EDITORIALE

Per amore del mio popolo non tacerò

Tonio Dell’Olio

All’inizio fu lo scudo fiscale, poi si introdusse un emendamento in finanziaria che permetteva di vendere i beni confiscati e alla fine fu la volta delle intercettazioni. Sempre e tutto motivato con nobili princìpi. Difendere e proteggere la riservatezza e la vita privata, contribuire a rimpinguare le casse dello Stato, “proteggere il lavoro dei magistrati”, permettere indagini ponderate e serie. D’altra parte proprio questo governo vanta, con orgoglio incomparabile, successi mai ottenuti prima nella lotta alle mafie. Un numero record di latitanti catturati. Un volume notevole di beni confiscati. Dimenticando che queste operazioni sono state condotte con successo dalle forze dell’ordine, a cui si continua a far mancare il necessario per operare con efficienza, e dai magistrati che, esponenti del governo continuano ad accusare in maniera aspra e, a volte persino volgare. A preoccupare è la nuova legge sulla limitazione dello strumento delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Limitazioni per gli investigatori e per gli operatori dell’informazione. Limitazioni alla ricerca della verità e all’informazione sulle verità venute a galla. Una persona equilibrata e seria come Valerio Onida, presidente dei costituzionalisti italiani ed ex presidente della Consulta afferma: “Tutti i reati devono essere perseguiti, e lo strumento delle intercettazioni deve poter essere impiegato dagli organi dell’accusa, con le dovute garanzie, tutte le volte che concretamente sia necessario. Gli abusi vanno combattuti stabilendo le opportune garanzie. Alcune di quelle che qui si vorrebbero introdurre mi paiono però tali da ostacolare irragionevolmente le indagini”. 

Noi, molto più semplicemente ci chiediamo se mafiosi, delinquenti, corrotti, corruttori e cricche ricevono un favore dalla nuova normativa oppure no. Perché se nelle carceri brindano e si sfregano le mani imprenditori disonesti e tangentofili della pubblica amministrazione, noi cittadini onesti siamo seriamente preoccupati. A tutto questo si aggiunga l’inquinamento del clima culturale del nostro Paese in cui l’illegalità diffusa arriva a non essere più percepita come tale, la furbizia elevata a modello e lo strumento delle leggi ad hoc o ad personam, considerato legittimo escamotage e priorità politica. 

Quando Saviano e le fiction contro le mafie vengono segnate a dito come lesive dell’immagine dell’Italia, l’intitolazione a Falcone e Borsellino dell’aeroporto di Punta Raisi come carta da visita disdicevole per chi giunge a Palermo… si capovolgono i valori e si elegge piuttosto il male a ruolo guida. La ricaduta di tutto questo nella lotta alle mafie è quanto di più dannoso si possa immaginare. Si possono arrestare i boss ma se non si bonifica il terreno di coltura di cui la malapianta si nutre, il sistema si rigenera e le ferite inferte alle mafie si rimarginano velocemente. Non si può, da una parte celebrare l’azione di Giovanni Falcone con una montagna di discorsi retorici, e dall’altra consentire che un sottosegretario di cui è stato inutilmente chiesto l’arresto per documentate complicità con clan della camorra, sieda ancora nell’esecutivo. La mafia brinda, la cricca ride e al Paese vengono richiesti sacrifici contro la crisi. In questo modo si favorisce la mafia di oggi e si prepara quella di domani. Si alzi, allora, la voce di coloro che hanno autorità morale in questo Paese e che si gridi dal pulpito come don Peppe Diana ci ha insegnato: Per amore del mio popolo non tacerò.

 

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