Na giornata particolar... issima

7 maggio 2012 - Fabrizio Truini (Pres. Cipax e coord. Pax Christi Roma)

Chi non ricorda il bel film di Ettore Scola con la coppia Loren-Mastroianni rimasti in casa, mentre Roma festeggiava con una storica parata l’ incontro tra i due dittatori Mussolini e Hitler?
Mi è tornato alla mente mentre con un gruppuscolo di amiche e amici carissimi stavo in strada, a poca distanza dal Quirinale, per un sit-in contro il concordato e contro i cappellani militari, nella giornata particolare del 18 febbraio, anniversario della revisione del Concordato tra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano, firmata nel 1984.
Per fortuna quel giorno non si svolgeva nessuna parata militare, anche se sull’altra sponda del Tevere una parte del popolo cattolico presenziava estasiata alla sfilata di vescovi che vestiti di rosso porpora si inginocchiavano di fronte al papa per ricevere la berretta cardinalizia.
E infatti tutto il manipolo di giornalisti c. d. vaticanisti stava certo là, e non con noi, tranne un nostro caro amico.
Ma la cerimonia che si svolgeva a san Pietro non era una carnevalata. Era ed è un evento estremamente serio, reso possibile da una cultura ecclesiastica, che se affonda le sue radici nella notte dei tempi, almeno fin dall’epoca costantiniana, oggi per le modalità della forma può essere simbolicamente fatto risalire alla firma dei trattati tra Chiesa e Stato, grazie ai quali la Chiesa diventa meno povera, ma più mondana; e lo Stato meno democratico ma ancor più potente.
Quanta verità nelle parole che Aldo Capitini scriveva dopo il Concordato del ’29: “ La chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il fascismo, e realmente le ottenne. Ma … non aver visto il male che c’era nel fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l’Italia e l’Europa…non sono errori che ad individui si possono perdonare…ma segni precisi di inadeguatezza di un’istituzione, ancora una volta alleata di tiranni. Fu lì su questa esperienza che l’opposizione al fascismo si fece più profonda e divenne in me religiosa…nel senso che cercai più radicale forza per l’opposizione negli spiriti religiosi puri, in Cristo, Buddha, san Francesco, Gandhi, di là dall’istituzionalismo tradizionale che tradiva quella autenticità…”.
Certo in Italia – grazie a tanti uomini come Capitini- non abbiamo più un regime dittatoriale violento, ma tuttavia gli accordi tra trono e altare continuano in altre forme, sia pure meno virulente, a indebolire sia lo stato che la chiesa, a snaturarne le funzioni, a infiacchire lo spirito civico e la testimonianza di fede, a rendere tutti più sudditi, fedeli e acriticamente obbedienti alle due massime istituzioni dominanti in un intreccio perverso, che non dà a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.
In uno stato democratico come quello disegnato dalla Costituzione italiana - che riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona umana e la libertà di espressione e di associazione, in particolare la libertà di professare la propria fede religiosa, individuale e associata, e di esercitarne in privato e in pubblico il culto- non ci sarebbe bisogno se non di semplici intese con le rappresentanze religiose. La chiesa cattolica ha invece preteso di regolare i rapporti con lo Stato con degli speciali Patti inseriti nella Costituzione, per rafforzare i privilegi concordatari, che riguardano per esempio il matrimonio, l’insegnamento religioso confessionale, come anche le scuole private o anche strutture sanitarie, e non da ultimo l’assistenza spirituale all’interno della stessa istituzione militare.
Quest’anno – sollecitati anche dalla grave crisi economica e dal dibattito che si è aperto nell’opinione pubblica sulle immani spese militari, in particolare sull’acquisizione dei caccia bombardieri F35, dal costo insopportabile, ma più ancora per loro capacità di attacco, e quindi per noi incompatibile con il dettato costituzionale, che permette solo guerre di difesa- abbiamo voluto riportare l’attenzione proprio su quest’ultimo aspetto, quello dell’ordinariato militare che prevede vescovi e preti con le stellette, inseriti nella struttura militare quali suoi ufficiali con le relative retribuzioni. Si pensi che l’arcivescovo castrense essendo anche generale di corpo d’armata prende uno stipendio mensile di c. 9.550 euro, e quando maturerà dopo pochi anni la pensione riceverà anche a 63 anni c. 4.000 euro. In totale il mantenimento dei 184 cappellani militari attualmente in servizio costa allo Stato italiano, e quindi a tutti i cittadini, anche non credenti o di altre religioni, circa 10 milioni di euro l’anno.
Ma al di là dell’aspetto economico, quello che è scandaloso per la coscienza cristiana, più che l’aspetto quantitativo della retribuzione, è la rilevanza qualitativa di questa speciale assistenza religiosa, che da una posizione di gerarchia militare compromette a nostro parere il valore dell’azione pastorale e contraddice in maniera palese la missione profetica della Chiesa. Come si può accettare che dei sacerdoti con le stellette benedicano le armi? Certo si possono, si devono anzi sempre benedire gli uomini, ma se si vuol essere seguaci di Gesù, mite e nonviolento che intimò ai suoi discepoli di riporre la spada, non si possono benedire mai le armi. Per questa ragione non solo non siamo contrari, anzi siamo favorevoli all’assistenza spirituale a dei giovani che si trovano in situazioni molto pericolose per la loro vita e per quella di quanti sono chiamati a contrastare e a difendere. Ma questo potrebbe avvenire da parte di sacerdoti, ma anche di laici come i diaconi, che volontariamente si pongano al seguito delle missioni militari, mentre laddove le forze militari sono stanziali, non si vede perché l’assistenza spirituale non debba essere esercitata dai parroci dei territori dove i militari risiedono.
Vi sono poi due altre considerazioni che possono essere fatte: l’abolizione della leva obbligatoria e la professionalizzazione delle FF. AA. da una parte; e il riconoscimento del pluralismo religioso
dall’altra,rendono ormai inammissibile l’esistenza dell’Ordinariato militare.
In quella giornata particolare volevamo consegnare un appello in questo senso all’ordinario militare perché la Chiesa rinunci al più presto a questo insopportabile privilegio concordatario.
Non ci è stato possibile primo perché ci è stato detto che dovevamo chiedere udienza per tempo, e poi perché quel sabato gli uffici rimanevano chiusi. Ci è stato suggerito di imbucarlo nell’apposita cassetta delle lettere. Cosa che abbiamo fatto, nella speranza che non venga cestinato da qualche solerte segretario, ma venga considerato e meditato non solo dall’arcivescovo-generale, ma anche dall’intera Conferenza Episcopale Italiana, alla quale tramite suo è diretto.

Dopo il Concilio che incitava a rinunciare ai privilegi, avevamo sperato che la chiesa cattolica
abbandonasse le pretese concordatarie. Invece sia pure più circoscritte esse sono rimaste e in certa misura anche rafforzate dalla revisione del Concordato del 1984.
Per questa ragione non ci stanchiamo di ripetere l’annuncio evangelico del Regno di giustizia e di pace anche alla chiesa gerarchica che sembra averlo dimenticato.
L’appello contenuto nel volantino distribuito durante il sit-in e recapitato all’Ordinariato militare, e intitolato “No al concordato, No ai cappellani militari” si concludeva così: “ Speriamo che le comunità cristiane con i loro pastori siano con noi contro l’acquisto degli F35, contro le immense spese militari e per promuovere invece la Difesa Popolare Nonviolenta. Imploriamo da Dio il dono della pace, ripetendo a noi stessi e a tutti: “Se vuoi la pace, cerca e prepara la pace”.

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