ECUMENISMO

L'alterità delle religioni

Il pluralismo religioso: una conversazione con il prof. Peter Phan.
Patrizia Morgante

Incontro Peter a Roma al termine delle giornate di studio sul dialogo interreligioso, promosse dalla Commissione sul Dialogo dei Domenicani, nelle quali lui è stato il principale oratore con una relazione dal titolo “Salvezza universale, identità cristiana, missione della Chiesa. Fondamenti teologici del dialogo interreligioso”. Sono proprio questi “fondamenti teologici” ad avergli creato qualche problema con la Congregazione per la Dottrina della Fede in seguito alla pubblicazione della Dominus Iesus nel 2000 (è una dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, a firma dell’allora prefetto della Congregazione, il cardinale Ratzinger, www.vatican.va). Peter è un prete diocesano di origine vietnamita, vive e insegna negli Stati Uniti alla Georgetown University. Ciò che mi colpisce di Peter è la sua franchezza e lucidità intellettuale: è consapevole che le sue idee possono creare scompiglio, ma è pronto al dialogo rispettoso, autentico, attento alle obiezioni degli ascoltatori. La sua è una ricerca teologica onesta, appassionata e umile. 

Un balsamo per chi, come me, sente il disagio di tante chiusure nella Chiesa di Roma di oggi. 

Dice: “Se negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso i campi minati dal punto di vista teologico erano l’etica sessuale e la teologia della liberazione, negli ultimi due decenni, a giudicare dalla dichiarazione Dominus Iesus e dalle investigazioni sulle opere di teologi come Jacques Dupuis, Roger Haight, Jon Sobrino e di una moltitudine di nomi meno noti, non vi è dubbio che sia la cosiddetta teologia del pluralismo religioso a costituire il punto nevralgico della teologia cattolica contemporanea”. 

Perchè tanta enfasi sul tema della salvezza?

La formula extra ecclesiam nulla salus (fuori della Chiesa non c’è salvezza) ha forgiato per diversi secoli le relazioni tra cristiani e non cristiani. Se, invece, affermiamo che la salvezza è presente anche al di fuori del cristianesimo, nascono le domande: a cosa serve essere cristiano e che significa l’“identità cristiana”? Qual è la missione della Chiesa? Il Vaticano II cambia un po’ la rotta in merito e afferma la possibilità di salvezza per tutti i non cristiani, ma sempre secondo alcune condizioni. Il Vaticano vede le religioni come tentativi diversi di rispondere alle domande fondamentali relative al senso dell’esistenza umana. Esorta inoltre i cristiani a non rigettare nulla di ciò che è santo nelle altre religioni, perché seppur diverse possono rappresentare comunque un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini e le donne. Rimane, però, la questione se il Concilio ritenga che le religioni non cristiane possano essere vie di salvezza in se stesse, all’interno del vasto piano di salvezza di Dio. 

Come questo incide sul dialogo interreligioso?

Possiamo porci la stessa domanda in questo ambito: il dialogo interreligioso è per la Chiesa solo una via a senso unico per purificare, elevare, perfezionare gli elementi di verità e grazia presenti nelle altre religioni? Oppure il dialogo interreligioso è un processo a due direzioni, nel quale la nostra Chiesa viene genuinamente arricchita e portata a compimento dagli elementi di verità e di grazia, che potrebbe non possedere affatto e solo in misura ridotta rispetto alle religioni non cristiane, o potrebbe possederle e averle sottovalutate e incomprese?

Qual è l’atteggiamento che tu noti nella Chiesa cristiana verso il pluralismo?

Epistemologicamente parlando non possiamo comprendere gli altri se non attraverso le nostre categorie mentali, o per usare una metafora visiva, non possiamo vedere gli altri se non attraverso i nostri occhi. Non esiste un modo neutro e oggettivo per conoscere la realtà. Questo non vuol dire che siamo condannati al soggettivismo e al relativismo. La nostra attenzione sta nel non guardare gli altri solo come uno specchio di noi stessi, o ancora come un riflesso, ovviamente imperfetto e inferiore, di noi stessi. Uno dei modi più semplici per verificare l’accuratezza della nostra descrizione della verità dell’altro, è chiedere all’altro se si riconosce in ciò che ho affermato di lui.

Per esempio la teologia della rivelazione contemporanea proposta, tra gli altri, da Karl Rahner, va al di là di questa visione dualistica e binaria. Ma a me appare ancora insoddisfacente, perché si presenta comunque come una teoria dei cerchi concentrici (implicita in Lumen Gentium 14-16), con al centro il cerchio della Chiesa cattolica romana, verso l’esterno i cerchi della Chiesa non cattolica romana, i non cristiani, ecc. 

In cosa lo senti limitato questo approccio?

Il problema fondamentale con la teologia è che non prende sul serio “l’alterità” delle altre religioni e continua a vederle esclusivamente dal punto di vista cristiano. In altre parole l’approccio affronta la relazione della Chiesa con le religioni non cristiane partendo dalla prospettiva della Chiesa cattolica, e non dalla prospettiva di come queste religioni non cristiane vedono se stesse. 

Anche la parola “salvezza” non appartiene a tutte le religioni, oppure hanno altre vie per raggiungerla, o addirittura hanno altri scopi che non sono la salvezza delle anime (per esempio il Buddismo ha l’Illuminazione). Ci sono delle concezioni che appaiono incompatibili su cosa significhi salvezza, sui mezzi per raggiungerla e sul contenuto della salvezza.

Qual è la tua proposta per il dialogo interreligioso?

Per ciò che ho affermato sopra, parlo di salvezze al plurale, o per coniare una nuova espressione, una teologia multisalvifica della religione. Questa lettura implica che non si può affermare che esista una sola strada verso l’obiettivo finale (approccio esclusivista), o che ci siano più vie ma tutte conducono alla stessa meta (pluralismo); o ancora non si può dire che esistano tanti cammini per la meta ma solo uno è quello vero (inclusivismo). Di conseguenza una teologia multisalvifica non adotta una visione fondamentalista (primo esempio), non cade vittima della “dittatura del relativismo” (secondo esempio), e non sceglie una cooptazione trionfalistica (terzo esempio). L’approccio “multisalvifico” che io propongo semplicemente afferma che 1) differenti religioni parlano di “salvezza”, ammesso che lo facciano, in modi marcatamente differenti, e forse anche inconciliabili; 2) i mezzi (come le dottrine, le pratiche morali, i rituali e le spiritualità) che prescrivono per raggiungere quell’obiettivo sono vari e davvero diversi tra loro, a volte persino all’interno della stessa tradizione religiosa (ad esempio nel cristianesimo cattolico, ortodosso, anglicano, protestante ed evangelico); 3) è pertanto logicamente impossibile dichiarare in astratto che una particolare religione nel suo insieme sia falsa o che una particolare tradizione religiosa sia come tale l’unica vera. L’unica opzione che resta aperta per noi è esaminare una particolare e specifica dottrina o una pratica morale o un rituale, caso per caso, e concludere, più spesso per tentativi, che sia vera, o falsa, o molto spesso tutte e due le cose a seconda della sua coerenza e ragionevolezza intrinseca, del suo contesto, delle circostanze e conseguenze, e non che sia falsa o imperfetta o inferiore semplicemente perché non ebraica, non cristiana, non islamica o non buddhista o qualsiasi altra cosa. 

Come questa teoria influenza la missione della Chiesa cattolica?

In questo contesto la missione cristiana non è intesa come via per la salvezza delle anime, pensando che al di fuori ci sia solo dannazione, e non è pensata neanche come strumento per installare la Chiesa nelle terre di missione. Il centro della missione non è la Chiesa, ma ciò che le Scritture chiamano “regno di Dio”. Quindi il ruolo della Chiesa non è quello di aumentare i suoi adepti, né quello di incrementare le sue strutture. Per dirla in modo diverso: la Chiesa, soprattutto come istituzione, è solo serva e strumento del Regno di Dio.

Una domanda a Peter è rimasta in sospeso: come possiamo incentivare, nutrire e alimentare il pluralismo all’interno della nostra Chiesa? Dobbiamo forse parlare di dialogo intra-religioso? Tante sono le ferite e le barriere che ancora abitano la Chiesa cattolica: alcuni si sentono più legittimati di altri a essere Chiesa. Altri si sentono alternativi, critici, in dissenso e per questo giudicati ed esclusi. Quanta sofferenza può continuare a creare tutto questo se non si aprono spazi di rispetto e di accettazione nella diversità?

 

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