La guerra che non serve

3 gennaio 2011 - Tonio Dell'Olio

Sin dall’inizio della disastrosa missione militare in Afghanistan abbiamo ribadito sempre la stessa proposta: investire l’equivalente della presenza armata in aiuti umanitari a favore della popolazione civile avrebbe avuto il triplice effetto di sottrarre terreno, ovvero consenso, ai Talebani; dare un senso differente alla missione sgombrando il terreno dai “sospetti” di altre finalità e rendere più difficile, perché inutile, la coltivazione di oppio. A far comprendere queste cose, si aggiungono le considerazioni dell’ultima vittima italiana, il caporal maggiore Matteo Miotto: “Veniamo accolti dai bambini che da dieci diventano venti, trenta, siamo circondati, si portano una mano alla bocca ormai sappiamo cosa vogliono: hanno fame”. (…)“Questi popoli di terre sventurate, dove spadroneggia la corruzione, dove a comandare non sono solo i governanti ma anche ancora i capi clan, hanno saputo conservare le loro radici dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case: invano”. (…) "Allora riesci a capire che questo strano popolo dalle usanze a volte anche stravaganti ha qualcosa da insegnare anche a noi”. (…)“Quel poco che abbiamo lo lasciamo qui. Ognuno prima di uscire sa che deve riempire bene le proprie tasche e il mezzo con acqua e viveri: non serviranno certo a noi…”.

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