Gli aerei da guerra

Il progetto folle di acquisto degli F35 e le Campagne di protesta che sono nate a Novara e in tutta Italia.
Massimo Paolicelli e Giulio Marcon (Campagna Sbilanciamoci!)

Il progetto del Joint Strike Fighter – F35, l’aereo di quarta generazione, fortemente voluto dall’Amministrazione della Difesa americana, ha visto il coinvolgimento dell’Italia sin dal 1996 (con il ministro della Difesa Beniamino Andreatta). Il 23 dicembre 1988 è stato firmato il Memorandum of Agreement per la fase concettuale dimostrativa e il 24 giugno 2002 è stata confermata la partecipazione alla fase dello sviluppo. Lo scorso 7 febbraio 2007, il sottosegretario alla Difesa del Governo Prodi, sen. Lorenzo Forcieri (DS), si è recato negli Stati Uniti per firmare l’accordo e passare alla fase industriale.
Con una velocità inusuale, Senato e Camera dei Deputati, lo scorso 8 aprile, hanno dato il via libera al Governo per l’acquisto di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter al costo di 12,9 miliardi di euro, spalmati fino al 2026 e la realizzazione, a Cameri (Novara), di un centro europeo di manutenzione al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012.
Il provvedimento, arrivato in Parlamento il 10 marzo, è stato annunciato in Aula, trasmesso alle Commissioni di merito e ha avuto il disco verde in meno di tre settimane!
Al Senato ci sono state appena due sedute, con un dibattito durato meno di due ore complessive, 6 interventi compreso il relatore. Alla Camera, tre sedute e un dibattito di quasi due ore e mezza. Sembra incredibile, ma è la realtà: in piena crisi economica, con un dibattito brevissimo, si è dato il via libera a un provvedimento che in partenza ci costerà 13,5 miliardi di euro, ma che può lievitare. Mentre il PdL e la Lega hanno prevedibilmente votato a favore, il PD non ha preso parte alle votazioni per alcune perplessità sull’atto del Governo e perché non è stata accolta la sua richiesta di ascoltare in audizione Finmeccanica, Alenia, Avio spa, le Federazioni sindacali ed esperti di relazioni internazionali. Al Senato, dove ci sono state le dichiarazioni di voto, non risulta quella dell’Italia dei Valori. Nei due pareri favorevoli ci sono alcune condizioni, legate principalmente a richiedere al Governo garanzie sui ritorni industriali e di ricerca per il nostro Paese. Adesso l’ultimo atto spetta al Governo, che deve firmare il contratto per la produzione degli aerei.

Stop F35
La Rete italiana per il disarmo (www.disarmo.org) e la Campagna Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.org) hanno dato il via a una Campagna di sensibilizzazione e protesta, “Stop F35” per chiedere al Governo di non firmare il contratto e destinare i soldi risparmiati per la ricostruzione delle zone terremotate, per le fonti energetiche rinnovabili e per la ricerca.
La petizione on-line, nella quale è confluita anche la raccolta firme della “Campagna di indignazione nazionale” promossa da GrilloNEWS sullo stesso tema, ha raccolto in pochi mesi oltre 20.000 adesioni; inoltre hanno aderito oltre 100 associazioni di diverse aree, a cui si aggiungono le oltre 60 che fanno parte dei due cartelli promotori dell’iniziativa. Tale mobilitazione ha avuto un successo insperato, mobilitando anche molte realtà locali, considerando che le informazioni sono state divulgate solo sulla rete e sui mezzi d’informazione d’area, mentre sono state completamente oscurate dai grandi media nazionali, malgrado la portata di tali scelte. Questo impegno è il frutto anche di un lavoro di sensibilizzazione fatto dalle nostre associazioni sin dai primi dibattiti parlamentari sul provvedimento.
Infatti, dell’inutilità di questo progetto parliamo ormai da molti anni anche nel rapporto annuale di Sbilanciamoci sulla finanziaria. La protesta ha avuto anche un forte radicamento locale a Cameri, in provincia di Novara, dove deve sorgere un centro di assemblaggio del JSF. Lì, si è creato un Comitato permanete che ha avuto anche il sostegno dei vertici della Chiesa locale e che, il 2 giugno scorso, ha portato in piazza oltre 2.000 persone per dire no alla costruzione del centro di assemblaggio e alla produzione degli F-35.
Le promesse occupazionali sono state di ben 600 posti di lavoro che, a loro dire, potrebbero diventare 10.000. In realtà saranno, secondo i calcoli dei sindacati, un migliaio in tutto tra diretto e indotto. Di fatto saranno prevalentemente ricollocazioni di chi perderà il posto di lavoro per i tagli all’Eurofighter. In questo settore bisogna tener presente che i profitti dell’industria militare sono alti, anche perché garantiti dai Governi, ma basse sono le ricadute occupazionali in base agli investimenti. In proporzione si potrebbero creare molti più posti di lavoro se gli stessi fondi fossero destinati ad altri settori, come quello delle energie rinnovabili, che ci aiuterebbe peraltro a liberarci dalla dipendenza dal petrolio, causa di non poche guerre.

Perché ci opponiamo?
Le motivazioni che ci portano a dire che la scelta del Joint Strike Fighter è sbagliata e antieconomica sono molteplici.
Innanzitutto di ordine strategico, legata al Nuovo Modello di Difesa italiano e alla crisi economica. Il Consiglio Superiore di Difesa ha provato a raccordare gli impegni militari con le risorse economiche disponibili. Nella seduta del 29 gennaio scorso, su proposta del ministro della Difesa La Russa, è stata istituita la “Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale” che si era impegnata a presentare i risultati del proprio lavoro entro il 31 luglio, anche se tuttora non è giunto nulla. Non era corretto aspettare le conclusioni di questa Commissione per decidere se ci occorrano 131 cacciabombardieri?
Ci permettiamo di osservare che le nostre missioni all’estero dovrebbero essere (almeno sulla carta) operazioni di peacekeeping per le quali serve principalmente l’intervento umano e non quello dei cacciabombardieri, che di fatto contrastano anche con la vocazione di “ripudio della guerra” della nostra Carta Costituzionale.
Circa i fondi destinati alla Difesa nel nostro Paese, per il 2010 superano i 23,5 miliardi di euro. Continuano a crescere i fondi per l’investimento (10%), cioè per i sistemi d’arma per i quali – tra i fondi presenti nel bilancio della Difesa e quelli assegnati al ministero dello Sviluppo Economico – per il 2010 arriviamo quasi a 5,5 miliardi di euro. È tagliata invece la “truppa”. Il capitolo in cui sono previsti tagli sostanziali è quello dell’esercizio, dal quale dipendono la formazione dei militari e la manutenzione delle strutture e dei mezzi. Quindi possiamo arrivare al paradosso di comprarci l’aereo di quarta generazione, ma di non avere i soldi per acquistare il carburante…
La conferma che questo progetto sia un azzardo è arrivata dal nuovo rapporto del GAO (Government Accountability Office) dello scorso marzo, che per il Congresso americano è il corrispettivo della nostra Corte dei Conti e che sta seguendo passo dopo passo il progetto del JSF. Il GAO è critico sul progetto e ne lamenta i forti ritardi, il lievitare dei costi e le scarse garanzie di buona riuscita. È criticata la scelta del dipartimento della Difesa di anticipare la fase di produzione senza aver completato i test necessari, con il rischio di scoprire eventuali difetti a posteriori, quando correggerli sarà complicato e costoso. Si è deciso di anticipare l’acquisizione del 15% del totale dei velivoli, cioè 360 aerei, testando solo il 17% delle capacità dell’F35 in volo, per lasciare tutto il resto alle simulazioni di laboratorio. Secondo il GAO i costi, nei primi nove anni del progetto, sono lievitati dell’80% e continueranno a lievitare. Gli USA sono impegnati a investire 10 miliardi di dollari l’anno per i prossimi venti anni. Perplessità arrivano anche dalla Corte dei Conti olandese, sempre in merito all’aumento dei costi del progetto. Incomprensibile è l’assenza del parere della Corte dei Conti italiana.
Circa le strategie europee: la terza tranche di produzione dell’Eurofighter – a carico di Italia, Gran Bretagna, Germania e Spagna – sarà ridimensionata. Dei 236 aerei previsti ne verranno prodotti solo la metà, per il resto si vedrà. L’Italia, che ne doveva acquistare 46 (da aggiungere ai 75 delle prime due tranche) ne prenderà solo 21, alcuni dei quali addirittura pare si vogliano rivendere subito a terzi! In una parola: delirio!
La possibilità di ripensarci esiste ancora: il 30 marzo scorso la Norvegia ha sospeso fino al 2012 la sua partecipazione al programma del JSF.
Noi chiediamo al Governo italiano di non sottoscrivere un contratto che equivale a un assegno in bianco. Per questo la Campagna Sbilanciamoci e la Rete italiana per il disarmo, insieme ai 20.000 cittadini che hanno sottoscritto la petizione, chiedono al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di non firmare il contratto di acquisto dei 131 cacciabombardieri e di convertire questa inutile spesa in finanziamenti per lo sviluppo attraverso progetti per la pace, la solidarietà e l’ambiente.

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