DISARMO

Difesa Servizi S.p.A.

Con la Finanziaria 2010, si è trasformata la difesa italiana in società per azioni.
Con tanto di capitale sociale. Ma con poca chiarezza su confini e poteri aggiuntivi.
Massimo Paolicelli (LOC – Lega Obiettori di Coscienza)

Tutti si sono accorti che alcuni mesi fa è saltata l’approvazione del provvedimento che istituiva la Protezione Civile Spa. Probabilmente questo è accaduto anche per la concomitanza delle indagini sugli appalti della Protezione Civile. Quasi nessuno sa, invece, che è legge dello Stato la Difesa Servizi Spa. Questo è uno dei primi tasselli di privatizzazione dello Stato, passato con pochissimi sussulti.
Un vero blitz del Governo, che, dopo un anno di discussione in Parlamento del suo disegno di legge, ha presentato, in seconda lettura alla Camera, un emendamento alla legge finanziaria 2010, passata poi a colpi di fiducia.

UN PASSO INDIETRO
All’inizio del 2009 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge, a firma del ministro della Difesa Ignazio La Russa di concerto con i ministri dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti e dello Sviluppo economico Claudio Scajola: “Misure a tutela dei segni distintivi delle Forze armate e costituzione delle società ‘Difesa Servizi Spa’”. Assegnato alla Commissione Difesa inizia un iter faticoso, per l’opposizione del PD e le forti perplessità di una parte stessa della maggioranza, e, fuori dei “Palazzi”, per le proteste delle forze sindacali e dei pacifisti. Persino il sottosegretario di Stato all’economia e alle finanze, Alberto Giorgetti, ha affermato che “la creazione di una società in house del ministero della Difesa pone il problema di definire i rapporti con le strutture dello Stato già operanti nel settore”. E Carlo Podda, segretario generale della CGIL-Funzione pubblica, in audizione, ha denunciato la privatizzazione del dicastero e il fatto che “in quanto struttura di natura privatistica, la società sarebbe di fatto sottratta al controllo Parlamentare”. Le preoccupazioni del sindacato sono, invece, relative alla gestione in regime privatistico del personale dipendente. Un dibattito interessante, tagliato corto dal Governo che ha preferito portare a casa il provvedimento con la Legge Finanziaria. A colpi di fiducia. Tacitando anche le divergenze interne.
All’articolo 2 della Legge Finanziaria 2010 sono stati inseriti alcuni commi (dal 27 al 36) che prevedono l’istituzione della “Difesa Servizi Spa” e la tutela di distintivi e marchi delle Forze Armate. Al comma 27 si delega il Governo a emanare un decreto per costituire la società per azioni denominata “Difesa Servizi Spa” con cui si prevede che: “Ai fini dello svolgimento dell’attività negoziale diretta all’acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Amministrazione della difesa e non direttamente correlate all’attività operativa delle Forze Armate, compresa l’Arma dei carabinieri”.
Il capitale sociale di partenza della società è stabilito in 1 milione di euro e le azioni della società sono interamente sottoscritte dal ministero della Difesa, che esercita i diritti dell’azionista.
Al ministro della Difesa spetta anche la nomina del Consiglio di amministrazione della Società.
Nei commi 28-31 prevede: “L’uso esclusivo delle proprie denominazioni, dei propri stemmi, degli emblemi e di ogni altro segno distintivo” e autorizza la Difesa a commercializzarli, prevedendo anche pene per chi viola le disposizioni previste dalla legge. Nei commi restanti si esplicitano i contenuti del decreto che dovrebbe essere varato entro 45 giorni, cioè lo statuto e la nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione. A oggi non se ne hanno notizie.

LE PROTESTE AVANZANO
Intanto le schermaglie continuano: da un lato il PD ha presentato al Senato, a prima firma della senatrice Roberta Pinotti, un disegno di legge per la “Soppressione della società ‘Difesa Servizi Spa’”, quindi una bocciatura totale del provvedimento. I capigruppo del PD nelle Commissioni Difesa di Camera e Senato, Giampiero Scanu e Antonio Rugghia, hanno chiesto al Governo di portare in Parlamento i criteri di nomina del Consiglio di Amministrazione, oltretutto chiedendo un profondo ripensamento sul provvedimento di privatizzazione. Infatti, secondo i due esponenti del PD “appare particolarmente grave che si attui la cessione a soggetti terzi di funzioni collegate con la difesa, in quanto funzioni vitali e strategiche per il Paese, che debbono svolgersi nel suo esclusivo interesse e al di fuori da condizionamenti derivanti da interessi privatistici e di mercato”. La difesa a spada tratta del sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto – il vero papà della norma che assicura che entro maggio “la Difesa Servizi vedrà la luce” – spiega che la società nasce per incassare, non per spendere. Infatti, spiega Crosetto, alla Difesa Servizi Spa “non sarà affidato il compito di spendere le risorse del bilancio del Dicastero ma, piuttosto, di incrementarle, valorizzando e fatturando tutti quei servizi e prestazioni che il mondo militare già assicura all’esterno, sostenendone gli oneri senza riceverne in cambio alcun reale tornaconto”.
Ma perplessità e dubbi restano, in primo luogo, perché alcune funzioni rivendicate per far reddito alla Difesa Servizi Spa sono già possibili con l’attuale normativa e, se tutto era così semplice, perché baipassare il dibattito parlamentare inserendo la norma nella legge finanziaria?
Questa scarsa trasparenza e indisponibilità al dibattito, confermano i dubbi e le perplessità sulla reale portata di questo provvedimento. La mancanza di una dettagliata definizione completa dei compiti lascia spazio a ipotesi che delineano un quadro molto più inquietante.
In primo luogo, è vero che escludendo dalle competenze della Spa le attività negoziali “direttamente correlate all’operatività delle Forze Armate” dovrebbero essere preclusi gli armamenti, ma il mercato delle armi è talmente vasto e spesso non automaticamente ascrivibile alla definizione di arma: basti pensare a un camion, a un radar; c’è poi un indotto di pezzi di ricambio che non hanno sicuramente un fatturato irrilevante, ma soprattutto essendo tutto collegato al settore bellico, non può assolutamente essere escluso dal controllo pubblico.

QUESTIONI APERTE
Altro aspetto rilevante è la questione dei dipendenti civili delle Difesa. Niente è stato detto sulle prospettive di lavoro dei 33.000 dipendenti civili impiegati nelle aree tecnico industriali-operative e amministrative del Ministero. Non sappiamo quali e quante professionalità e con quali mansioni saranno spostate verso la futura Spa. Considerando che la legge prevede che “il rapporto di lavoro del personale dipendente della società è disciplinato dal diritto privato” che notoriamente prevede meno tutele di quello pubblico, la questione non è indifferente.
Altro rischio è quello che anziché valorizzare le competenze interne dei civili, che hanno anche costi minori, si vada sempre più verso l’esternalizzazione dei servizi, con il rischio che una centrale di committenza apra la strada ad appalti senza bando, con tutti i rischi che abbiamo visto nella vicenda della Protezione Civile.
Se poi non poniamo paletti certi alle esternalizzazioni, si potrebbe anche arrivare ai “contractors” cioè compagnie private per la sicurezza, pagate per fare la guerra.
Ancora più complessa è la gestione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare. Un patrimonio di 4 miliardi che rischia d’ingrossare gli appetiti di alcuni speculatori a scapito dell’interesse collettivo, si tratti di immobili con un valore storico e culturale o di interesse sociale.
Il combinato disposto della ripresa di costruzioni di centrali nucleari e la possibilità per la Difesa di costruire centrali energetiche nei suoi terreni, ovviamente fuori dal controllo degli enti locali, potrebbe far sì che i nuovi funghi atomici spuntino proprio su aree militari, con tutto quello che ne consegue. Certo non è scritto, ma non escluso!
Avvisaglie di quello che potrebbe accadere sono arrivate subito con l’invio della portaerei Cavour per portare soccorso ai terremotati di Haiti. Senza entrare nel merito estremamente discutibile della missione, ci limitiamo a evidenziare alcune incongruità legate al tema che stiamo trattando.
Perché spostare una portaerei che costa dai 100 ai 200 mila euro al giorno (a seconda se è in navigazione o ferma in porto) per una operazione del genere? E perché fare tappa in Brasile per imbarcare vertici militari locali? Domande cadute nel vuoto della politica italiana.
Il governo Berlusconi, dopo aver ceduto il mercato l’acqua negli artigli del privato, ora lo fa con la Difesa. Anche questa volta con la scusa di una maggiore efficienza. Ma la gestione privatistica non si addice minimamente a un settore delicato e strategico come la difesa dove, più che altrove, sono fondamentali la trasparenza e il controllo pubblico.

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