POTERE DEI SEGNI

Il prete del grembiule

Sui passi di don Tonino. Perché la sua parola, la sua azione quotidiana in difesa e accanto ai poveri e ai diseredati, ci accompagni ogni mese.
Raffaele Nogaro (già vescovo di Caserta)

“Esultai quando mi dissero andiamo, andiamo alla casa del Signore”(Ps 122,1).
Così due giorni prima di morire mi confidava don Tonino: “Ho bisogno di andare ad abbracciare il Padre”. Emozionatissimo ascoltavo: “Il padre è tutto dono di sé. Anch’io mi sono sempre donato, non mi sono mai risparmiato”. “So che lui è impaziente di rivedermi, e io non ho più paura dei miei peccati”. Ecco il volto bellissimo del “discepolo di Cristo”, di colui che dà la vita ai fratelli.
Alla nascita ebbe il nome di Antonio. Significa:”fiore”. La Scrittura avverte: “flores florescunt – i fiori devono fiorire”. E la vita di don Tonino è una fioritura mirabile di opere di bene. Diventa sacerdote, ministro della bontà del Padre, consacrato alla felicità e alla salvezza dei fratelli.
Vive nel nostro tempo, in un contesto sociale nel quale vengono consumate tutte le ideologie del potere e dove si continua a proclamare il primato dell’etica. Di essa però si difende soltanto il nome.
Una realtà che si lascia distribuire nelle cornici più impressioniste: è l’etica del pluralismo, l’etica del relativismo, l’etica dell’utilitarismo, l’etica soprattutto dell’autoreferenzialità, per cui diventano valore solo la proprietà privata e l’egoismo.
Don Tonino mantiene vivacissima l’etica del Vangelo, la “forma Christi”, che è la professione della compassione, della misericordia, del perdono, dell’amore incondizionato del prossimo.
Diventa per questo il prete del “grembiule”, il prete del servizio più umile d’umanità, che rincorre il diseredato, l’immigrato, il barbone, l’ubriacone, l’“orfano di ogni genere”.
Il grande impegno di leggere “i segni dei tempi” proviene dal Vangelo. L’originalità di riproporlo alla nostra Chiesa è di don Tonino.
Egli vede palpitare i “segni del Signore nell’urgenza di pace”, che tutte le genti ormai esprimono.
La pace è valore assoluto d’umanità.
Il Vangelo è la rivelazione della pace, dell’amore incondizionato del Prossimo.
Non c’è alcun valore, al di là della pace, dell’esercizio dell’amore di Gesù fra gli uomini.
La profezia nuova e genuina della pace, la “Pacem in terris”, fin dagli inizi, meraviglia, piuttosto che convincere. Chi vuole praticarla, al di là di ogni accomodamento e di ogni pur legittima convenienza, è il vescovo di Molfetta. Parlo del vescovo, dell’apostolo pertanto, che nella Chiesa dà inizio a un percorso nuovo di vita e di speranza.
In molti, nelle sfere superiori, vorrebbero ridurre la portata dell’enciclica, nel timore di contraddire la continuità dottrinale del Magistero.
Don Tonino, presta attenzione al Vangelo più che al Magistero: e in modo giustissimo, perché sul tema della pace, la Chiesa non sa mantenersi, fedelmente, madre e maestra di vita.
Nell’enciclica di Giovanni XXIII c’è innanzitutto la proclamazione dell’infinita dignità dell’uomo, eminentemente inviolabile come Dio. E don Tonino vi costruisce “le basiliche minori” che sono l’uomo indigente, in grado di celebrare l’incarnazione di Dio.
Le forme di inquinamento della vita umana sono il male da sradicare. Don Tonino si scontra perciò con i politici e con la Chiesa. E rimane impavido, certo di fare la volontà del Padre.
Non ha nessuno dalla sua parte, né vescovi, né i preti, meno ancora gli uomini del potere, quando si mette contro l’installazione degli F16 a Crotone, quando lavora per il disarmo e per l’obiezione fiscale alle spese militari. Dopo gli interventi sulla guerra del Golfo, viene addirittura accusato di incitare alla diserzione.
Confessa di soffrire le pene dell’inferno, ma rimane infrangibile, perché ha la coscienza dei giusti.
Il vescovo Bello svolge continuamente il discorso della pace, che è l’unica promozione d’umanità. È un discorso nuovo e pieno di luce.
Si pensava a una priorità dei grandi valori della vita: la libertà, la verità, la giustizia.
La pace, invece, otteneva un valore straordinario, ma successivo e aggiunto.
Don Tonino, nella suggestione evangelica della “Pacem in terris”, afferma che il bene “primo” è la pace.
Non c’è senso della libertà, né criterio di giustizia, non c’è riconoscimento della verità se non c’è pace.
È la pace il valore, che promuove ogni sorta di bene, è quell’amore universale che costruirà la famiglia umana unita.
La pace crea la vita. Crea la libertà, la giustizia e la verità. La pace crea ogni genere di benessere tra gli uomini. La pace rende don Tonino un Mosè liberatore. Già malato, compie la marcia pacifica a Sarajevo, proclamando la sua fede nella vita, al di là di ogni violenza: persone di religioni diverse e di nazionalità diverse, vengono unite dal grande ideale di sperimentare un’altra ONU, quella dei popoli: “Vedete, noi siamo qui, allineati da questa idea, quella della nonviolenza attiva. Noi siamo venuti qui a portare un germe: un giorno fiorirà. Gli eserciti di domani saranno questi uomini disarmati”.
Sarebbe decadenza della Chiesa, trascurare la testimonianza adamantina di questo vescovo. Sono oggi, i “tempi di Dio”, in cui si esprime universale la volontà di pace. In Italia la invocarono Lanza del Vasto, Aldo Capitini. Diventò la passione di vita per Milani, Balducci e Turoldo.
Don Tonino costruì la teologia della pace con il sacrificio della sua vita.
E ne divenne il profeta. Profeta al punto di lasciare in consegna alla Chiesa il messaggio inconfondibile: “Tutti i vescovi della terra si facciano banditori della giustizia e operatori di pace. E assumano la nonviolenza come criterio ermeneutico del loro impegno pastorale, ben sapendo che la sicurezza carnale e la prudenza dello Spirito non sono grandezze commisurabili tra loro”.

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