PAROLA A RISCHIO

A sua immagine

È tempo di liberare la fede da ogni forma di mistificazione e di antropomorfismo.
Con lo sguardo alla storia e alla mitologia, quali i rischi del Dio dei giorni nostri?
Giovanni Mazzillo (Teologo)

E come ESILIO, che diventa ESODO, passando per la eleutherìa, cioè la libertà. È tempo di liberare la fede da ogni antropomorfismo “divino” della violenza.
Rileggo quanto ho scritto su Dio il mese scorso mentre mi affaccio sul meraviglioso davanzale del golfo di Policastro. Vedo chiaramente Capo Palinuro, da dove partì la legge dell’essere che è e non può non essere, riformulato in «non esiste un Dio che non è amore». Quel mare e quegli scogli rievocano il soldato troiano da cui prende il nome il promontorio: Palinuro, sacrificato al mare per la salvezza dei suoi compagni di navigazione. Virgilio ne scriveva in questi termini: «Unum pro multis dabitur caput», che viene tradotto «Una sola vittima per la salvezza di molti» (Eneide, V, 815). A pretenderlo era stato Nettuno, dio del mare, che, all’occorrenza, si era accordato sul prezzo con Venere, madre di Enea, e purtroppo – per lei e quanti la adoravano e la adorano ancora – dea dell’amore. Ma di quale amore? Solo di quello puramente erotico, che tutto vuole e nulla dà. Tutto pretende e tutto distrugge. Dunque anch’essa una dea inesistente, mentre esistente resta la violenza in una delle sue forme più raffinate!

A propria immagine
Penso alle solite e nefaste mistificazioni religiose, dove non è il divino a influire sull’umano, ma è il contrario. Non è Dio che fa l’uomo a sua immagine e somiglianza, come leggiamo nella Bibbia, ma è piuttosto l’uomo a fare di Dio una brutta copia di se stesso. In questo caso l’accordo tra le divinità mi sembra un accordo tra potenti ai danni di poveri e ignari subalterni. Insomma, l’accordo del “conte zio” con il padre provinciale ai danni di padre Cristofaro, di manzoniana memoria (I Promessi sposi, cap. 19). Mi dico che così non va. Soprattutto non va con Dio e nemmeno con la religione. Per fortuna, o meglio per provvidenza, nel romanzo l’accordo tra i grandi non arresta il corso degli eventi a favore dei piccoli, perché è comunque all’opera un Dio, che guida al meglio la storia, anche quando questa è deviata, ritardata e devastata dalla violenza umana.
Tuttavia i conti non tornano ancora e per ben due argomenti teologici di primaria grandezza. Il primo riguarda appunto il dio che l’uomo si fa a propria immagine e somiglianza, il secondo è il sacrificarsi per gli altri.
Il processo, contemporanea-mente psichico e culturale, attraverso cui l’uomo proietta nel cielo i suoi bisogni fino a costruirsi una realtà “celeste” che amplifica e sublima i suoi bisogni insoddisfatti sulla terra, non è stato scoperto da Ludwig Feuerbach. Quest’ultimo, anzi, pur nella sua negazione della consistenza reale di un al-di-là, che voleva si costruisse solo nell’al-di-qua, rasentava nondimeno qualcosa che noi chiameremmo afflato mistico. G. Ravasi, nel suo “Breviario” su Domenica- il sole 24 ore, riportava, la mattina di Pasqua, una sua citazione, che suona: «Dio è una lacrima d’amore nel più profondo nascondimento, versata sulla miseria umana». Qualcosa di più della religione come corona di fiori che abbellisce le catene di marxiana memoria. E tuttavia qualcosa di meno di ciò che – e ci risiamo – proprio nella nostra Magna Grecia di allora, qualche secolo prima di Cristo, alcuni filosofi “presocratici” avevano capito di Dio. Sì, perché proprio questi erano arrivati a individuare la spirale perversa dell’animo umano, quando questo ricalca in cielo bisogni e violenze, egoismi e rivalità, fino a credere che nell’Olimpo, sede delle divinità, ci siano interminabili guerre così come accade tra noi sulla terra.

Esodi
Protestando energicamente contro tale antropomorfismo, Senofane di Colofone, collegato alla scuola di Elea, appunto nei pressi di Palinuro, diceva che le religioni «hanno attribuito agli dèi tutto quanto presso gli uomini è vergognoso e biasimevole: rubare, commettere adulterio e ingannarsi reciprocamente».
Egli non rinnegava l’idea di Dio, ma ne riconosceva le caratteristiche fondamentali nell’unicità, indescrivibilità e onniscienza. Erano idee condivise in quella scuola e tra i pensatori della Magna Grecia. Erano, comunque, idee rivoluzionarie e quanti le avevano professate nella pur democratica polis ateniese o nei dintorni, se proprio non erano stati condannati a bere la cicuta come Socrate, sul cui capo pesò anche l’accusa di empietà, erano stati esiliati. Evidentemente era andata meglio per i demistificatori della falsa religione qui nel Meridione d’Italia, dove alcuni pensatori erano fuggiti.
L’esilio di alcuni di loro significava e rappresentava, però, un esodo per la religione di ogni tempo. L’esodo da un’idea tanto antropomorfica di Dio, da fare di lui la magnificazione dei difetti e delle vergogne umane. Diventava la difesa appassionata e coraggiosa di un’idea più alta e più vera di Dio, maturandone la percezione. Si potrebbe dire che l’esilio diventava così esodo. Come succede, talora, anche oggi.
Succedeva e succede anche a chi, arrivando a una sintesi superiore della propria esistenza, ne fa in piena libertà e con consapevole donazione, un’offerta totale per gli altri. È il secondo motivo accennato. Ma occorre precisare, in aggiunta a quanto detto la volta scorsa, che tra il sacrificio totalmente immorale e sacrilego, con cui, “in favore” di Dio, si elimina la vita d’un innocente o comunque di un inconsapevole come Palinuro, e il dono che qualcuno fa consapevolmente della propria vita per quella degli altri corre un’abissale differenza. Solo quest’ultimo entra a far parte di quel circuito salvifico, la cui formulazione questa volta non è blasfema, ma addirittura divina, perché proviene dall’infinito Amore in quanto tale. È appunto il caso di Gesù ed è frutto d’una libera scelta, che recupera sul versante della libertà l’assunto virgiliano: «Unum pro multis dabitur caput». È molto simile alla formulazione di uno dei sommi sacerdoti che condannarono a morte il Nazareno: «è meglio che muoia un solo uomo per il popolo piuttosto che perisca la nazione intera» (Gv 11,50). Gesù, pur potendo sottrarsi a quella condanna, ne fece il motivo ultimo e decisivo della sua vita e della sua morte. E tuttavia quanta differenza tra chi condanna e chi si dona! È la differenza di chi ama e si dona totalmente, pur essendo Dio e di chi in nome di Dio soffoca con inaudita violenza la vita degli altri.

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