BENI PUBBLICI

Per una cultura dell’austerità

Dacci oggi la nostra acqua quotidiana: intervista esclusiva a mons. Luis Infanti, vescovo in Cile, impegnato nella difesa dell’oro blu nella Patagonia, su cui anche l’Enel ha posto le mani.
Intervista a cura di Rosa Siciliano

Luis Infanti De La Mora, di origine italiana ma da trent’anni in Cile, è vescovo dell’Aysén. Noto per il suo impegno in favore della pubblicizzazione dell’acqua e dei diritti dei diseredati, ha recentemente partecipato all’assemblea degli azionisti di Enel per opporsi al progetto che prevede la costruzione di cinque grandi dighe sui fiumi Baker e Pascua. Con una non comune disponibilità (e tempismo!), ha risposto ad alcune nostre domande. Perché la lotta dell’acqua, che ora ci vede protagonisti in Italia, non è un “caso” italiano,ma accomuna popoli e terre di ogni parte del mondo. E resistere agli artigli delle lobby economiche che vogliono appropriarsi di beni pubblici è d’obbligo. Anche – forse in primis – per un credente. 

Mons. Infanti, lei sostiene, lodevolmente, una coraggiosa difesa dell’acqua come bene pubblico. Quando e come è nata questa sua vocazione per la salvaguardia dell’ambiente e, in particolare, in difesa di un bene così importante per tutti? 

Sei/sette anni fa, in Aysén, regione della Patagonia cilena, è sorto, con forza, un progetto per costruire 5 grandi dighe che avrebbero dovuto produrre energia elettrica per le miniere del nord del Cile e per le industrie vicino Santiago. Il progetto avrebbe avuto due grandi conseguenze: l’inondazione di enormi terreni della Patagonia (con luoghi di gran valore ambientale e turistico) e il trasporto dell’energia a 2.300 km dal luogo di produzione (passando per territori di riserve naturali, zone di popolazione indigena, zone agricole, ...). Questo mega-progetto ha suscitato, nella popolazione, reazioni di rifiuto e contestazione non sempre pacifiche. Come Chiesa, sempre attenta ad accompagnare le situazioni e i problemi della gente, dopo un partecipativo/partecipato discernimento, abbiamo creduto opportuno intervenire in merito a questa tematica, offrendo elementi per capire meglio ciò che si stava proponendo dinanzi a noi e ciò che era in gioco, con una visione etica e pastorale. È sorta così una letterina del vescovo (5 giugno 2006) con 15 domande, dirette principalmente alle comunità cristiane, ma anche ad altri gruppi e organizzazioni sociali, giovanili, politiche, annunciando che poi avremmo proposto una visione pastorale più profonda e completa sul tema. Ci sono state molte ed entusiaste risposte alle domande sulle ricchezze naturali della Patagonia, sul potenziale di acqua, sulle leggi cilene e i proprietari dell’acqua, sui progetti che l’impresa multinazionale ENDESA (della Spagna) avrebbe realizzato, con ovvia analisi di problemi ed eventuali benefici conseguenti, sulla partecipazione della popolazione nelle decisioni su questi progetti…

L’unica domanda che ha avuto pochissime e vaghe risposte è stata sul giudizio etico di questi progetti. Ciò ha motivato maggiormente la stesura di un documento che illustri i motivi etici e religiosi per opporsi a progetti di tal levatura e per offrire letture e riflessioni da diverse angolazioni possibili. Così, abbiamo organizzato le tradizionali assemblee pastorali annuali della Chiesa dell’Aysén proprio su questo tema, per due anni, 2006 e 2007, per vedere (analisi della realtà) e giudicare (visione etica, spirituale e pastorale del tema). La gran partecipazione di agenti pastorali ha aiutato ad approfondire i temi proposti e ha suggerito azioni possibili realizzabili su livelli distinti. È sorta così la lettera pastorale “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana” (1 settembre 2008) che ha avuto una significativa diffusione in tutta l’America Latina e la Spagna, aiutando il discernimento non solo ecclesiale, ma anche sociale, politico, economico, culturale, ... La discussione continua tuttora e va approfondendo temi e decisioni con maggior e condivisa analisi. 

Recentemente ha partecipato all’assemblea degli azionisti dell’Enel. Quali interessi ha tale società in Cile? E in quale relazione con l’acqua?

All’inizio del 2009, Enel ha comprato il 92% dell’impresa Endesa-Spagna, assumendo così la maggior responsabilità nella realizzazione dei progetti della Patagonia, e soprattutto assumendo la proprietà di più dell’80% delle acque non consuntive del Cile e il 96% delle acque della Patagonia, regione con la maggior abbondanza di acqua dolce del pianeta, dopo i Poli (Artico e Antartico). Essere proprietari dell’acqua, oggi, è un potere enorme, poiché essa è un bene essenziale per la vita (non solo degli esseri umani), ancor di più oggi di fronte alla crisi ecologica e al cambiamento climatico, che mettono in seria discussione, tra l’altro, l’alimentazione, la salute, le politiche e favoriscono migrazioni ed emarginazioni di tutta l’umanità. Disgraziatamente, le leggi del Cile e la Costituzione politica dello Stato (approvata in anni non democratici della dittatura di Pinochet) favoriscono che enti transnazionali si approprino di beni essenziali alla vita anche qui in Cile (terra, acqua, aria). 

Su cosa verteva il suo intervento in tale sede? 

Essenzialmente sulla responsabilità che Enel ha di distruggere o proteggere la Patagonia. Chiedevo di rimettere in discussione la proprietà dell’acqua del Cile da parte di una impresa transnazionale. Proponevo che il potere economico e tecnico di cui dispone Enel fosse canalizzato verso la produzione di energie “pulite”, non contaminanti e non distruttive dell’ambiente; che i progetti siano fondati sul rispetto delle culture, popolazioni e territori; che i progetti dei governi e delle imprese del mondo “sviluppato” siano rispettosi delle esigenze dei Paesi cosiddetti “sottosviluppati”. E sottolineavo la necessaria e sempre più urgente riflessione sull’austerità, nei Paesi “sviluppati”, di fronte al vorace e devastante consumismo. In ultima istanza, il mio intervento è stato un forte richiamo a non fare nei Paesi del terzo mondo ciò che non gli lascerebbero fare nei Paesi del primo mondo

Quale eco hanno avuto la sua presenza e le sue parole negli altri azionisti e nell’opinione pubblica più in generale?

Credo che l’intervento sia stato ascoltato con interesse, soprattutto perché veniva da un vescovo. Ma anche con una certa preoccupazione perché tali discorsi aiutano tanta gente a prendere coscienza su quale mondo stiamo costruendo o distruggendo; su quali relazioni stiamo proponendo o imponendo tra i popoli; su quale valore diamo al potere economico e politico, fin da continuare a colonizzare o sottomettere popoli, senza considerare le loro culture, la loro vita e tradizioni, la loro spiritualità e progetti, la loro democrazia e decisioni. Qualche mezzo di comunicazione ha fatto eco questo intervento, ma ho l’impressione che in Italia (e non solo in Italia) molti mezzi di comunicazione sono mezzi “servili”, al servizio del potere economico, politico e giudiziario, emarginando sempre più i poveri e i deboli, non solo escludendoli dall’uso di beni che Dio ha regalato a tutti – e, quindi atti a essere distribuiti in modo equo e solidale – ma anche negando loro la necessaria informazione, la formazione ed estromettendoli dalle decisioni importanti ed essenziali sul bene comune.

All’interno della Chiesa, tale suo gesto, forte, simbolico, politico, come è stato valutato? Ha avuto riconoscimenti ed espressioni di solidarietà?

Almeno in Cile, la Conferenza Episcopale sta prendendo sempre più coscienza della trascendenza di questi temi e della loro importanza nella nostra vita per le sue ripercussioni sociali, politiche, culturali. Sono molti i cristiani e non cristiani che hanno gran coscienza di questi temi e offrono il loro impegno profetico per costruire un mondo più umano, fraterno, pacifico e solidale.

Lei presiede il “il Consejo de Defensa de la Patagonia”: di cosa si occupa tale ente? 

Veramente non presiedo, ma partecipo del “Consejo de Defensa de la Patagonia”, assieme alla Chiesa dell’Aysén e a una sessantina di altre organizzazioni. Ci preoccupiamo di creare ed esigere una vita piena in ogni senso e di costruire progetti di crescita sostenibile in Patagonia.

Il suo modo di vivere il mandato episcopale non rispecchia esattamente l’idea che molti hanno della Chiesa di oggi, spesso “distratta” sui temi scottanti, sugli intrecci tra finanza e politica, sul potere dei grandi della terra pronti a dilapidare risorse pubbliche in favore di poche élite… La sua, insomma, è una testimonianza forte, un segno profetico che una Chiesa attenta alla voce degli ultimi esiste.

Nella prima parte della mia lettera pastorale presento alcuni segni (ed effetti) che indicano che non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca di grandi proporzioni che scuote tutta l’umanità. L’instabilità, la globalizzazione, la disuguaglianza nell’accesso al potere politico, economico e giudiziario, e la crisi ecologica, sono solo alcuni di questi segni, che ci obbligano a pensare, creare e attuare progetti in modo molto differente a 20, 50 o 100 anni fa. E questo vale anche per la Chiesa e per ogni istanza religiosa. Ciò non significa cambiare il nucleo centrale della fede (la divinità e la sua presenza, messaggio e progetto nell’umanità e nella creazione), ma di renderlo credibile, comprensibile e di celebrarlo nella vita quotidiana contemporanea. È la grande sfida della Chiesa, oggi. Quindi anche la missione di un vescovo, oggi, supera il ruolo tradizionale e sempre valido di insegnare, condurre, animare il suo “gregge” all’interno della Chiesa, e giunge a orientare e ispirare una fede attiva e impegnata, integrata, nelle realtà storiche e quotidiane. È l’evangelizzazione della cultura e delle culture. Quindi, non c’è nessun tema che sia estraneo alla fede e all’evangelizzazione. Se la Chiesa, come comunità di credenti, discepoli missionari, e come individui (nei vari gradi di servizio pastorale) perde la profezia, essa perde la sua essenza missionaria, tacita e imprigiona lo spirito. E questo è il peccato più scandaloso (che non sarà perdonato). Lo dice Gesù stesso. L’opzione fondamentale di Gesù per il Regno di Dio ha avuto la maggior concretizzazione nella scelta dei poveri, degli umili, degli ultimi, degli emarginati. La fedeltà della Chiesa al suo Maestro e Pastore, oggi, ci obbliga a ripensare certi legami che la Chiesa ha ancora con strutture di potere economico, politico e giudiziario, che ci allontanano dalla fedeltà a Cristo. I vescovi dell’America Latina, in Aparecida, ci invitano a una conversione personale e pastorale.

Tornando all’ambiente e alla salvaguardia del creato, quale messaggio vuol lasciare ai credenti di oggi perché siano consapevoli che un impegno di tutti e stili di vita nuovi possono aiutare il pianeta a sopravvivere? E agli italiani, che sono alle porte di un importante referendum popolare proprio perché l’acqua torni a essere bene comune e pubblico?

La cultura consumistica, gli stili di vita dell’abbondanza e lo spreco ci fanno complici della depredazione e distruzione del creato, escludendo dal godimento dei beni, che Dio ha creato per tutti, grandi pezzi d’umanità. In un pianeta limitato, non possiamo continuare con un consumo illimitato. Si fa sempre più urgente una cultura dell’austerità e, quindi, occorre educarci a moderare i nostri consumi. Questo è un impegno per amore verso i fratelli, soprattutto più sottomessi alle esclusioni dei beni (alimentazione, acqua, aria, terra, energia...). Per amore verso ogni creatura viva, e quindi verso il Creatore. In questi tempi di speciali “dolori di parto” del nostro pianeta, soprattutto noi credenti abbiamo la grande responsabilità etica di usare i doni che Dio ci ha dato, della sapienza, della comunione e dell’amore, per far nascere e creare “cieli nuovi e terra nuova”, come Dio stesso ha sognato per i suoi figli. Questa responsabilità etica ha necessariamente implicazioni politiche, sociali, culturali e religiose, e quindi la lotta per l’acqua (diritto umano, bene comune non privatizzabile né commercializzabile) anche in Italia, dovrà vedere specialmente i credenti in prima fila nel loro impegno di fede e di amore a Dio, nella persona dei fratelli.

 

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