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Egemonia e disarmo

Noam Chomsky intervistato da Shelley Walia
26 aprile 2006
Shelley Walia
Tradotto da per PeaceLink

In un mondo pieno di economia senza scrupoli, fanatismo, dogmatismo, settarismo aggressivo e, soprattutto, terrorismo e violenza, la nostra sopravvivenza dipende, nelle parole di Vaclav Havel (ex presidente della Cecoslovacchia) dal “grado in cui accettiamo la responsabilità di noi stessi e del mondo, e affrontiamo le minacce visibili ed invisibili che vi si nascondono”. Il professor Noam Chomsky è consapevole di questa responsabilità intellettuale e si è assunto instancabilmente il compito di interrogare la storia Americana e la sua politica estera, insieme al suo fallimento nel mondo. Attraverso un’analisi dettagliata, ha provocato una preoccupazione appassionata per le conseguenze morali ed umane dell’intervento intellettuale che rifiuta le atrocità di massa o aiuta a scoraggiare l’inumanità dell’uomo verso l’uomo.

Due guerre europee, il fascismo, il nazismo e i traumi da senso di colpa della decolonizzazione, insieme alle critiche al capitalismo dei marxisti occidentali, hanno portato ad una messa in questione del mito del progresso. La genesi di questa opposizione alla corsa disumana al profitto è iniziata negli anni ’60, quando le forze della nuova sinistra si sollevarono perché fosse data immediata risposta ai problemi di oppressione e povertà. Chomsky era a quei tempi a capo del sentimento Anti-Vietnam contrario alla guerra, un esempio di personalità accademica con la fiducia intellettuale necessaria per sfidare i corporate media e lo Stato.

Di fronte alla politica contemporanea, la sua lotta continua. Sono sicura che il suo vibrante e rivitalizzante lavoro umano sulla politica internazionale giungerà alle generazioni future pronto a rinnovarne la combattività e l'impegno per la giustizia sociale e la libertà. Vedo un intellettuale come Chomsky dare un impeto al pensiero socialista capace di raggiungere i milioni di persone che hanno fatto sacrifici, sofferto la fame, perso i propri cari solo perché la cultura potesse nascere e sopravvivere. E' necessario mantenere in primo piano questo fatto della nostra storia economica e sociale per mantenere viva la percazione del bisogno di opporre resistenza ad un mondo sempre più sfruttatore.

Durante la mia recente corrispondenza con Chomsky, gli ho chiesto di commentare vicende riguardanti soprattutto il Sud dell'Asia sia per quanto riguarda il recente avvicinamento di India e USA che sullo sforzo portato avanti dall'establishment politico indiano di alle prese con l'ordine nuclare globale in transizione. E' chiaro che l'integrazione regionale in America Centrale o in Asia sia causa di preoccupazione per Washington e “indica un mondo sfidante fuori controllo”. Come ha scritto in un recente articolo: “Oggi Asia e America stanno rinforzando i loro legami, mentre la superpotenza regnante si consuma in disavventure mediorientali”. C'è un visibile aumento della cooperazione tra Cina, Arabia Saudita e Pakistan; Venezuela, Argentina, Bolivia e Ecuador hanno una politica interna progressista e vicina al popolo che favorisce la popolazione indigena e non l'egemonia. Non sorprende quindi che Bush abbia organizzato la recente visita in India per cercare di tenerla dalla sua parte, offrendo cooperazione nucleare e altri supporti come attrattiva. Chomsky chiaramente sente che l'India, come la Cina, ha la possibilità di scegliere se essere indipendente o diventare una “cliente degli USA”. Non sottomettendosi agli Stati Uniti, il governo indiano ha la possibilità di “unirsi al blocco asiatico più indipendete che si sta formando con sempre più legami ai produttori di petrolio mediorientali”. Questa é un'intervista esclusiva via e-mail.

Considerando il programma nucleare segreto di Israele, non pensa che alcuni standard dovrebbero essere applicate a tutte le nazioni mediorientali, e non solo all'Iran?

Certamente. Teniamo a mente che la risoluzione ONU sull'Iraq a cui hanno fatto appello USA e Gran Bretagna, la 687 dell'aprile 1991, richiede di “costituire nel Medio Oriente una zona priva di armi di distruzione di massa e di missili per la loro diffusione”. Gli USA hanno ripetutamente preso impegni del genere, ma ovviamente non hanno tenuto loro fede, e anzi li hanno violati nel caso dell'India. Inoltre, dobbiamo tenere a mente che il Trattato di Non Proliferazione impegna i paesi con impianti nucleari ad intraprendere sforzi in buona fede per eliminare quel tipo di armi. Era una parte fondamentale dell'accordo iniziale. E' un impegno legalmente vincolante, come ha sentenziato la Corte Mondiale diceci anni fa. Nessuno degli stati nuclearizzati ha mantenuto la promessa, ma gli USA sono tra i più attivi nel rifuitarlo, e hanno anche dichiarato, sotto l'amministrazione Bush, di non essere vincolati ad esso.

Perché non si procede verso un disarmo nucleare nel Medio Oriente? Sarebbe possibile? E per quanto riguarda Israele?

Perché gli Stati Uniti non lo permetterebbero. E’ diffusamente riconosciuto tra gli analisti strategici che se la produzione di materiale fissile in forma di armi non è controllata, il destino delle specie è fortemente in dubbio. Ci sono proposte sensate su come affrontare il problema: la proposta di Mohammed ElBaradei, capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, di collocare la produzione di materiali fissili nelle mani di un’agenzia internazionale a cui gli Stati si potrebbero rivolgere per usi leciti; e il Trattato per la Riduzione dei Materiali Fissili (FISSBAN) invocato da una Risoluzione ONU del 1993. Gli USA non accetteranno mai la proposta di ElBaradei. In effetti, l’unico Stato che l’ha accettata, per quanto ne so, è l’Iran 8cosa di cui non si è avuta notizia sulla stampa occidentale).

Come il FISSBAN, non stante le forti obiezioni americane, è stata votata alle Nazioni Unite nel novembre del 2004. E’ passata 174-1, con due astensioni: Israele, che è riflessivo, e Gran Bretagna, più interessante. L’ambasciatore britannico ha spiegato alla sezione USA che la Gran Bretagna era favoravole a un provvedimento, ma che questo “divideva la comunità internazionale”: 174-1. Per la Gran Bretagna di Blair, è apparentemente più importante seguire la voce del padrone che impegnarsi per la sopravvivenza della specie umana.

Potresti darci le tue impressioni sul recente trattato nucleare firmato tra India e USA? Ovviamente, l’India viene appoggiata per controbilanciare la crescita della Cina.

L’India deve fare una scelta importante. Ha fatto alcuni passi in direzione di una relazione più stretta con la Cina, ma è anche tentata dalla prospettiva di unirsi alla Gran Bretagna nel ruolo di “lanciere della Pax Americana”, come è chiamata l’Inghilterra di Blair nel giornale del Royal Institute of International Affairs. Cina e Russia sono il cuore delle due organizzazioni internazionali Asian Energy Security Grid e Shanghai Cooperation Council (che include gli Stati dell’Asia centrale). Molto probabilmente si unirà anche la Corea del Sud (magari lo ha già fatto), forse anche i paesi del Sudest asiatico.

La decisione dell’India sarà molto significativa. Le preoccupazioni maggiori degli USA riguardano sicuramente i mercati e le materie prime, ma gli interessi nazionali vanno ben oltre. Gli Usa potrebbero ottenere l’accesso alle risorse energetiche e al mercato iraniano se lo volessero, ma è più importante punire l’Iran per aver sfidato Washington nel 1979 con il rovesciamento del tiranno che USA e Gran Bretagna avevano instaurato nel momento in cui avevano distrutto ilo sistema parlamentare iraniano. Tale “sfida con successo”, come è descritta nel r4apporto interno, non può essere tollerata, come non può essere tollerata dalla Mafia, con cui gli affari internazionali hanno una sinistra somiglianza. E’ possibile che prima o poi Giappone e Cina (i principali prestatori di denaro agli USA), e altri, passino ad un insieme di valute, principalmente l’Euro, e che i produttori di energia facciano lo stesso.
Gli effetti sull’economia Americana, e su quella globale, potrebbero essere sostanziali.

Con il risveglio della sinistra latinoamericana, unita in un’alleanza contro l’unilateralismo statiunitense, l’amministrazione Bush sta cercando di mettere in piedi una nuova “balance of power” in Asia. Quali sono le sue opinioni su questo aspetto della politica estera USA?

Washington è senza dubbio molto preoccupata per gli sviluppi in corso in Sudamerica, I quali, per la prima volta dal tempo delle conquiste spagnole, non sta solo andando verso una maggiore indipendenza ma si sta anche intergrando, almeno fino ad un certo punto. Ma io non credo che questa sia la motivazione principale degli sforzi americani per migliorare la propria posizione strategico-economica in Asia, per controbilanciare la Cina. Questo sarebbe avvenuto più o meno allo stesso modo, sospetto, anche se l’amERICA Latina fosse rimasta sotto controllo.

Con la crescente violenza e la Guerra al terrorismo, che ha portato ai terribili bagni di sangue dell’Afghanistan prima e oggi dell’Iraq, prevedo minacce economiche e sociali a lungo termine presentarsi ahgli Stati Uniti, e generare paura e diffidenza. Non è strano e spaventoso il mondo che sembra prendere forma in questo contesto?

Sono abbastanza d’accordo. L’elemento della paura paranoica è molto vecchio. C’è uno studio molto interessante su questi temi nella letteratura popolare americana, sin dagli inizi, del critico letterario Bruce Franklin (War Stars) [Il provocatorio studio di Franklin sottolinea la relazione dialettica tra ideologia e cultura popolare e i suoi effetti su immagine nazionale e ossessione per i super-armamenti] Egli individua un tema persistente: stiamo per essere distrutti da mostri malvagi, quando all’ultimo minuto siamo miracolosamente salvati da un supereroe o da una superarma. Inoltre, abbastanza tipicamente, i mostri malvagi sono i sottomessi: Indiani, neri, Cinesi… Alcuno degli esempi sono decisamente stupefacenti.

Prendiamo ad esempio Jack London, una figura molto progressista e populista, uno scrittore socialista. In uno dei suoi romanzi invoca lo sterminio del popolo cinese tramite guerra batteriologica, per proteggerci dalla loro pericolosa campagna volta a scacciarci.

Questo continua fino ad oggi, e si college in modo complesso al fondamentalismo religioso estremista che ancora è presente negli USA, unico caso tra le società industriali. I politici cinici sfruttano continuamente questa paura, i Reaganiani erano maestri nel farlo. Ogni anno o due gli Stati Uniti si sono trovati ad affrontare “minacce dirette”, non importava quanto folli: la Libia, Grenada, il Nicaragua, i terroristi arabi, la criminalità (e per estensione i Neri), le droghe (gli Ispanici)… Lo stesso Reagan probabilmente ci credeva, alcune delle sue performances erano stupefacenti. E’ un modo efficiente di mobilitare le persone, e particolarmente importante quando contemporaneamente si portano avanti politiche che li danneggiano.

L’attuale amministrazione, spinta dagli stessi circoli (e spesso dale stesse persone), semplicemente eredita questa tecnica di riflesso. E la paranoia combinata con un potere immenso e una leadership estremamente cinica e violenta crea un miscuglio molto pericoloso, senza dubbio.

Note: Tradotto da Chiara Rancati per www.peacelink.it.
Il testo è liberamente utilizzabile per scopi non commerciali, citando la fonte, l'auotre e il traduttore.

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