Democrazia via alla pace

“Promuovere la crescita democratica: via alla pace” - 27 febbraio 2010
Tomaso Zanda

Ringraziare
Ci sono degli argomenti, dei temi, che a un certo punto della vita ti prendono per il collo e ti dicono “guarda che questa è una priorità”. Quello della democrazia è uno di questi temi e mi guarda dritto negli occhi oggi a tutti i livelli.
Come uomo, in quanto futuro padre, meno di un mese e pappe e pannolini riempiranno la vita della mia famiglia; ma anche un compito educativo importante. Mi interpella il tema come professionista: faccio l’insegnante e l’educazione alle regole, alla convivenza, alla giustizia fanno parte del mio agire quotidiano. Come volontario di un movimento cristiano che della pace come Cristo l’ha insegnata e vissuta, ha fatto il suo scopo, il suo oggetto di ricerca quotidiano.

Così sono qua e ammetto di aver avuto un bel po’ di problemi a capire cosa dirvi oggi. Non sono un esperto, sono una persona e come tale, essendo stato invitato a dire la mia, racconto cosa succede a me e cosa osservo nel mondo che vedo senza nessun altra pretesa di testimoniare ciò che vivo.

1. Parto dunque da me marito e futuro papà. Innanzitutto confesso i miei peccati: così come il cardinal Martini diceva che c’è un non credente in ogni credente, così a mio avviso c’è un non democratico in ogni difensore della democrazia. Me ne sono accorto nelle relazioni famigliari o quando sono sulla cattedra; me ne rendo conto quando sono tentato di dire: “se facessero come dico io, andrebbe tutto molto meglio!”. Me ne accorgo quando anche nell’associazionismo, vince il personalismo oppure al contrario si preferisce lasciare la parola agli esperti e delegare. È sintomo di stanchezza o forse che alla democrazia non dedico sufficiente energia.
Il primo invito, che rivolgo innanzitutto a me stesso, è quindi quello di riconoscere il non democratico che c’è in me e capirne i sintomi: arrendevolezza, stanchezza, chiusura nell’intimismo, confusione fra la necessità di riconoscere il proprio limite e l’essere rinunciatari.

La democrazia non è certo la perfezione: Raimon Pannikar, grande esperto di relazioni interculturali e uomo di profondità incredibile, diceva che la democrazia è ciò che di meno peggio abbiamo per stare insieme al mondo. Certo però è che in Italia, oggi, sembra che ce la stiano soffiando da sotto il naso, senza che si muova una mosca. La riforma della scuola, la riforma dei processi, le dichiarazioni sulle pubblicità dei partiti politici (proporzionali agli elettori) e quant’altro; e c’è la sensazione che non si riesca, non si possa fare niente. Forse è ciò che vogliamo: lasciamo fare a qualcun altro che io ho troppi problemi.
Siamo stanchi e delusi e non riusciamo più a capire come muoverci. Siamo delusi e trasmettiamo delusione. Vorremmo trasmettere valori positivi e non ci riusciamo.

2. E qui entro in gioco io come professore. A volte in classe mi rendo conto che mi è difficile spiegare ai miei alunni il valore delle regole, dei diritti, dei doveri. Non sono più ovvi, perché sono stati troppo spesso violati e loro lo sanno, lo vedono, lo vivono continuamente. Facevo qualche settimana fa un lavoro sull’articolo 3 della Costituzione, confrontandolo con articoli simili della Costituzione spagnola e il punto di partenza era comunque: “sì bello, ma è in teoria” (11- 12 anni). C’è un’aria di disillusione che mi fa arrabbiare. (Zagrebelsky) www.scuolacaponnetto.it
Ho trovato questo bellissimo testo di Zagrebelsky che mi risponde: Zagrebelsky parla delle…
Si assiste con un senso di impotenza allo sviluppo di una dimensione ormai planetaria delle organizzazioni degli interessi industriali e finanziarie dell' odierno capitalismo, in un mercato che palesemente sfugge al controllo dei poteri politici nazionali, ammesso che essi, anziché essere conniventi, intendano porre regole e controlli. L' aumento delle disuguaglianze e delle ingiustizie su scala mondiale alimenta l' identificazione dei regimi democratici con le plutocrazie, da cui l' identificazione della democrazia, ideale universale, con un regime di casa nostra, regime dei forti e dei ricchi, che credono talora di poterla imporre con lo strumento tipico dei prepotenti, la guerra. Queste sono le «promesse non mantenute». Ma che significa questa espressione? Non nasconde forse un malinteso? E' come se un tempo ci fossimo affidati alla democrazia, aspettandoci un contraccambio, e quindi potessimo lamentarci se le nostre attese sono andate deluse. Ma la democrazia non è un' Alcina o una Circe. Non ci hanno detto una volta: venite da noi ché vi promettiamo una vita di amorose delizie, e si siano poi scoperte per megere ributtanti che ci riducono a una vita animalesca. Non è qualcosa fuori di noi, indipendentemente da noi e tanto peggio per noi, se ci siamo illusi. […] La democrazia non promette nulla a nessuno, ma richiede molto a tutti. E' non un idolo ma un ideale corrispondente a un' idea di dignità umana e la sua ricompensa sta nello stesso agire per realizzarlo. Se siamo disillusi, è per illusione circa la facilità del compito. Se abbiamo perduto fiducia è perché siamo sfiduciati in noi stessi. Le promesse sono quelle che ci scambiammo tra noi nel dire di volere la democrazia (art. 1 della Costituzione) e, se non sono state mantenute, è perché abbiamo mancato verso noi stessi ed è qui, in questo scarto tra ciò cui aspiriamo e la bruta realtà delle cose, che, naturalmente, si innesta il nostro tema: la pedagogia democratica, l' insegnar democrazia.
Relazione tenuta durante il Convegno Nazionale CIDI il 4 marzo 2005
*Gustavo Zagrebelsky Nato nel 1943, autore di numerose pubblicazioni, fra cui alcune anche
scolastiche, ha insegnato Diritto Costituzionale e Giustizia Costituzionale all’Università di Torino.
Nominato giudice costituzionale nel 1995 è diventato presidente della Corte Costituzionale il 28 gennaio 2004.

Per fortuna c’è ancora chi ci crede e lavora nelle scuole e negli oratori, gli scout, ecc. assieme ai docenti e agli educatori su questi temi: Libera, personaggi e testimoni come Gherardo Colombo, Liliana Segre, e altri ancora, i volontari delle ong e associazioni.
Sapete che la Gelmini ha introdotto la nuova materia Cittadinanza e Costituzione. In un libro della EMI (Citare Rifare gli italiani) si parla di questo:

Compito prioritario oggi per la famiglia e per la scuola è educare i giovani a vivere insieme agli altri, nella società complessa e plurale, rispettando le regole e operando un ritorno all’essenziale, “al vero, al buono, al bello” (Gardner) proponendo al tempo stesso “la stima di sé, la cura degli altri e l’impegno per creare istituzioni giuste” (Ricoeur).

Le istituzioni… e qui nasce un’altra riflessione: ho l’impressione che oggi viviamo un periodo in cui ci sono semi di democrazia che non sbocciano nelle istituzioni. Faccio anche il giornalista per una rivista missionaria francescana e ho una rubrica in cui presento libri e iniziative positive a cui aderire: ce ne sono davvero tante. Le leggo su giornali come Terre di Mezzo, Altraeconomia, Internazionale, Mosaico di Pace e altre ancora. Ma sono stupendi fuochi nella notte, fuori dal palazzo.
Per capirci meglio: ci sono i blogger dalla Cina e da Cuba, i video dei telefonini dall’Iran, le realtà di base in America Latina, la controcultura in Israele, la società civile italiana, ma non c’è un referente istituzionale realmente credibile e forte che possa dare loro voce. Troviamo il Comune eco-sostenibile, le piccole isole felici, ma poi non abbiamo chi le rappresenti in grande.
Internet sapete che c’è chi vuole candidarla al premio Nobel per la pace (anche Gianfranco Fini).
In un sondaggio, non so quanto attendibile, ma interessante, presente sul sito della Tavola per la Pace si pone la domanda:

Cosa possiamo fare per cambiare la politica? www.perlapace.it
Formare un nuovo partito 7%
Impegnarsi in uno dei partiti esistenti 18%
Non possiamo fare niente 4%
Non so 1%
Rafforzare la società civile 71%

Ho l’impressione però, ulteriore riflessione, che anche all’interno dei movimenti, la società civile, ci sia la necessità di elaborare una sorta di lutto.
3. Qui metto il cappello dell’attivista. Dopo il periodo d’oro iniziato poco prima di Genova 2001 e le grandi manifestazioni di piazza contro la guerra in Iraq sia sopraggiunto lo scoramento per non aver raggiunto risultati significativi o per essersi scontrati con le divisioni interne. O ancora per non essere riusciti a trovare un referente politico, in Italia almeno.
Dobbiamo rielaborare un lutto quindi, un fallimento. Non ci sono mancati i profeti, non ci mancano i grandi riferimenti: Gandhi, Luther King, mons. Romero, don Ciotti, don Puglisi, don Tonino Bello, Falcone e Borsellino, Caponnetto, ecc.. Non ci sono mancati gli strumenti: internet, il teatro dell’oppresso, i gruppi d’acquisto solidale, il commercio equo, ecc.. Ci sono mancate a mio avviso le persone che mettevano assieme, quelli che nel cristianesimo sono i pastori, gli accompagnatori.

E visto che sto cominciando a parlare il “cristianese”, parliamo appunto dei cristiani. Quale ruolo hanno? Mi interessa solo citare un punto ben esplicitato da Stefano Femminis direttore di Popoli. I cristiani sono spesso accusati, almeno quelli che alzano la testa, di buonismo.
“Di fronte alla sfida dell'immigrazione (in particolare quella islamica) i cristiani sarebbero dunque ingenui e rammolliti fiancheggiatori di chi vorrebbe corrodere l'Occidente e rendere insicure le nostre vite. In una parola i cristiani sono «buonisti». In un tempo che molti descrivono ostaggio del politically correct e che invece sta precipitando nella barbarie (e difatti eleva la barbarie a mossa vincente per la ricerca del consenso), questa è la madre di tutte le accuse, il peggiore dei sospetti, manganello contro chi osa richiamare alcuni principi fondamentali (non importa se evangelici o costituzionali).
Ma i cristiani hanno almeno tre validi motivi per restare serenamente impermeabili alle provocazioni, per quanto autorevoli. Anzitutto, il vero buonista è, prima ancora, un'ipocrita mascherato: qualcuno che proclama e non agisce, che predica misericordia e pratica ingiustizia, che fa leva sui buoni sentimenti per ricavarne un vantaggio personale. Al contrario, non si può non riconoscere che - con coerenza e in modo disinteressato - la Chiesa, con le sue istituzioni e diramazioni (dalla Caritas ai movimenti, dagli istituti missionari alle parrocchie) è spesso in prima linea nelle situazioni di disagio, emergenza, marginalità.
In secondo luogo, sia la dottrina sociale della Chiesa sia lo straordinario esempio di alcuni politici cattolici del passato dimostrano che la fede non è disimpegno civile, che il Vangelo non è un'amena lettura disincarnata dalla realtà, che credere nella solidarietà non inibisce la capacità di governare, con fermezza e realismo, fenomeni complessi.”
Ora che nascerà mio figlio, mi si sbatte in faccia la responsabilità di lasciare un mondo, per lo meno non peggiore, di quello ricevuto da mio padre e mia madre.
Mi vengono in mente due grandi immagini, due personalità che nel momento più buio del secolo scorso hanno illuminato la storia in modi diversi.
Uno è Dietrich Bonhoeffer, che ha pagato in prima persona il suo no all’ingiustizia. I suoi scritti sono stati scoperti solo molto tempo dopo dalle chiese; la sua riflessione però ha cambiato il pensiero dell’agire cristiano nel mondo, ci ha insegnato a stare al mondo da credenti adulti nel XX secolo.
L’altra è Etty Hillesum: la sua è una riflessione personale bellissima che diventa un inno alla resistenza di fronte alla bruttezza: “siamo chiamati a custodire un pezzettino di bellezza, per lo meno dentro al nostro cuore”. Etty lanciò uno dei suoi ultimi scritti da una fessura del treno che la portava ad Auschwitz. Un ultimo messaggio di serenità anche nel momento più drammatico per l’amica Christine, una lettera raccolta e spedita da contadini.
E’ una metafora bellissima: abbiamo bisogno di pazienza per vedere i frutti del nostro agire oggi. Abbiamo bisogno di fiducia, troveremo anche noi la fessura da cui inviare i nostri messaggi, troveremo qualcuno che li raccoglierà e li diffonderà.
Antonino Caponnetto invitava a “fare argine al male”. Oggi ho l’impressione che qui gli argini si siano rotti e che stiamo qui con gli stracci ad asciugare il mare. Comunque sia facciamolo.
Facciamolo per noi, facciamolo per i nostri figli.

Grazie

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