviluppare la comunicazione sociale della Chiesa e di cambiare i principi che regolano la finanza mondiale.


La bozza di Messaggio guarda anche alla preparazione culturale dei fedeli laici, alla necessità di sostegno e di formazione per i giovani, che rappresentano più del 60% delle popolazione africana, e alla cooperazione in tutto il sud del mondo. Nel testo provvisorio, i Padri Sinodali pensano, poi, ai tanti migranti africani nel globo, riflettono su una maggiore diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa, rendono omaggio ai tanti missionari, in Africa e nel resto del mondo, che si prodigano per il cristianesimo.


Il Messaggio ancora in bozza, inoltre, si sofferma sulla povertà, grande ostacolo alla pace, sulla pandemia di Aids e sull’importanza del dialogo interreligioso ed ecumenico, da coltivare sempre, perché l’unità è fonte di grande forza.


Infine, i Padri Sinodali invitano l’Africa a non disperarsi perché il continente è ricco delle benedizioni di Dio e ribadiscono che il destino del Paese è nelle mani degli africani stessi e che tocca soprattutto a loro dare nuovo slancio al continente.


Con la presentazione della bozza del Messaggio finale, dunque, si è chiusa questa mattina la seconda settimana di lavori del Sinodo dei Vescovi. Sui contenuti e le finalità di questo documento, la cui versione definitiva sarà votata e illustrata venerdì prossimo, Paolo Ondarza ha intervistato il presidente della commissione per il messaggio, mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria:

R. – Nel messaggio non c’è nessuna intenzione di riassumere tutto il lavoro del Sinodo. La seconda cosa è il linguaggio che abbiamo cercato di adottare: il linguaggio di un Messaggio che viene indirizzato alla nostra gente. Il Messaggio, inoltre, è stato indirizzato a diverse categorie della comunità africana non soltanto della Chiesa. Spero che ciò che abbiamo da dire riguardo ai responsabili delle cose pubbliche africane venga da loro ascoltato perché così siano veramente responsabili della situazione in Africa adesso e allora si assumano la responsabilità.


D. – Quindi c’è un’esortazione in questo senso…


R. – Sì, l’esortazione è dire: guardate ciò che l’Africa è, certamente non è qualcosa di cui possiamo essere fieri. Non possiamo continuare a scaricare le colpe altrove. Sì, ci sono delle ingerenze esterne, delle responsabilità politiche dei grandi poteri, però questo non può essere il pretesto per non fare qualcosa. Poi abbiamo dovuto parlare fortemente contro tutto un modo di fare degli uomini politici. Ci sono strutture democratiche che vengono completamente sovvertite.


D. – I cosiddetti colpi di Stato silenziosi…


R. – Esattamente. I dittatori che stanno lì e che organizzano le elezioni ogni quattro anni e che non dicono niente: la comunità internazionale continua a far finta di non vedere niente.


D. – Tutto apparentemente sembra svolgersi democraticamente…


R. – Ma la gente stessa che subisce le conseguenze di questo sa bene di non aver scelto il proprio governo. Nel Paese dove qualche tentativo modesto è stato fatto per avere un sistema democratico decente si vede già il risultato positivo, sia per quanto riguarda la pace nel Paese sia anche nei risvolti economici per il popolo. Se un Paese è ben organizzato gli altri lo tratteranno con dignità.


D. – Dunque il messaggio è uno strumento da offrire sia alla Chiesa ma anche alle società africane…


R. – Addirittura alla comunità internazionale perché non si deve dimenticare che questa non è una riunione di vescovi africani che si tiene a Roma, questo è il Sinodo dei Vescovi.


D. – Come formulare un messaggio che sia adattabile alle variegate situazioni in Africa? Come rivolgersi a tutte le singole realtà in un unico messaggio?


R. – Certamente è possibile. Tutto il discorso su cosa vogliono dire riconciliazione, pace, giustizia, è universale per tutti, non soltanto per l’Africa. Quando un Sinodo come questo si riunisce, i problemi di una parte sono i problemi di tutti. Questo vuol dire Sinodo.


D. – Si cammina insieme…


R. – Insieme, camminiamo insieme. La cosa bella nel Sinodo è che può anche succedere che la Chiesa in determinate situazioni non possa parlare ma tutti noi possiamo parlare per loro. Le cose che i vescovi non possono dire a casa, il Sinodo le può dire per loro. Diciamo in inglese: giving voice to the voiceless, dare voce a chi non ha voce.

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